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La democrazia e il diritto liquido nel presente «no limits»

Quando l’eccezione si fa norma, quando le cattive pratiche si tramutano in prassi politica, il diritto diviene liquido, la norma prêt-à-porter, a disposizione – con un ossimoro per una Costituzione – di chi detiene il potere.

di Alessandra Algostino

Il Presidente della Repubblica è eletto, anzi ri-eletto, e si torna a discutere di legge elettorale.

Lucidamente si è scritto in queste pagine della Costituzione «non violata, semplicemente ignorata» (Gaetano Azzariti, Massimo Villone, Francesco Pallante), si è insistito sulla temporaneità delle cariche e sulla durata del mandato, si è denunciata l’ennesima pessima prova dei partiti politici; così come si è detto, e si dirà, delle ragioni del sistema elettorale proporzionale.

Colpiscono, ripercorrendo le cronache di questi giorni, due elementi: l’appiattimento del tempo sul presente e l’irrilevanza del senso del limite.

Presidente della Repubblica. Complice un’informazione embedded rispetto alla logica dell’evento (coerente anch’esso con l’hic et nunc), il trascorrere delle ore e delle votazioni è stato rappresentato come inutile, una sconfitta, un peso.

Ora, certo lo spettacolo offerto dal dibattito politico facilita la sua percezione come “tempo sprecato”, ma resta che l’elezione del Presidente della Repubblica non è una corsa sui cento metri, ma una lenta camminata verso un punto di incontro.

Non sono le esigenze del presente (dalle aspirazioni dei vari esponenti politici a acquistare visibilità o potere contrattuale alla stabilità del governo Draghi passando per i timori di una fine anticipata della legislatura) a dover essere considerate, ma la creazione di una convergenza che garantisca ora e in futuro la rappresentanza dell’unità nazionale.

Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni, il distacco dalla contingenza è insito nel suo mandato di garanzia; il che, per inciso, implica che percorra l’intero settennato e non sia una carica “a disposizione” della maggioranza di turno, in totale spregio della sua ratio.

Non è un’anomalia che si succedano i giorni e le votazioni, lo è se mai che si possa pensare di traslocare senza soluzioni di continuità da un organo ad alta intensità di indirizzo politico ad uno di garanzia.

Di nuovo il tempo, che non è quello presente, ma richiede un periodo di raffreddamento. E il non rispetto del limite, quando si prospetta una torsione dell’ordinamento, senza considerare le ragioni profonde che sottostanno all’assetto istituzionale.

Si è manifestata prepotente in questi giorni una insofferenza, ormai di lungo corso, per i tempi della discussione parlamentare, che fornisce, oltre che un (altro) facile assist a chi mira alla demolizione del Parlamento, alimento alla virata verso presidenzialismi e semipresidenzialismi (non a caso immediatamente evocati da più parti).

Il Presidente deve essere eletto direttamente, senza “perdere tempo”, immediatamente, senza mediazioni; il Presidente deve decidere, non accordarsi (scordando, come si insegna nei corsi di diritto costituzionale comparato, che in una forma di governo presidenziale sono imprescindibili checks and balances, e un organo legislativo forte è quanto mai necessario, sempre, ça va sans dire, che si voglia aspirare a essere una democrazia).

Non è solo a rischio la Costituzione del 1948, ma il senso profondo del costituzionalismo, della limitazione e dell’equilibrio dei poteri.

Legge elettorale. È una buona notizia il ritorno nella discussione del sistema proporzionale (per inciso, necessaria toppa alla ferita alla rappresentanza causata dalla riduzione del numero dei parlamentari), ma non sono le sue ragioni a riportarlo in auge, dopo la sua demonizzazione nel nome del credo maggioritario, bensì spiccioli calcoli elettorali di forze politiche aggrappate al momento presente.

Ora, che proporzionale comunque sia (puro), ma la legge elettorale non deve essere asservita alle utilità del momento di consorterie politiche autoreferenziali.

Il sistema elettorale, cinghia di trasmissione fra sistema politico e istituzioni, mezzo attraverso il quale si dà corpo a quella rappresentanza che invera la sovranità popolare, non può essere scelto in base a calcoli di basso opportunismo.

La sua funzione è costruire la rappresentanza nei giorni che verranno, garantendo il pluralismo, ovvero tutti.

Del costituzionalismo, si tradiscono il senso del limite e la prescrittività. Quando l’eccezione si fa norma, quando le cattive pratiche si tramutano in prassi politica, il diritto diviene liquido, la norma prêt-à-porter, a disposizione – con un ossimoro per una Costituzione – di chi detiene il potere.

