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La smania dei legislatori: punire, punire, punire

Dobbiamo ricordare le parole di Thomas Mathiesen: “La prigionizzazione è l’opposto stesso della riabilitazione, ed è l’ostacolo maggiore sulla strada del reinserimento nella società”.

di Diego Mazzola da L’Unità

Prendendo per sacra l’affermazione della responsabilità penale personale, si è permesso che un numero impressionante di cittadini venisse lasciato “sopravvivere”, quando ci è riuscito, alle vie nazionali al gulag, deprivandolo della dovuta partecipazione alla vita civile, al processo democratico e liberale della riconciliazione e del reinserimento. Sappiamo che non poche, ormai, sono le associazioni che si occupano di carceri e di come “uscire” dalla società carceraria, la quale è comunque un aspetto dell’illusione totalitaria, sempre pronta a svuotare dei suoi contenuti la Carta Internazionale dei Diritti Umani.

Penso che sia giunto il momento di contattarle per organizzare una fase di riflessione per marciare uniti. La collaborazione di coloro che oggi sono detenuti è indispensabile, soprattutto per introdurre il lavoro, perché necessaria a quella presa di coscienza e nella costruzione di una Legge che, mai come in questa fase, ha dimostrato tutto il suo fallimento. L’abbattimento al suolo degli attuali Istituti Penitenziari può dare il via alla costruzione di luoghi in cui, per tempi strettamente necessari, riscoprire il senso di responsabilità e della dignità personale e, quindi, consentire l’abolizione dell’istituto che più di ogni altro le delegittima, ovvero il carcere, per come è e per come non può non essere.

Del resto è ormai noto che si è compresa la mancanza di senso e la immoralità della punizione e che oggi possiamo fare qualche passo avanti, non nella direzione di “pene alternative” ma in quella dell’alternativa al Sistema Penale volta a introdurre mattoni di nonviolenza nella costruzione del Patto Sociale. E quando viene dato l’ergastolo a una donna responsabile della morte di una figlia nei modi e nei tempi di cui si è saputo, non ci resta che stupirci del non avvenuto riconoscimento delle condizioni mentali in cui il fatto è avvenuto. Si tratta della cieca e atavica passione di punire, che ha chiaramente coinvolto quel tribunale, e che non ha fatto i conti né con la medicina né con i progressi compiuti nel Diritto dalle moderne neuroscienze. Ad aver formalmente abolito l’ergastolo sono in pochi in Europa.

Ci sono Paesi come la Norvegia, la Croazia, la Serbia, la Bosnia, il Portogallo. C’è anche la Città del Vaticano, dove già dal 2013 è consentita la detenzione fino a un massimo di 35 anni, in linea con la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 9 luglio 2013. Del criterio in base al quale si è “pensato” quel massimo di 35 anni non mi è dato sapere. Ma di quella “logica” parlò nientemeno Louk Hulsman, dicendo che gli era parsa molto simile a quella che determinava gli antichi romani nel “predire il futuro” interpretando il volo degli uccelli o indagando nelle viscere dei polli. Anche nella CEDU si può fare di meglio.

Oggi si viene a sapere anche di Angela Davis e di Ruth Gilmore, e della loro opera volta a contrastare legalmente la costruzione di nuove carceri negli USA e dell’impegno dell’International Conference on Penal Abolition e di ciò che si è fatto in Portogallo e nella vicina Svizzera, dove si sta andando verso la progressiva riduzione del sistema penale. Per quanto riguarda l’Italia, come sappiamo, nonostante le condanne da parte della CEDU e le recenti sentenze costituzionali, abbiamo l’ergastolo di fatto “ostativo”, il “fine pena mai” e un dibattito sulla “certezza delle pene” che non ha mai fine.

I nostri “legislatori”, continuano a preferire la punizione alla prevenzione e al reinserimento. A fronte di questa smania di punire, serve richiamare gli insegnamenti di Louk Hulsman, autore di Pene perdute, secondo il quale l’opzione reato non è mai proficua, di Nils Christie, che ripete che “il crimine non esiste”, di Michel Foucault, per il quale “il crimine non è altro che la malattia”, di Thomas Mathiesen che ha trascorso molti anni della sua vita a ripetere che “la prigionizzazione è l’opposto stesso della riabilitazione, ed è l’ostacolo maggiore sulla strada del reinserimento”, di Filippo Turati che, non oggi ma agli inizi del secolo scorso, vedeva nelle carceri il “cimitero dei vivi”, di Altiero Spinelli che nel 1949 pensava “che non c’è che una riforma carceraria da effettuare: l’abolizione del carcere penale”.

Esiste una grande storia dell’Abolizionismo nostrano e internazionale. In molti Paesi, con la somministrazione gratuita e sotto rigido controllo medico di cocaina ed eroina e con una ricercata offerta di lavoro a quelli che nel nostro Paese continuano a essere chiamati “tossicodipendenti”, hanno cominciato col chiudere alcuni istituti penitenziari. E poi: di che cosa si tratta quando si sente parlare di “rieducazione del condannato”. Forse potremmo cominciare a comprendere che con l’art. 27 della nostra costituzione si è permessa l’introduzione della violenza nell’Ordinamento, come un cavallo di Troia: quello del codice Rocco o quello del codice Stalin, fate voi.

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