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Il Sistema penitenziario, tra speculazione finanziaria e gestione penale della crisi.

Se 30 anni fa sul tema della repressione e delle politiche penitenziarie era prioritario un lavoro di informazione o di controinformazione, oggi è opportuno ricostruire anche una seria riflessione sulla critica del sistema penitenziario e punitivo nel suo insieme fin dalle sue origini, valorizzando quei frammenti di memoria critica spesso dispersi o sovrastati dal securitarismo che ormai pervade ogni ambito della politica (compresi molti di coloro che si ritengono “alternativi.

Non si tratta solo di affermare una critica antagonista al sistema capitalistico e alle sue istituzioni totali, è invece utile individuare passo dopo passo, tutti quegli aspetti che legano politiche sulla sicurezza, repressione e controllo sociale alle dinamiche proprie del sistema economico e politico nel quale viviamo, alla sua crisi irrisolvibile ed ai compiti affidati agli apparati repressivi, atti al controllo ed al condizionamento sociale, o di tipo controrivoluzionario, apparati che mutano strategie e pratiche a seconda dei contesti storici e politici.
Non è certo un mistero come diversi aspetti di natura normativa, vedi l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, le norme sulla recidiva, le leggi sulla immigrazione e sul consumo di sostanze psicotrope, le leggi sui reati associativi ecc. investano tutti i differenti piani del corpo sociale con l’intento di indirizzare il conflitto, la marginalità, isolando ogni prospettiva politica nel contesto repressivo, imponendo il ricatto della collaborazione in luogo delle misure alternative in teoria alla base della applicazione dei criteri costituzionali della pena.
In questo quadro, proprio nel pieno di una crisi in larga parte prodotta dai settori speculativi e finanziari oggi al governo, nella continua corsa al risparmio, non poteva mancare l’ennesima sortita da giocoliere di chi, sulla pelle di decine di migliaia di proletari prigionieri, barcamenandosi tra consorterie ed affari al limite della stessa legalità, tenta di governare il sistema penitenziario italiano.
In linea con i nuovi indirizzi di liberalizzazione, già utilizzati a suo tempo nella Inghilterra della Thatcher, il governo Monti non ha pensato a varare una Amnistia, o a modificare le leggi vergogna che riempono il carcere di immigrati, di uomini e donne che sono ai margini della società e costituiscono una parte della attuale forza lavoro in esubero. Il Governo Monti sta continuando il lavoro intrapreso dal governo Berlusconi con il piano carceri, si differenzia su pochi e insignificanti punti, per esempio portare da 12 a 18 mesi i mesi di fine pena da trascorrere ai domiciliari (per piccoli reati) così ridurre la spesa pubblica, ma questo non vale per una vasta categoria di reati esclusi totalmente da questa possibilità.
Nell’ottica della liberalizzazione e di una presunta razionalizzazione verrà dato in pasto ai capitali privati l’ambito boccone del settore penitenziario, sulla falsariga di quanto già fatto sul piano della protezione civile, magari aggirando anche quelle normative che dovrebbero rappresentare la base di ogni legalità.
Già i precedenti governi avevano subodorato l’affare, sotto forma di appalti sottratti a ogni gara o verifica, ma il governo Monti , forte del consenso bipartisan, pare avere una marcia in più e così arriva una iniziativa che potrebbe in breve tempo portare il nostro sistema penale in una situazione simile a quanto avviene negli Stati Uniti d’Amerika, dove le prigioni private, e lo sfruttamento della manodopera prigioniera, sono una realtà.
Nel silenzio generale è infatti passato l’articolo 44 del decreto liberalizzazioni del Governo Monti in tema di carceri, articolo con cui si individua nei soggetti privati, i titolari alla costruzione ed alla gestione delle carceri.
Il progetto, chiamato “Project financing”, ossia (per utilizzare l’espressione impiegata dal legislatore) “la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione”, è un modello per il finanziamento e la realizzazione di opere pubbliche. Ma tra tutte le opere pubbliche di cui il nostro paese ha bisogno (scuole, ospedali, centri di riabilitazione, aree verdi attrezzate) perché i privati sono tanto interessati alle carceri? E il Governo Monti e il ministro Severino non si erano presentati come i fautori di una diversa politica in tema di detenzione rispetto al Governo Berlusconi? solo parole, visto che il decreto sulle liberalizzazioni è in piena sintonia con il piano carceri voluto dalla destra.


Torniamo per un attimo al project financing, gli aspetti qualificanti sul piano economico sono :


a) la finanziabilità del progetto, ossia la produzione di un flusso di cassa (cash flow) sufficiente a coprire i costi operativi, remunerare i finanziatori assicurando un certo margine di profitto.


b) la concentrazione del finanziamento in un autonomo centro di riferimento giuridico e finanziario (Special Purpose Vehicle, una sorta di società di progetto), a cui affidare i mezzi finanziari e la realizzazione del progetto stesso.


c) la costituzione a favore dei finanziatori esterni dell’iniziativa di “garanzie indirette”, attraverso una ampia gamma di accordi tra le parti interessate limitando ai minimi termini la possibilità di rivalsa dei finanziatori e degli altri creditori (appaltatori dei lavori, fornitori ecc.) nei confronti degli sponsors.


l’articolo prima menzionato del decreto recita:


Al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento, al concessionario è riconosciuta, a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione dell’infrastruttura e per i servizi connessi, ad esclusione della custodia”.