Ogni analogia con il “no limits” della voracità neoliberista è voluta. E un diritto e una politica appiattiti sul presente chiudono l’orizzonte. Scompare il futuro da costruire e immaginare, in coerenza con una democrazia senza conflitto.

Un presente senza futuro riproduce se stesso, cieco alle diseguaglianze sociali, alla catastrofe ambientale, violento contro chi non lo accetta (le manganellate agli studenti lo ricordano una volta di più).

da il manifesto

Comments ( 1 )

  • turi palidda

    veloce traduzione in italiano dell’articolo pubblicato qui: https://blogs.mediapart.fr/salvatore-palidda/blog/290122/misere-de-la-politique-en-italie-et-repli-sur-la-diarchie-neo-liberale

    Come era del tutto prevedibile, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nel gennaio 2022 è stata l’occasione per l’evento più sconcertante che si possa immaginare. Berlusconi, l’uomo accusato di essere diventato ricchissimo grazie al sostegno della mafia e di politici corrotti, l’uomo che si era affermato come il parvenu che può permettersi una pletora di cortigiane, accompagnatori e cortigiani, è stato il primo a proporsi come il futuro Presidente della Repubblica, scommettendo sul sostegno delle destre e di parlamentari senza partito e pronti a vendersi. Dopo il fallimento di questa ignobile candidatura, la destra (fascisti-razzisti e sessisti di Fratelli d’Italia e della Lega) ha preteso di eleggere la signora Casellati, l’ex avvocato di Berlusconi, quella che -contro ogni prova- aveva detto al Parlamento che Ruby, l’allora minorenne escort del suo capo, era la nipote di Mubarak- colei a cui piace abusare di voli dello stato per i suoi viaggi personali. Dopo il totale fallimento di questi tentativi, le destre hanno poi sondato la possibilità di altre candidature, tutte ovviamente molto discutibili. Nel frattempo, l’ex sinistra (il Partito Democratico) e il Movimento Cinque Stelle (M5S, che all’inizio di questa legislatura era il primo partito in Parlamento) hanno giocato l’attesa, cioè l’esaurimento dei tentativi delle destre e soprattutto l’inevitabile arrivo al punto di partenza, la rielezione di Mattarella.
    Questa soluzione è il risultato di due fatti importanti. Per mesi Mattarella aveva detto più volte di non voler assolutamente essere rieletto e aveva anche iniziato a traslocare dal Quirinale insieme a tutti i suoi collaboratori. Ma tutti sapevano che alla fine avrebbe accettato la rielezione non appena nessun’altra candidatura si fosse rivelata insostenibile e non appena la pressione internazionale fosse cresciuta molto forte per mantenere lo status quo. Dal canto suo Draghi ha finito per dire che voleva essere eletto presidente. È qui che si è scatenata la totale confusione perché il suo abbandono della carica di capo del governo non può che sfociare nella crisi e quindi in elezioni anticipate. Nessuno crede alla possibilità di tenere insieme tutti i partiti dell’attuale coalizione di governo (che comprende la destra, il M5S e l’ex sinistra e di fatto una parvenza di opposizione del piccolo partito fascista Fratelli d’Italia) perché questa coalizione è stata creata con la garanzia di Mattarella e Draghi come soluzione allo stato di emergenza sanitaria ed economica. Ed è noto che la Comunità europea così come la finanza internazionale ha fiducia solo in questa diarchia e in particolare in Draghi, padrone di un infallibile orientamento neoliberista che al tempo stesso riesce a mantenere relativamente calmo il conflitto sociale.
    E soprattutto, la maggioranza degli attuali parlamentari sa benissimo che non verranno rieletta non solo perché alle prossime elezioni ci sarà una riduzione di deputati e senatori, ma perché molti dirigenti di partito sono cambiati e il M5S è destinato a essere ridotto a un piccolissimo partito. È quindi evidente che la stragrande maggioranza dei parlamentari non vuole assolutamente che la legislatura finisca adesso, cosa certa se Draghi fosse stato eletto Presidente della Repubblica, perché non si é ancora nel presidenzialismo alla francese anche se la tentazione di arrivarci è forte e in parte già in atto con Napolitano e anche Mattarella. In altre parole, se è vero che le destre sono la maggioranza secondo i sondaggi, non vi è alcuna garanzia che questo possa tradursi in una coalizione di governo credibile e stabile. I vertici di Lega e Fratelli d’Italia hanno più volte mostrato la loro miserabile capacità di governo e serietà oltre alla loro propensione alla corruzione (che colpisce anche l’ex sinistra). Quanto al partito di Berlusconi (Forza Italia) ora è ridotto a una piccola formazione ed è probabile che alle prossime elezioni scompaia.
