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Non solo Genova, un’Italia di abusi

Oltre al G8, i casi più eclatanti e «politici» sono il pestaggio nel carcere San Sebastiano di Sassari nel 2000, le botte e gli inni fascisti al Global forum di Napoli nel 2001. In entrambi i casi governava il centrosinistra Federico Aldrovandi 17 anni, muore durante un controllo di polizia a Ferrara. Sotto processo ci sono quattro poliziotti Aldo Bianzino Arrestato per possesso di marijuana, non uscirà vivo dal carcere di Perugia. L’inchiesta è stata archiviata

Storie di pestaggi, di abusi, di violenze usate per estorcere notizie. Ma anche di soprusi su «diversi» e luogo di numerose morti «misteriose». Il carcere italiano è anche questo: la sospensione dello stato diritto avviene spesso. Peggio, è quasi routine. Analizzando la situazione penitenziaria degli ultimi anni si ottiene un lungo fascicolo che evidenzia testimonianze, accertate, di «maltrattamenti» e casi di tortura. Quella tortura assente nel codice penale, considerata erroneamente dalla maggior parte della popolazione un affare lontano. Non è così. Il film della tortura in Italia passa per tre istantanee: il pestaggio contro i detenuti al carcere di San Sebastiano (Sassari) nel 2000, la repressione del movimento no global a Napoli, il 17 marzo 2001 e a Genova tra il 20 e 22 luglio dello stesso anno. Tutto senza soluzione di continuità tra governi di centrosinistra o centrodestra.Lunga è la lista di persone che si sarebbero suicidate in carcere o morte per «cause naturali». Solo la testardaggine dei familiari o l’inchiesta di qualche pm hanno permesso di riaprire casi che hanno portato alla condanna di agenti di polizia penitenziaria. Qualche esempio. Il 4 febbraio 2008 un internato dell’ospedale psichiatrico giudiziario «Filippo Saporito» di Aversa muore «suicida» in circostanze ancora da definire. All’età di 17 anni gli era stata diagnosticata una «schizofrenia paranoidea». «Come fa un paziente schizofrenico – sostiene la madre – a impiccarsi con tutta tranquillità, di notte? Dove stavano le guardie?». Si attendono ancora gli sviluppi. Intanto ad Aversa i «suicidi» non si sono arrestati.Uno dei casi più eclatanti è quello di Marcello Lonzi. L’11 luglio 2003 il giovane, 29 anni, viene trovato morto, coperto di sangue e con il volto tumefatto. Secondo l’autopsia la morte sarebbe avvenuta a seguito di arresto cardiaco, quindi per cause naturali. La madre, pensando a un violento pestaggio, sporge denuncia: «Ci sono i segni di vere e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, ecchimosi che possono essere state fatte solo con un manganello. Non sono i segni di una caduta». Il caso è stato archiviato. Con tanti dubbi. Non molto differenti le circostanze della morte di Aldo Bianzino, non sopravvissuto alla prima notte di fermo per possesso di marijuana. Anche in questo caso l’inchiesta è stata archiviata.Ma i casi raccolti dall’associazione Antigone sono tantissimi. La formula legale è sempre la stessa: «Gli accertamenti medico-legali hanno dimostrato che il decesso era avvenuto a seguito di violenze perpetrate da persone accanitesi contro di lui con calci, pugni e corpi contundenti, sì da procurare lesioni letali». Episodi di «semplice» maltrattamento sono invece ancor più numerosi. Tra i soggetti più colpiti gli immigrati. «Mettiti in ginocchio, prega la Madonna e bacia la bandiera italiana», sono gli ordini diretti a B. M., detenuto marocchino, da un agente di polizia penitenziaria rinviato a giudizio per violenza privata. L’episodio risale al marzo 2006 nella casa circondariale di Nuoro. A Biella, all’interno del carcere, nel 2002 è stata trovata una «cella liscia» dove i detenuti sarebbero stati perquisiti e poi colpiti con violenti getti d’acqua sparati da un idrante. Nel fascicolo aperto dalla magistratura si parla di abusi e pestaggi, di omissioni e silenzi dei medici, di intimidazioni da parte degli agenti. In tutto vi sono a tutt’oggi cinquantanove persone indagate. Denunce analoghe a Palermo, Firenze, Forlì, Frosinone, Lecce e Milano. Qui, a San Vittore, O. R., meglio noto come Mohamed l’egiziano, considerato la «mente» dell’attentato dell’11 marzo a Madrid 2006, ha denunciato per maltrattamenti, abusi, torture e umiliazioni: come le richieste di «pregare per loro», «insulti a Dio, al Corano e all’Islam», oltre a minacce di «stupri alle donne musulmane».In base alle convenzioni internazionali c’è però una differenza tra il «maltrattamento», anche grave, e la «tortura». «Sono questi tre elementi a distinguerli – spiega Mauro Palma, presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura – la gravissima sofferenza inflitta, la volontà di infliggerla e la finalizzazione». E a Genova e a Napoli c’era una volontà politica, una cabina di regia. «Durante le giornate genovesi non si tratta di abusi di una o più mele marce, bensì emerge un quadro in cui la struttura nel suo complesso si è caratterizzata in questo tipo di funzionamento», sostiene Palma. Le testimonianze gli danno ragione: dita intenzionalmente divaricate fino a determinare la rottura dei legamenti fino all’osso, persone ferite picchiate sulla ferita stessa e altri trattamenti inumani e degradanti inflitti ai manifestanti. Una volontà di infliggere sofferenza motivata dal volere umiliare e punire la persona detenuta. Le situazioni a Napoli nel marzo 2001 (esecutivo Amato) sono state descritte con modalità analoghe: polizia e carabinieri caricano il corteo e trattengono 80 persone anche prelevandole dal pronto soccorso. Gli arrestati, condotti nella caserma Raniero, subiscono lesioni. Così come il sistematico pestaggio avvenuto il 3 aprile 2000 nel carcere di San Sebastiano a Sassari è una punizione collettiva ai detenuti che avevano «osato» protestare per la mancanza di viveri e acqua. «Tutto ciò mi fa dire che questi tre episodi vanno al di là dei pur gravissimi casi di pestaggi individuali», aggiunge Palma che poi conclude: «Anche se comunque non vanno sottovalutati, in quanto anch’essi indicativi di una cultura pericolosa».

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