Gigi, compagno del Campetto occupato di Giulianova è gli arresti domiciliari per una condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Quello che ha fatto è stato frapporsi tra i manganelli della polizia e le persone che manifestavano contro il gasdotto Snam nel corso di una violenta carica avvenuta a Sulmona. Ma la condanna non è bastata, ora gli impediscono anche di proseguire i suoi progetti sociali e il suo lavoro di apicoltore, rischiando così di cancellare percorsi che hanno accompagnato tutta la sua vita.
A Gigi e alle compagne e compagni del campetto occupato la nostra solidarietà e complicità
Lettera di Gigi dagli arresti domiciliari
In carcere c’è un luogo.
Un non luogo, come tutto il carcere.
È la gabbia di cemento in cui si fa l’ora d’aria: una, due ore di socialità con altri detenuti alla mattina e lo stesso al pomeriggio.
Solo con questo caldo, all’aria, spesso non si scende. Perché ti ritrovi in cubi di cemento, in media di dieci quindici metri in lunghezza e larghezza con mure alte, in cui non circola un filo d’aria e su cui il sole picchia a scaldare e rendere ancora più invivibile quella gabbia.
All’aria, quando si va, per di più si cammina avanti e indietro, per muovere un po’ il corpo recluso. Da soli o con altri detenuti. In silenzio o parlando con gli altri.
È normale farlo, in carcere.
E ti rimane anche un po’, anche se ci sei stato poco… Perché l’abominio del carcere basta provarlo, anche per poco, per portartelo sotto pelle.
Qui ai domiciliari ho la fortuna di avere un piccolo balcone. Sei, sette metri sarà lungo.
Ci cammino, avanti e indietro, come all’ aria, quando è tardo pomeriggio ed il sole non è così dominante.
E penso.
L’altra sera camminavo, indifferente alla palazzine attorno, come fosse normale, come fosse in carcere.
Eppure non era normale, non era tale per le persone che vivono quel luogo.
Quanto lo era per me che quel luogo in quel momento, in questo momento, vuol dire carcere.
E mi so accorto ci fosse qualcosa di strano, alzando lo sguardo, vedendo qualcuno attorno che guardava stranito e qualcun altro incuriosito…
D’altronde quel via vai di carabinieri che sia alle cinque di pomeriggio o alle tre di notte, qualche domanda potrebbe porla anche al piu sprovveduto…
Vabbè, sticazzi… E ho continuato a camminare.
Quando nel pertugio tra due palazzi, oltre la strada, ho incrociato un altro sguardo. Non era nè stranito, né incuriosito, né indifferente e nè giudicante.
Sembrava uno sguardo amico, complice.
Da un balcone anche lui, ma al piano terra.
Ho capito. Mi ha capito.
Ed eravamo e siamo nella stessa situazione… D’altronde viviamo in un quartiere popolare.
Ha annuito.
Non ci siamo detti niente, anche perché lontani… avremmo dovuto urlare.
Ci siam sorrisi, guardati e coi pugni stretti e un pollice al cielo… a farci forza a vicenda.
La solidarietà che sto ricevendo in questi giorni è qualcosa di impensabile e indescrivibile. Una solidarietà e una vicinanza umana con cui non posso interagire ma di cui sono profondamente grato.
E penso che c’ho compagni, amici, fratelli in situazioni peggiori della mia, con situazioni ancor più restrittive.
O intere popolazioni vittime di Genocidio e delle violenze delle guerre.
Avete presente lo scalpore dell’esplosione a Roma l’altro giorno?
C’è chi quei drammi li subisce tutti I giorni non per errore, ma per volontà assassine.
La solidarietà che ho ricevuto, l’affetto, la vicinanza… è andata ben oltre il nostro giro di compagne e compagni, che ne è il cuore, della solidarietà.
Ha coinvolto anche, perlomeno in parte, la gente.
E questo sia perché è un’evidente infamia e ingiustizia non permettermi neanche di poter curare le api e i progetti sociali…
Ma anche perché, in tutti questi anni, ho avuto la fortuna di incrociare tanti sguardi.
Di capirci, sorriderci e farci forza a vicenda.
Che sia fuori una fabbrica, in uno stadio, in un carcere, a difesa di una casa o di uno spazio sociale, in una lotta ambientale, in una mobilitazione contro la Repressione, nelle problematiche e nelle situazioni che ogni giorno la vita, e i suoi detrattori, ci pongono.
Questa toccante solidarietà, viene anche da quegli sguardi, da quei sorrisi e da quei pugni stretti.
E fintanto che ci guarderemo e sapremo riconoscerci, e avremo la capacità di sorriderci e farci forza, non ci avranno mai vinti.
Neanche reclusi.
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