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La solidarietà non si processa

La vicenda dell’equipaggio della Iuventa. Nel marzo 2021, quattro membri dell’equipaggio della nave di soccorso civile Iuventa,dopo un’indagine durata cinque anni, sono stati accusati di “favoreggiamento dell’ingresso non autorizzato in Italia”. L’equipaggio della Iuventa è accusato di aver collaborato con i trafficanti in relazione a tre operazioni di salvataggio. Un tentativo di criminalizzazione della solidarietà che ha portato al sequestro della nave e alla chiusura delle operazioni di salvataggio in mare di un percorso di solidarietà autorganizzato e militante.

Gli imputati rischiano una condanna a 20 anni di reclusione e 15.000 euro aggiuntivi per ogni salvataggio.

Tra il 2016 e il 2017 la nave di salvataggio Iuventa ha fatto parte della flotta civile. Si è trattato di un intervento politico concreto in risposta alla politica migratoria dell’UE che ha lasciato annegare in mare decine di migliaia di persone. La reazione dello Stato Italiano per il contributo della Iuventa nel salvare oltre 14.000 persone dall’annegamento nel Mediterraneo centrale, è stata quella di avviare un’indagine approfondita, includendo agenti sotto copertura, intercettazioni telefoniche, sorveglianza delle navi, delle abitazioni e addirittura di giornalisti, avvocati e religiosi.
Le indagini sono diventate note a livello internazionale nell’agosto 2017, quando hanno portato al sequestro della Iuventa, e si sono nuovamente intensificate nel 2021, quando sono state formulate le accuse per “favoreggiamento dell’ingresso non autorizzato in Italia” nei confronti di 21 persone dell’equipaggio di 3 navi di soccorso (Iuventa, STC, MSF) e di una compagnia di navigazione (VROON). L’accusa sostiene che questi salvataggi non sono stati effettuati né in risposta ad un’emergenza in mare, né per salvare le persone da sofferenze e morte certa. L’accusa sostiene di avere delle prove che dimostrano la collaborazione con gli scafisti e i trasbordi diretti, ritenendo che l’unico intento fosse quello di facilitare l’ingresso delle persone in Italia.
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Prima parte – Coraggio mancato
Il 21.05.2022 abbiamo finalmente affrontato i nostri accusatori in un’udienza preliminare presso il Tribunale di Trapani, dove abbiamo constatato che il giudice non ha avuto il coraggio civico necessario per fermare il procedimento. A 5 anni dal sequestro dell’imbarcazione, non si è voluto affrontare il nocciolo della questione: ovvero l’urgente conclusione che il soccorso in mare non può essere un reato perché la fuga e la migrazione non sono un reato. Non è stata detta una parola sul tanto atteso e impellente rilascio dei mezzi di salvataggio confiscati e nemmeno sulla riabilitazione degli imputati e della loro causa. Si è trattato esclusivamente di sanare il lavoro approssimativo delle autorità inquirenti e della Procura per poter finalmente iniziare il processo. La stessa Procura che era riuscita a coordinare 5 diverse agenzie di polizia, tra cui unità antimafia e servizi di intelligence, per mettere fuori uso una nave di salvataggio estremamente necessaria, non è stata capace di giustificare il motivo per cui lo aveva fatto. Non sono stati in grado – o semplicemente non si sono preoccupati – di informare tutti noi imputati delle accuse nei nostri confronti, che non solo ci trascineranno per diversi anni in un assurdo caso giudiziario, ma potrebbero concludersi con una condanna fino a 20 anni di carcere.

Tuttavia, negli ultimi mesi siamo abbiamo ottenuto piccoli “successi”.

Esercizio di tutte le possibilità legali: Un gruppo di osservatori internazionali, a cui inizialmente era stato negato l’accesso al processo, è ora autorizzato a monitorare le prossime udienze. Riteniamo che si tratti di un’importante agenzia della società civile, che osserverà e riferirà sul caso, non solo rendendo visibile un processo socialmente rilevante ma ponendo così le basi per valutazioni, accertamenti e interventi.

Ondata di solidarietà: Nonostante la repressione dello Stato, ci sono stati anche momenti incredibilmente edificanti nello spazio pubblico: noi accusati non eravamo soli! Il giorno della prima udienza si sono mobilitati numerosi gruppi di supporto da tutta Europa, non solo con una manifestazione davanti al tribunale ma con azioni e dimostrazioni in molte città europee. In questa occasione, ci sono state persone che hanno raccontato delle loro lotte facendo riferimento al caso della Iuventa e alle sue vicende, dimostrando così che la lotta per la solidarietà in mare non è isolata ma che ha invece le sue radici in molte e diverse realtà di resistenza!

