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Ritorna la lotta di classe? A dire il vero non si era mai assentata

Dalla Francia in lotta contro la legge sulle pensioni, al Belgio, al Paraguay e anche negli Stati Uniti, le lotte dei lavoratori sindacalizzati – come un fiume carsico – riemergono prepotentemente nelle strade e nelle piazze. A buon rendere.

di Gianni Sartori

Confesso che il dubbio mi era venuto. Ossia che – mentre il capitalismo in tutte le sue molteplici e svariate varianti proliferava ricoprendo il pianeta di immondizie e cadaveri – la vecchia cara “classe operaia”, se non proprio in via di estinzione, ultimamente appariva alquanto malmessa, in disarmo. Tanto da farmi dire che se ai “miei tempi” si discuteva di “proletariato in sé” e di “proletariato per sé” ormai si doveva parlare di “proletariato completamente fuori di sé” (ossia definitivamente assorbito, sussunto alla società della merce e dello spettacolo).

Ma evidentemente peccavo di pessimismo. Smentito (mi auguro almeno) da qualche recente segnale odierno di mobilitazione sindacale.

Cominciamo dalla Francia (sempre in prima fila, almeno dal 1789).

Il 15 maggio circa 200 persone hanno tentato di penetrare nel Circuito del Grand Prix di Pau per protestare contro la nuova legge sulle pensioni. Poco dopo iniziavano gli scontri con la polizia che cercava di impedirlo facendo ampio uso di lacrimogeni. Colpendo sia manifestanti che spettatori dell’evento sportivo. Una cinquantina di manifestanti intanto si era radunata davanti all’altro ingresso, ma anche questi venivano bloccati dallo schieramento delle forze dell’ordine. Solo alcuni, utilizzando le scale, raggiungevano un recinto dove un paio di poliziotti sarebbero stati momentaneamente “circondati”. Al momento non si registrano fermi o arresti.

A Zellik, in Belgio (sempre lunedì 15 maggio, ma nel pomeriggio) alcuni sindacalisti avevano realizzato un simbolico “posto di blocco” davanti al centro di distribuzione dei supermercati Delhaize. La direzione ha immediatamente convocato un ufficiale giudiziario e la polizia si è presentata in forze. La protesta nasceva dalla dichiarata intenzione di Delhaize di liberalizzare, concedendola ad altri (“franchiser”) la gestione dei suoi circa 130 magazzini, attualmente ancora gestiti in proprio. Deplorando il sostanziale impedimento di ogni manifestazione di dissenso, i sindacati hanno posto in essere decine di iniziative.

Da Drogenbos a Ixelles (in due diverse occasioni), da Bruxelles a Gand, da Saint-Gilles a Liegi.

Ricoprendo gli edifici e le vetrine di scritte, sgonfiando i pneumatici dei camion dell’azienda, bloccando le serrature e ricoprendo di olio industriale i carrelli.

Dall’altro lato dell’Atlantico, in Paraguay (anche se il paese non ha sbocchi sull’Oceano), nella giornata di venerdì 12 maggio i lavoratori in sciopero di Añá Cuá (Ayolas, dipartimento di Misiones) si sono riuniti davanti all’entrata di EBY (Entità Binazionale di Yacyretá). Qui si sono registrati scontri con le forze della polizia nazionale dopo che i manifestanti avevano bloccato la strada. Numerosi feriti tra i lavoratori in sciopero contro cui la polizia ha utilizzato fucili da caccia caricati con pallettoni di plastica.

Dagli Stati Uniti la novità che Starbucks rischia di venir condannato per “politica antisindacale”.

Risale al dicembre 2021 la costituzione di un primo sindacato, rappresentativo di diverse centinaia di lavoratori, in alcune succursali di Starbucks a Buffalo. Presto seguito da almeno altre 300 succursali coinvolgendo circa 7mila dipendenti dell’azienda. In marzo un giudice amministrativo ha riconosciuto la nota catena di caffè (una multinazionale con sede principale a Seattle) colpevole di molteplici violazioni della legislazione del lavoro. In particolare per aver impedito la sindacalizzazione dei suoi dipendenti. Licenziandone parecchi dopo che si erano impegnati nella propaganda sindacale e minacciandone altri. Non solo. Avrebbe garantito vantaggi e promozioni a coloro che votavano contro la costituzione di un sindacato. Nei giorni scorsi, convocato dalla commissione per gli Affari Sociali, un responsabile della catena ha dichiarato di non accettare questa decisione in quanto, a suo avviso “Starbucks non ha violato la legge”. Parlava della“sua” evidentemente.

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