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lettera a Veltroni e Amato. Vogliamo i fatti, non solo parole

E’ francamente difficile, in questi giorni, evitare una sensazione di quasi surreale spaesamento di fronte all’indignazione e alle accalorate denunce con cui alcuni autorevolissimi esponenti del Pd commentano lo scempio che si compì a Genova nel luglio 2001. Noi, con decine di migliaia di altri giovani, a Genova c’eravamo. Dove fossero l’allora sindaco di Roma e l’attuale ministro degli Interni non sappiamo. Sappiamo in compenso dove non erano: nelle strade di quella città, alla Diaz, a Bolzaneto. Non solo non c’erano, ma si adoperavano attivamente perché quel movimento immenso fosse isolato e criminalizzato, dipinto come un minaccioso «mucchio selvaggio». La sensazione d’isolamento e di abbandono di quei giorni non la dimenticheremo mai.Non la dimenticherà neppure una intera generazione politica che si affacciava allora sulla scena pubblica e che in quell’esperienza traumatica ha maturato spesso un distacco e una sfiducia nelle istituzioni che costituiscono a tutt’oggi un danno incalcolabile per la nostra democrazia. Non è stata solo la tragedia immensa di un ragazzo ucciso né delle oscene torture riservate a decine di altri. A Genova la fiducia stessa nella democrazia di migliaia di giovani è stata bastonata e torturata. Spezzata come le ossa delle vittime di quella notte.I ragazzi di Genova sono rimasti soli anche dopo la mattanza. I leader che oggi, a sette anni di distanza, denunciano e insorgono, non hanno in questi stessi anni mosso un dito perché gli fosse resa giustizia. Non hanno fatto nulla perché venisse istituita la commissione parlamentare d’inchiesta. Hanno addebitato il fattaccio a qualche responsabilità personale, negandone contro ogni evidenza la valenza squisitamente politica.Il punto dolente non è solo il passato. E’ anche il presente. In una lunga intervista pubblicata ieri da Repubblica il ministro Amato conferma sin nelle virgole la linea di condotta assunta sinora. Mette all’indice, è vero, un’opinione pubblica che si è scandalizzata più per le lontane torture di Guantanamo che per quelle nostrane di Bolzaneto. Però ripete che chiedere le dimissioni dell’allora capo della polizia De Gennaro avrebbe significato farne un capro espiatorio. Nega l’esistenza di qualsivoglia responsabilità politica. Conferma il no alla commissione parlamentare d’inchiesta. Giustifica il comportamento della polizia in piazza, essendo a suo parere comprensibile che «in una situazione di tensione, magari alla quattordicesima ora di servizio in piazza» ci sia «chi non controlla il suo istinto di reazione». Minimizza oltre la decenza i fatti della Diaz ammettendo invece la gravità di quelli di Bolzaneto, addebitati tuttavia alla sola polizia penitenziaria.A Genova Veltroni e Amato non c’erano. Non ci sono stati negli anni successivi. Non ci sono neppure oggi. E’ vero, tuttavia che qualcosa è cambiato. I leader del Pd si sono accorti, complice la campagna elettorale, che quelle giornate non sono rimaste senza conseguenze. Se una parte di quella generazione ha maturato allora un disgusto delle istituzioni che alimenta oggi l’antipolitica, un’altra parte ha scoperto lì la possibilità di un agire politico diverso, è rimasta in campo, è cresciuta politicamente, ha coltivato la speranza in un mondo diverso e la determinazione nel costruirlo. Quella generazione politica costituisce oggi un’appetibile porzione del mercato elettorale ed è questo a spiegare i tardivi e posticci ripensamenti del Pd su Genova. Siamo i primi a sperare di sbagliarci. Siamo i primi a sperare che Veltroni e Amato dimostrino il nostro torto, mettano a nudo i nostri pregiudizi. Non è difficile. Basta che facciano seguire ì fatti alle parole, da subito. Basta che infilino nei loro fragorosi programmi punti dirimenti come la riconoscibilità degli agenti nelle operazioni di ordine pubblico, il disarmo della polizia nelle manifestazioni, l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del G8, l’introduzione della tortura come fattispecie di reato. Basta che chiedano l’allontanamento dalle forze dell’ordine di tutti i coinvolti nelle torture e che parlino infine apertamente di responsabilità politiche e non solo penali in quei fatti.
Giuseppe De Cristofaro (segr. Prc Campania), Michele De Palma (resp. enti locali Prc), Gennaro Migliore (capogruppo Prc alla Camera)

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