Seconda parte – Non hanno fretta, non gliene può importare di meno.

29.10.2022 Ci troviamo a Trapani, e ancora una volta l’udienza è stata rinviata… e non a causa di eventi imprevisti o di nuove prove, né tantomeno per un cambio nella politica di criminalizzazione della solidarietà – no, ancora una volta un imputato non è stato correttamente invitato a un incontro rilevante per il procedimento, ancora una volta la sciatteria e l’ignoranza della Procura hanno portato a un ritardo del processo. Questo dimostra quanto sia facile tenere in vita un processo, mantenendo così un effetto intimidatorio nei confronti della flotta civile, anche se non si riesce a ottenere una condanna.

Tuttavia, mentre dobbiamo fare i conti con l’accuratezza dei timbri postali, dei nomi e degli indirizzi, almeno possiamo muoverci liberamente, organizzarci e lottare. Innumerevoli persone in movimento, invece, sono costrette ad aspettare nelle carceri lo svolgimento dei loro processi. Secondo il recente rapporto “Dal mare al carcere” di ARCI Porco Rosso, Alarm Phone e borderline-europe, dal 2013 la polizia italiana ha arrestato più di 2.500 persone con l’accusa di “favoreggiamento dell’ingresso non autorizzato”. Il rapporto “Incarcerare gli emarginati” di Aegean Migrant Solidarity, Deportation Monitoring Aegean e borderline-europe, mostra come in Grecia le persone in movimento accusate di “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”, stimate attorno alle 1.900 persone nel 2019, trascorrano mesi in detenzione preventiva; e quando alla fine il loro caso va a processo, la condanna è determinata attraverso procedimenti molto brevi (la durata media è di 38 minuti). La maggior parte degli imputati viene condannata all’ergastolo (la pena media è di 48 anni). Loro che sono dovuti fuggire o migrare da soli, loro che sono sopravvissuti alla traversata, spesso mortale, e che questa volta hanno avuto la fortuna di passare attraverso la macchina del respingimento per procura. Sono loro le vere persone dietro le “cifre di successo” della lotta delle autorità contro i trafficanti. Le accuse sono altrettanto fasulle, le udienze altrettanto assurde. Ma devono aspettare dietro le sbarre un verdetto di colpevolezza che in realtà è stato emesso già molto prima del loro arresto. Devono servire da capro espiatorio per il mortale regime di frontiera dell’UE, mentre l’unico responsabile è invece l’UE stessa, non disposta a offrire percorsi legali e sicuri. Essi scompaiono dietro le statistiche ufficiali… proprio come coloro che perdono la vita nella fossa comune del Mediterraneo.

Terza parte. #NoTranslationNoJustice!

Oggi stiamo vivendo un’altra sfaccettatura di una giustizia classista, che colpisce in primo luogo i più emarginati, ma che è un attacco contro tutti noi: Il diniego di una traduzione adeguata e di un’interpretazione sostanziale è un ostacolo che ogni persona di lingua straniera è costretta ad affrontare, in quanto il diritto a una partecipazione effettiva ai procedimenti contro di loro è sistematicamente negato dalle autorità – dal primo contatto con la polizia fino ai pubblici ministeri e ai giudici. Queste condizioni ingiuste colpiscono essenzialmente tutti gli imputati di lingua straniera, come noi della Iuventa, ma più duramente coloro che non dispongono di un sufficiente capitale socio-economico o di ampie reti sociali o di solidarietà che li proteggano …. come nel caso di chi è appena arrivato alle frontiere europee su un barcone sovraffollato o è rinchiuso in lager dove non c’è quasi più spazio che per la sopravvivenza quotidiana.

L’elevato numero di condanne e detenzioni per “ingresso o soggiorno non autorizzato” e “favoreggiamento” si basa su testimonianze, documenti firmati e udienze in cui viene sistematicamente negato il diritto fondamentale a una traduzione e a un’interpretazione adeguate, come previsto dalla direttiva europea “Diritto dell’UE (dr 2010/64)”. Questo deve essere quindi inteso come un’altra sfaccettatura della guerra dell’UE contro le persone in movimento e un altro muro della Fortezza Europa contro il quale le persone sono destinate a scontrarsi.

