«Confesso che difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza per contestare le politiche del nostro governo, perché inevitabilmente tornerà nella mia mente una storia che è stata anche la mia. Io ho partecipato e organizzato tantissime manifestazioni nella mia vita, e penso che questo mi abbia insegnato molto più di quanto non mi abbiano insegnato altre cose, e quindi voglio dire a questi ragazzi che inevitabilmente scenderanno in piazza anche contro di noi una frase di Steve Jobs: “siate affamati, siate folli”. Vorrei aggiungere anche “siate liberi”, perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano».

Con queste parole pronunciate alla camera dei deputati il 25 ottobre 2022, Giorgia Meloni dava inizio al primo governo italiano guidato da una esponente del partito erede della tradizione politica neofascista. Sono parole che fanno una certa impressione, se rilette oggi dopo i ripetuti episodi di manganellate brutalmente inferte dalla polizia agli studenti che manifestano il proprio dissenso rispetto alla linea del governo sulla guerra in Palestina.

Certo, si potrebbe pensare che il discorso di insediamento di un governo è sempre un esercizio di propaganda rispetto alla effettiva pratica politica di tutti i giorni. In fondo, fanno tutti così, quindi perché stupirsene?

Oppure, se ne potrebbe dedurre che finalmente Giorgia Meloni ha svelato il vero volto della sua identità e cultura politica, strizzando l’occhio al suo elettorato più duro e puro, tutto legge e ordine. Ma anche questa lettura, a ben vedere, non è del tutto soddisfacente perché dà per scontato che Meloni, il cui ministro dell’Interno lascia che la polizia aggredisca gli studenti, sia incoerente rispetto a Meloni che invitava gli studenti ad essere «affamati e folli» nel solco di Steve Jobs, mito del neoliberalismo progressista.

In realtà, per quanto apparentemente opposte, si tratta di due facce della stessa medaglia. Una spiegazione di questo paradosso si può trovare nel libro La scelta della guerra civile. Un’altra storia del neoliberalismo scritto da Pierre Dardot e Christian Laval, insieme con Haud Guéguen e Pierre Sauvetre (Meltemi). Il fatto è che il neoliberalismo è fin nel suo codice genetico una sorta di Giano bifronte, insieme modernizzante e conservatore, globalizzante e sovranista, liberale e autoritario.

Solo una malintesa interpretazione del pensiero neoliberale ha potuto far pensare che esso potesse costituire un orizzonte politico-culturale praticabile per la sinistra. Non c’è nessuna contraddizione tra Meloni che dichiara che il suo motto è «non disturbare chi vuole fare» e Meloni che scatena le forze dell’ordine contro chi osa disturbare l’ordine e la disciplina del mercato.
Così come, in fondo, non c’è nessuna sostanziale discontinuità tra le cariche della polizia contro i portuali a Trieste nell’ottobre 2021, durante il governo Draghi, e i manganelli branditi contro gli studenti a Pisa in questi giorni. In entrambi i casi si tratta di una politica di repressione e criminalizzazione del dissenso, o meglio di «produzione del nemico interno», secondo un copione da «guerra civile» già collaudato per contrastare e screditare il movimento dei gilet jaunes.

Il neoliberalismo ha da sempre l’ambizione, tendenzialmente totalitaria e tutt’altro che liberale, di rifondare ab imis la vita degli uomini piegandola alla norma della concorrenza di mercato. Se la società neoliberale bandisce programmaticamente ogni intervento finalizzato alla protezione sociale, ciò non significa che disdegni misure mirate ad assicurare la protezione di tipo securitario «contro chiunque disturbi l’ordine sociale e osi contestare il potere». In questa idea di società non c’è spazio evidentemente per movimenti collettivi organizzati che si pongano obiettivi ideali, culturali e politici al di fuori dell’ordine e del pensiero unico neoliberale.

Negli ultimi anni ci si è per lo più soffermati ad analizzare e denunciare soprattutto la dimensione simbolica e psicologica della violenza esercitata sui lavoratori dal neoliberalismo, con la sua enfasi sulla competizione meritocratica e sulla valutazione della qualità. Come se il governo neoliberale delle condotte si esprimesse necessariamente tramite un modo soft e immateriale di gestire il potere. E, invece, la svolta dei manganelli degli ultimi giorni va letta in perfetta continuità con le strategie di «brutalizzazione della società» che il neoliberalismo persegue da sempre attraverso «la scelta della guerra civile».