Quando il Pd è più a destra della Meloni. Più carcere per i consumatori di droghe leggere
- settembre 19, 2023
- in antiproibizionismo, misure repressive
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La proposta di legge del deputato del Pd Andrea De Maria: innalzare le pene minime (da sei mesi a due anni) e massime (da 4 a 6 anni) per il piccolo spaccio, per la detenzione ad uso personale e per la condivisione di cannabis con altri consumatori.
di Eleonora Martini
Innalzare le pene minime (da sei mesi a due anni) e massime (da 4 a 6 anni) per il piccolo spaccio, per la detenzione ad uso personale e per la condivisione di cannabis con altri consumatori, per quei reati cioè che nel linguaggio giuridico si definiscono «fatti di lieve entità» in materia di stupefacenti. È quanto proposto nuovamente (ci aveva già provato nel 2018 ma senza successo) non da un fratello d’Italia ma da un deputato del Pd, Andrea De Maria, da poco nominato responsabile dell’organizzazione di Energia Popolare, il movimento lanciato a luglio da Stefano Bonaccini (mai chiamarlo “corrente”, però) per far sentire a Schlein il fiato sul collo della minoranza.
Raramente un testo di legge composto da un solo articolo riesce a mostrare una tale sgrammaticatura rispetto alla sintassi politica di riferimento come nel caso della proposta di legge De Maria presentata alla Camera il 12 giugno scorso. In poche parole contraddice anni di analisi – condivisa ormai non solo a sinistra – sul fallimento dello strumento repressivo nella lotta al grande spaccio che ingrassa le mafie, sul sistema di esecuzione della pena giunto al capolinea e sul collasso del sistema giudiziario nel suo insieme. Non bruscolini.
La proposta recita così: «Al comma 5 dell’articolo 73» del testo unico sugli stupefacenti 309/90 (quello cioè che punisce fatti che «per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze», sono «di lieve entità») «le parole: “da sei mesi a quattro anni” sono sostituite dalle seguenti: “da due a sei anni”». Aumentare il massimo edittale della pena sopra il limite dei 5 anni consente tra l’altro le intercettazioni dei sospettati. Ma è il minimo della pena ad apparire davvero sproporzionato: a farne le spese potrebbero essere ragazzini, o al massimo piccoli spacciatori, ancora più piccoli di quelli che già inzeppano le nostre carceri. «Oltre il 34% dei detenuti è in carcere per droghe: il doppio rispetto alla media europea (18%) e quasi di quella mondiale (22%) – fa notare il segretario di Forum Droghe, Leonardo Fiorentini, criticando la proposta – La distinzione fra possesso per uso personale e spaccio è talmente labile, e grande la variabilità dei giudizi rispetto alla lieve entità, che sono le persone con minori mezzi, sia culturali che economici, a finire in carcere».
Neppure il governo Meloni aveva osato tanto: nel decreto Caivano infatti la pena per il reato di spaccio di stupefacenti, nei casi di lieve entità, «passa da un massimo di 4 a un massimo di 5 anni».
«Ci tengo a sottolineare che la proposta non è “proibizionista” ma mira a rendere più efficace il contrasto allo spaccio di droga – risponde alle critiche De Maria – Per le droghe leggere peraltro sono per la depenalizzazione ed ho sottoscritto lo scorso anno la relativa proposta di legge. Penso che lo spaccio di droga vada combattuto con determinazione e senza ambiguità. Come penso che forme di depenalizzazione siano utili anche a contrastare lo spaccio». La proposta di De Maria che, precisa lui, non ha nulla a che vedere con il suo ruolo nel Pd, l’ha «messa a punto nel 2018 con le forze dell’ordine e le associazioni dei cittadini del centro di Bologna, dove lo spaccio è un problema serio»; era «un impegno preso nella campagna elettorale» di allora, spiega. E il fatto di aver deciso di ripresentarla adesso nulla ha a che vedere con l’estrema ricettività al metodo dell’attuale maggioranza di destra: «Non condivido affatto la politica di sicurezza di questo governo», assicura.
Evidentemente però non maneggia molto bene la materia, l’on. De Maria. «Depenalizzare significa l’esatto contrario», fa notare Fiorentini secondo il quale bisogna invece lavorare «per un governo sociale del fenomeno, anche attraverso la regolamentazione legale. Il resto si chiama proibizionismo».
da il manifesto
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