Ecco perché dobbiamo e vogliamo continuare. Ancora più forte, ancora più risoluto. Dobbiamo dimostrare che la nostra solidarietà e resistenza non si lascerà intimidire.

Sito Web: www.iuventa-crew.org Social Media: iuventa-crew

Timeline

4 luglio 2016 La Iuventa viene impiegata nella prima missione di soccorso nel Mediterraneo centrale, al largo delle coste libiche. Nell’anno successivo sono stati coinvolti più di 200 volontari di 16 equipaggi, che hanno assistito 175 imbarcazioni e salvato più di 14.000 persone in difficoltà in mare.

Settembre 2016 La Iuventa è al centro di indagini approfondite che hanno coinvolto diverse agenzie di polizia sotto la supervisione dell’antimafia siciliana. Le indagini hanno fatto seguito alle accuse mosse dagli addetti alla sicurezza a bordo di un’altra nave ONG, tra cui Pietro Gallo. Nel maggio 2019, quest’ultimo si è pentito pubblicamente di essere stato la spia di Salvini e ha insinuato di essere stato corrotto con la promessa di un lavoro. Ammette inoltre di “non aver mai assistito alla collaborazione delle ONG con i trafficanti”.

Maggio 2017 L’MRCC costringe la Iuventa a lasciare la zona SAR durante una grande operazione di salvataggio. Il motivo ufficiale era quello di portare in salvo cinque persone a Lampedusa.
Lì, alcuni membri dell’equipaggio sono stati interrogati. Presumibilmente le autorità hanno piazzato la cimice sul ponte durante la loro permanenza. Da allora, tutte le conversazioni sul ponte sono state intercettate.

02 agosto 2017 La Procura di Trapani ordina il “sequestro preventivo” della Iuventa, segnando il primo episodio di una campagna delle autorità italiane mirata a criminalizzare le missioni di ricerca e soccorso (SAR) in mare.

Giugno 2018 La Procura di Trapani notifica a dieci ex membri dell’equipaggio della Iuventa le indagini in corso per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in Italia”.

Marzo 2021 La Procura di Trapani dichiara chiusa l’inchiesta. In totale 21 persone, di cui quattro della Iuventa, vengono ufficialmente accusate.

2 aprile 2021 La Procura viola in modo massiccio la segretezza delle fonti giornalistiche monitorando le comunicazioni di almeno sette giornalisti che si occupano di Mediterraneo e Libia. Questo potrebbe rendere parte delle prove inammissibili in tribunale e violare le leggi internazionali e nazionali che tutelano il diritto a un processo equo.

21 maggio 2022 Inizio dell’udienza preliminare, in cui si deciderà se far cadere le accuse o se iniziare il processo.

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Fermiamo i crimini contro l’umanità, non le navi umanitarie!

Quando a fine settembre lanciammo un comunicato di solidarietà alla Sea Watch3 , sottoposta a fermo amministrativo (sotto accusa per “aver salvato troppe vite” ) nel porto di Reggio Calabria  temevamo che le  politiche migratorie del nuovo governo sarebbero peggiorate.

Gli Stati sono obbligati a garantire il coordinamento dei soccorsi anche al di fuori delle proprie acque di competenza SAR quando altri Stati competenti non possano o non vogliano intervenire, al fine superiore di salvaguardare la vita umana in mare, principio inderogabile di diritto cogente. I comandanti delle navi, qualunque sia la bandiera che battono, se informati della presenza di una imbarcazione in stato di pericolo (distress) che possono raggiungere mettendo in salvo vite umane sono tenuti a procedere alla massima velocità ( secondo le Convenzioni UNCLOS e SOLAS). Lo Stato richiesto di un porto di sbarco sicuro (POS) non può trasferire la responsabilità di indicare tale porto alle autorità di un paese ancora diviso come la Libia, che non garantisce i diritti umani o che, come Malta, non risponde generalmente alla richiesta di POS per naufraghi soccorsi al di fuori delle proprie acque territoriali. Non esiste una responsabilità primaria dello Stato di bandiera di fornire un Porto sicuro di sbarco, ed in questo senso è unanime la giurisprudenza italiana. Le Convenzioni internazionali, non certo la Conferenza di Valencia, che non può prevalere sulle Convenzioni internazionali ( UNCLOS, SOLAS e SAR), stabiliscono precisi oblighi di soccorso a carico degli Stati, vietano qualsiasi discriminazione tra le persone soccorse in mare, che sono naufraghi e non “clandestini” da trasportare da una costa all’altra, Si può dunque fissare il principio che, in assenza di prove di pericolosità evidente, lo sbarco dei naufraghi non implica alcun pericolo per la sicurezza nazionale.