    Inoltre, è certo che i “poteri forti” -la Commissione Europea, la Banca Europea, la Banca Mondiale e la comunità finanziaria internazionale- hanno detto esplicitamente di non volere un cambiamento della diarchia Mattarella-Draghi (M-D). Questa è la prova più evidente non solo che l’Italia è un paese senza sovranità, ma che la maggioranza dei politici italiani di destra ed ex sinistra sono diventati una nullità e privi di ogni capacità di agire politico. È l’epilogo prevedibile di quasi trent’anni di sistema elettorale cosiddetto maggioritario che si è evoluto al punto da erodere la rappresentatività, conferendo ai boss dei partiti (e frazioni di partiti) il potere assoluto di nominare gli eletti, un evoluzione voluta dalle destre e dall’ex sinistra (che così è finita per diventare più neoliberista delle destre). Di conseguenza, il Parlamento ha perso ogni capacità di esercitare il suo potere legislativo perché i governi governano per decreti e impongono le leggi già scritte da spin doctor e lobby o dai più potenti gruppi di pressione. A questo proposito, con il suo sfacciato dispotismo, il governo Draghi ha battuto ogni record di governo per decreto appropriandosi il potere legislativo, sotto lo sguardo benevolo, paterno e totalmente solidale del presidente Mattarella.
    Dopo la tremenda scelta di costituire il governo Monti da parte dell’allora presidente Napolitano, la diarchia MD si è rivelata sempre di più come l’orribile trionfo del primato del PIL a discapito della salute pubblica e delle più elementari aspettative dei lavoratori e della popolazione senza o con reddito basso (vedi l’articolo di Marco Revelli e quello di Andrea Fumagalli).
    Ora che la lotta per l’elezione del nuovo presidente è finita, l’attuale ipereterogenea coalizione di partiti ancora in conflitto tra loro non può che piegarsi maggiormente ai dettami del despota Draghi e del suo Presidente, salutati dai media mainstream come il ” salvatori della patria”. I soldi del Piano per la ripresa e la resilienza (PNRR) andranno quindi ancora alle imprese, alle banche, ai ricchi e non alla sanità pubblica e ancor meno ai lavoratori e ai più svantaggiati. Il futuro è molto preoccupante dal punto di vista degli interessi dei lavoratori e della popolazione senza tutele e dal punto di vista della difesa dei diritti fondamentali di tutte le persone (italiani e immigrati). Ma è anche molto preoccupante dal punto di vista degli interessi del Paese sempre più alla mercé dell’egemonia statunitense, in particolare per quanto riguarda gli affari militari e alla mercé delle lobby nucleari disattendendo la volontà di oltre il 70% degli elettori che hanno votato due volte contro questa scelta).
    Siamo quindi alla perpetuazione di questa diarchia Mattarella-Draghi perché la popolazione italiana è stata derubata di ogni possibilità di esprimere una rappresentanza politica un po’ vicina alle sue aspettative. Aspettative ovviamente contrarie a quelle della finanza internazionale, del neoliberismo condiviso dalle destre e dall’ex sinistra, come si vede nelle tante lotte in corso nelle fabbriche, nelle scuole, nei porti, nei quartieri popolari.
    È quindi probabile che il futuro sarà segnato dallo sviluppo di rivolte operaie e popolari che dovranno confrontarsi con forze di polizia sempre più violente, come abbiamo visto nei giorni scorsi quando hanno brutalmente bastonato i giovanissimi studenti che protestavano a seguito della morte del loro collega per infortunio sul lavoro durante lo stage gratuito (obbligatorio) in azienda. Questo è l’altro volto del despota Draghi che, da ul lato mostra un volto rassicurante, pacato, pacifico, ma è fermamente intento a imporre a tutti i costi le sue scelte, che saranno lacrime e sangue per la popolazione senza tutele e per i lavoratori. Perché ora, finito con il ritornello di una crescita eccezionale, promesse di finanziamenti di ogni sorta per tutti (in particolare con i cosiddetti ecobonus per la caldaia, i lavori in appartamento, l’auto nuova, la bicicletta elettrica ecc. ecc.), si passa a un fortissimo aumento di gas, luce, carburante e persino tasse (mentre sono concesse riduzioni per i redditi dei più abbienti). Insomma, il nuovo mandato settennale della Presidenza della Repubblica inizia non bene e nel 2023 si chiuderà male l’attuale legislatura.

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