La gestione carceraria, eccezion fatta per le guardie, sarà quindi affidata a imprenditori privati che nelle carceri intravedono un affare lucroso. Ed è da considerare dunque che ogni figura non prettamente di polizia sarà di formazione privata, così la gestione amministrativa, il che in un carcere significa gestire quasi tutto.


Il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, con il finanziamento di almeno il 20 per cento del costo di investimento“.


In pratica, l’intera operazione assicura alle banche l’ingresso nell’affare, e questo servizio o sarà pagato con denaro pubblico o si costringeranno i detenuti a lavorare a prezzi stracciati attrezzando gli istituti di pena per piccole lavorazioni oggi offerte a pochi euro l’ora da paesi del Sud Est asiatico o del nord Africa (o paesi dell’Est europeo).
Insomma invece di delocalizzare produzione, in futuro potrebbero esserci i detenuti a lavorare a costi ancora più ridotti.
Sul punto non vi sono certezze, ma l’esempio amerikano è certo ben presente agli attuali legislatori. In Ameika del Nord vi sono percentuali più alte di detenzione per abitante, percentuali che costituiscono un record mondiale di prigionia; i detenuti, in molti penitenziari, sono lavoratori salariati pagati appena ventitre centesimi di dollaro l’ora, spesso impiegati in attività connesse a produzioni di tipo militare e strategico, con quel complesso militare-industriale e bancario che ha un peso determinante nel condizionare le politiche e le scelte penitenziarie degli stati Nord Americani.
Tra qualche anno, questa realtà potrebbe approdare pure nel nostro universo carcerario, costituendo una involuzione definitiva in favore di un business securitario inarrestabile capace di condizionare, così come avviene negli Stati Uniti, l’intero regime istituzionale.
Certo non mancheranno le controtendenze, sia nel corpo della popolazione detenuta, finora costretto al silenzio, sia nelle componenti corporative di un universo nel quale sopravvivono abitudini e codici non scritti antichissimi, uno degli ambiti meno aperti a qualsiasi cambiamento, ma è altrettanto certo che l’ingresso dei capitali e degli investimenti finanziari prima nel settore sicurezza, difesa, ora nel campo penitenziario, costituisce una delle principali novità di questi anni.


Il piano di EDILIZIA PENITENZIARIA prevede due tipi di intervento:


– la realizzazione di padiglioni detentivi in ampliamento delle strutture esistenti;


– la realizzazione di nuovi istituti penitenziari.


L’ordinanza (n. 3861 del 2010) di nomina del Commissario delegato per il Piano carceri è stato l’atto conclusivo di un procedimento legislativo articolato, avviato dalla “Disposizione in materia di infrastrutture carcerarie” contenuta dal Decreto Legge 30 dicembre 2008 n. 207 (convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 2009 n. 14).
In particolare, l’articolo 44 bis del Decreto Legge prevede “norme straordinarie per la velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale”, dando facoltà al Presidente del Consiglio dei Ministri di emanare (anche di concerto con gli altri Ministri interessati) decreti ad hoc volti a fronteggiare “particolari ragioni di urgenza connesse con la contingente situazione economico finanziaria del Paese ed al fine di sostenere e assistere la spesa per investimenti.
Sulla legittimità giuridica di questa operazione abbiamo già scritto, sospettando che negli intenti del Governo ci fosse una gestione della operazione sul modello protezione civile spa, aggirando regole e leggi in materia di appalti il piano si concluderà (salvo ripensamenti) nel dicembre 2012 con la costruzione di nuovi carceri (11) e nuovi padiglioni.
In Italia, la popolazione carceraria è composta in larga maggioranza da detenuti per reati collegati al consumo di sostanze e a violazioni delle norme in materia di immigrazione, mentre cresce il numero di chi va dentro per piccoli furti causati dalla miseria crescente di larghi strati della popolazione. In questo quadro sociale la priorità del Governo non è quella di rimuovere le leggi vergogna (la Bossi-Fini, la Cirielli, la Fini-Giovanardi, la modifica dell’art.4 bis dell’ordinamento penitenziario ecc.), ma semplicemente razionalizzare il settore per darlo in pasto al capitale privato, utilizzare insomma gli scarti sociali della crisi per produrre nuovi profitti sulla pelle di questi stessi scarti, tali sono per costoro quelle categorie sociali spinte ai margini dalla crisi economica.


Nel frattempo, il Parlamento sta approvando il decreto cosiddetto “svuota carceri” (per abbattere la spesa pubblica) che prevede la possibilità di trascorrere ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di pena (e non 12 come avviene oggi) per piccolissimi reati, ma le eccezioni sono tali da restringere di molto la sua applicazione. Questo decreto prevede anche la istituzione di celle carcerarie nelle caserme di P.s., C.C. e Finanza dove rinchiudere per brevi periodi persone non destinate a lunghe pene detentive, si tratterà di brevi “soggiorni” per lo piu’ lontani dagli occhi di avvocati, volontari, personale civile non autorizzato ad entrare dentro caserme e strutture in teoria non di tipo detentivo.


Saranno le caserme i luoghi ideali dove potranno consumarsi gli “eccessi” spesso all’origine di violenze, soprusi e anche morte delle persone ivi ristrette. Ironia della sorte questo decreto cosiddetto svuota carceri, prevede in realtà l’aumento del ricorso alla detenzione, anche se per brevi periodi; un decreto che corre parallelamente alla privatizzazione delle carceri e alla americanizzazione di un modello detentivo e repressivo di cui non sentiamo alcun bisogno e che è, in tutta evidenza, direttamente connesso alle gestione penale e repressiva della crisi del sistema.


Zone del Silenzio – Pisa

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