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Libri al 41 bis: Proibire i libri in carcere non è costituzionale, la sentenza della Consulta è sbagliata e crudele

Non sono mai stato d’accordo con chi dice che le “sentenze si rispettano e basta”. Io penso che le sentenze si possono discutere. In alcuni casi si devono discutere, perché sono sbagliate o ingiuste. La sentenza della Corte Costituzionale sul 41 bis e il diritto negato a leggere i libri e i giornali, che è stata emessa l’altra sera, è ingiusta e sbagliata. Riassumo brevemente i fatti. Il 41 bis è il regime di carcere duro nel quale vivono molte centinaia di detenuti, in maggioranza accusati di reati di tipo mafioso.

Personalmente ho sempre ritenuto incostituzionale il regime di carcere duro, ma oggi non parliamo di questo. Il 41 bis da diversi anni contiene una disposizione che permette alle direzione delle varie carceri di impedire che ai detenuti siano consegnati libri, riviste e giornali. Un detenuto di Spoleto, recentemente, si è rivolto al giudice di sorveglianza per protestare contro questa misura. Il detenuto, che probabilmente la Costituzione l’aveva letta, sosteneva che la misura è in contrasto con la Costituzione. Il giudice di sorveglianza, il dottor Fabio Gianfilippi, ha giudicato molto ragionevole l’osservazione, e ha sollevato la questione davanti alla Corte Costituzionale. La quale mercoledì ha stabilito che l’obiezione di Gianfilippi è del tutto infondata. E dunque, niente libri per i detenuti al carcere duro.

Il giudice Gianfilippi aveva sollevato la questione, citando gli articoli della Costituzione numero 15, e cioè quello relativo alla libertà di corrispondenza, numero 21, sul diritto all’informazione, e gli articoli 33 e 34 che garantiscono il diritto allo studio. Mi pareva davvero inoppugnabile il ragionamento del magistrato. Ma ci sono anche altri articoli della Costituzione,

LA COSTITUZIONE NON SERVE A DIRE COSA È UTILE O COSA È SAGGIO, MA STABILISCE DEI PRINCIPI.

IMPEDIRE LA LETTURA DEI LIBRI NON È COSTITUZIONALE

solennissimi, i quali non capisco come si possano conciliare col divieto alla lettura. A partire dall’articolo numero 2, che i padri costituenti, appunto, hanno voluto mettere proprio in cima alla nostra Carta, subito dopo l’affermazione generale che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro e che il potere appartiene al popolo. Dice l’articolo 2: « La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ». Tra i diritti inviolabili dell’uomo, oltre a quello di mangiare, bere e sopravvivere, esiste o no quello di leggere? Pensavo di si.

Andiamo avanti. Articolo 3. Dice così: « Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge ». Tutti: anche i detenuti. Hanno la stessa dignità del Presidente della repubblica. Come si può rispettare la loro dignità proibendogli la lettura?. E poi c’è l’articolo 9: « La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura». Qualcuno conosce un modo per far crescere la cultura vietando i libri?

Infine c’è il famoso e sempre vilipeso articolo 27: « Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» Francamente questo mi pare un articolo di una chiarezza rara. Ed è impossibile considerare questo articolo conciliabile col divieto di leggere. Non è un trattamento umano quello che subisce chi viene privato della possibilità di leggere dei libri. E non può esserci, in questo trattamento, nessuna aspirazione alla rieducazione.

Mi dispiace se appaio un po’ saccente, però stavolta non ho dubbi: i giudici costituzionali si sono sbagliati, Lo hanno fatto per superficialità? Lo hanno fatto per ragioni politiche? Lo hanno fatto per non entrare in contrasto con un senso comune “punizionista” ( scusate il neologismo…) al quale la Costituzione piace poco?

Qualcuno mi ha spiegato che lo hanno fatto semplicemente per senso di responsabilità. Loro dicono: qualche direttore di carcere ci ha segnalato che, attraverso la circolazione dei libri, i mafiosi facevano circolare anche “messaggi” all’interno del carcere. Cioè, comunicavano tra loro. Non so se è vero, può anche darsi. Ma la Costituzione non è un testo che serve a indicare cosa sia utile o opportuno per governare un paese, o una città, o una scuola, o una prigione: la Costituzione fissa dei principi assoluti e che vanno rispettati. Qualcuno magari potrebbe anche ritenere utile alla difesa della sicurezza che si uccidano i colpevoli di reati molto gravi. Però la Costituzione non lo consente, e non è che non lo consente perché nega l’utilità della pena di morte ( potremmo anche fare l’esempio dell’utilità della tortura) ma perché ritiene la pena di morte ( e la tortura) in contrasto coi valori fondamentali della repubblica.

I giudici costituzionali, per quel che ne so io, non sono chiamati a giudicare l’utilità o l’opportunità di alcuni comportamenti delle autorità. Sono chiamati a dire se questi comportamenti violano o no la Costituzione. Ebbene, vietare l’ingresso dei libri e dei giornali in cella, non c’è il minimo dubbio, viola la Costituzione. E la sentenza della Corte è sbagliatissima, crudele, e ispirata a una idea molto arretrata di civiltà.

Piero Sansonetti

da il dubbio

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