I divieti che si annunciano sono forieri di denunce penali e di un ritorno alla stagione delle inchieste contro le ONG, “colluse” con i trafficanti, o quantomeno responsabili di avere “traghettato” migliaia di persone. Altre falsità che possono colpire come proiettili i soccorsi operati da navi civili, quando ormai gli sbarchi dalle navi umanitarie riguardano una minima parte dei soccorsi operati nel Mediterraneo centrale anche dai mezzi dello Stato, e sono molto meno numerosi degli “sbarchi in autonomia”, sempre più frequenti. Non sono certo le navi umanitarie ed i loro equipaggi, tanto meno gli aerei civili che avvistano imbarcazioni in difficoltà, responsabili di un “flusso straordinario di sbarchi”, tale da costituire un pericolo per la sicurezza nazionale. In questo clima di falsificazione dei fatti e di larvate minacce di divieti amministrativi e di nuove denunce penali contro gli operatori umanitari, il 2 novembre si rinnovano tacitamente gli accordi con i libici, che minacciano di abbattere gli aerei e intercettare le navi delle ONG che vigilano sul Mediterraneo centrale, impegnandosi contro gli abbandoni in mare ed i sequestri in acque internazionali. I libici operano sempre più evidentemente su diretta commissione degli Stati europei e con il concorso attivo di Frontex e di altre agenzie di sicurezza europee. Tante ragioni in piu’ per denunciare il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017 che la Meloni vuole inasprire con ulteriori aiuti alle milizie libiche colpevoli di crimini contro l’umanità. Il principale obiettivo è il blocco delle ONG anche attraverso attività di intelligence condivise con Frontex, come nel 2017, ai tempi di Minniti, non certo il blocco delle partenze che sono al contrario favorite dalla commistione tra bande criminali e agenti istituzionali. Il Parlamento Ue ha rifiutato di approvare il bilancio 2020 di Frontex, per la mancata tutela dei diritti fondamentali delle persone migranti. Ma nel Mediterraneo centrale Frontex opera in stretto coordinamento con le autorità maltesi ed italiane. La collaborazione di queste autorità e di Frontex con i libici, che non rispettano i diritti umani e la vita dei migranti, e minacciano gli operatori umanitari, deve diventare oggetto di una indagine internazionale da trasmettere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazione sistematica del Regolamento n.656 del 2014 che antepone il dovere di soccorso e la salvaguardia della vita delle persone, alla difesa dei confini, agli accordi bilaterali ed alla lotta contro l’immigrazione “illegale”.

Ancora oggi le autorità italiane non rispondono alla richiesta di un POS (Place of safety) lanciata ieri dalle due navi delle ONG che attualmente si trovano nel Canale di Sicilia. Nessuno Stato, avvertito di un evento di soccorso di persone in situazione di pericolo in alto mare, può rifiutare il coordinamento delle prime fasi delle attività Sar,o attendere l’esito di trattative con altri stati, ad esempio con lo Stato di bandiera della nave soccorritrice, Appare quindi fuorviante ritenere che lo stato di “primo contatto” possa essere lo “stato di bandiera” della nave soccorritrice sulla quale sono saliti i naufraghi, e non invece la prima autorità statale informata dell’evento di soccorso e chiamata a predisporre anche al di fuori della propria zona SAR gli interventi necessari, nel tempo più rapido possibile, attivando tutte le forme di coordinamento interstatale e con le navi civili previste dalla Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979.

Con i terribili venti di guerra che soffiano nel cuore dell’Europa  si investono preziose risorse per aumentare la costruzione e l’uso di strumenti di morte  militarizzando  le frontiere e moltiplicando i crimini contro l’umanità in Libia e non solo. Le navi  delle Ong  sono  l’ultimo baluardo d’umanità rimasto nel gigantesco cimitero che è diventato il Mediterraneo. Attualmente vi sono in mare, in attesa di un porto sicuro: Ocean Viking con a bordo 234 migranti, Humanity con 180 e Geo Barents con 573= 907 vite da salvare SUBITO!

 Siamo tutti complici con le navi umanitarie: Noi vi accusiamo!

PORTI APERTI ALL’ACCOGLIENZA

GIU’ LE MANI DALLE NAVI UMANITARIE!

                                                                                 

ADIF, Carovane Migranti, LasciateCIEntrare, Rete Antirazzista Catanese, Associazione Cledu

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