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“Le nostre prigioni non sono alberghi”. La risposta ungherese sul caso Salis

La risposta delle autorità ungheresi dopo lo scandalo di Ilaria Salis incatenata in tribunale. A destra c’è chi è d’accordo. Meloni chiama Orban

di Mario Di Vito da il manifesto

Le immagini di Ilaria Salis che entra in carcere in catene hanno fatto il giro del mondo, provocando per lo più reazioni di sdegno. Dall’Ungheria, però, la risposta che arriva non è affatto imbarazzata, ma indispettita, quasi offesa. In vista del consiglio Ue di giovedì Giorgia Meloni ha chiamato il primo ministro Viktor Orbàn per confrontarsi sul caso, sia pure, avvertono le veline di palazzo Chigi, «nel pieno rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ungherese». Prima però si era espresso il Servizio carcerario ungherese, con toni eloquenti: «Nel nostro paese la legislazione in materia e diversi protocolli professionali regolano le condizioni di detenzione con norme rigorose. La presenza dei ratti è una bugia, i penitenziari rispettano elevati standard igienici, ma una prigione è una prigione perché non fornisce i servizi di un albergo 5 stelle». Il riferimento è sia alle lettere mandate da Ilaria Salis negli scorsi mesi sia alla testimonianza (concorde nel descrivere l’assoluto degrado delle prigioni ungheresi) di una sua ex compagna di cella.

A PROPOSITO della questione carceraria, giusto ieri la Corte d’appello di Milano ha ricevuto dall’Ungheria un documento con i chiarimenti richiesti per decidere sulla consegna di Gabriele Marchesi, il giovane milanese accusato, come Salis, di aver preso parte all’aggressione di alcuni neonazisti. Il fatto è che la risposta di Budapest, a parere del procuratore Cuno Tarfusser, è «gravemente deficitaria» e, per questo, continuerà a opporre il suo parere negativo all’estradizione. «Il punto – sostiene Tarfusser – è la mancanza di proporzionalità e ragionevolezza tra il fatto per come viene contestato e la prospettiva di pena. Non posso certamente essere il braccio destro giudiziari’ di Orban all’estero. Nel momento in cui uno stato devia da una prospettiva europea comune sui diritti, io magistrato italiano devo tenerne conto».

La prossima udienza per Marchesi è prevista il 13 febbraio. C’è però in Italia chi sostiene la giurisdizione ungherese. A destra la situazione è la seguente: Forza Italia chiede al parlamento di non dividersi sul caso Salis, mentre il suo leader Antonio Tajani (incidentalmente anche vicepremier e ministro degli Esteri) alterna dichiarazioni preoccupate a frenate per chiarire che comunque non si può interferire più di tanto sugli affari giudiziari di un paese straniero («E Orban non c’entra niente», ha aggiunto). Tra i Fratelli d’Italia si segnalano le parole di Fabio Rampelli, convinto che «la premier riporterà a casa Ilaria Salis». Il ministro Francesco Lollobrigida, sfidando il senso del ridicolo, ha invece evitato ogni commento sostenendo di non aver mai visto le immagini di Ilaria Salis incatenata. Ancora più problematica, per usare un eufemismo, la posizione della Lega, che quasi non vede nulla di strano nella scena delle catene in tribunale. Dice l’eurodeputata Susanna Ceccardi che le vere immagini scandalose sono quelle degli antifascisti «in assetto armato come vere e proprie organizzazioni parabrigatiste».

IL VICESEGRETARIO del Carroccio Andrea Crippa si spinge ancora un po’ più in là: «Spiace per il trattamento riservato a Ilaria Salis e ci auguriamo sappia dimostrare la propria innocenza. Però ogni Paese punisce come vuole e non compete a me giudicare quello che si fa in altri paesi». Le opposizioni, va da sé, sono esplose davanti a queste parole, bollando Crippa come un giustificazionista della violazione dei diritti umani (è il parere più gentile, offerto da Debora Serracchiani del Pd). Per il resto si moltiplicano le richieste a Meloni di riferire in parlamento. Intanto, a Budapest, Giuseppe Salis, il papà di Ilaria, continua a battere la sua personalissima via diplomatica. Ieri mattina è finalmente riuscito a incontrare l’ambasciatore italiano in Ungheria Manuel Jacoangeli, ma è rimasto perplesso di fronte alle spiegazioni ricevute. «Noi fino al 12 ottobre, quando mia figlia ha scritto una lettera – dice Salis -, non avevamo evidenza del trattamento che stava subendo. Gli unici che lo sapevano e non hanno detto nulla sono le persone dell’ambasciata italiana in Ungheria».

QUESTA MATTINA, Ilaria Salis riceverà in carcere la visita dei suoi genitori, che poi venerdì incontreranno a Roma il presidente del Senato Ignazio La Russa. La Farnesina, dal canto suo, continua a muoversi passo lento. Sempre ieri mattina è stato ricevuto l’ambasciatore ungherese. Al centro dell’incontro il rispetto dei diritti umani nelle carceri e la possibilità di riportare Ilaria Salis in Italia e, magari, farle scontare la custodia cautelare ai domiciliari, in attesa che la giustizia faccia il suo corso (la prossima udienza è lontana, il 24 maggio). Intanto il collegio dei garanti dei detenuti fa sapere di aver intenzione di esercitare «senza indugio» nei confronti dell’Ue e dell’Ungheria «le proprie attribuzioni e prerogative di meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti». Appare sempre più evidente che la soluzione della vicenda non riguarderà tanto i tribunali quanto le sedi diplomatiche.

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