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Coperture di Stato per gli omicidi Claps e Gianfredi

Le chiama «coperture di Stato». Sono le azioni che hanno impedito per 17 anni il ritrovamento dei resti di Elisa Claps, uccisa il 12 settembre del 1993, e per 15 anni la soluzione dell’omicidio dei coniugi Gianfredi, uccisi a Potenza in località Parco Aurora il 29 aprile del 1997, in un agguato che gli investigatori definiscono «di stampo mafioso». Un’inchiesta giornalistica della Gazzetta ha permesso ai magistrati della Procura di Salerno di ipotizzare strani coinvolgimenti di alcuni agenti del Sisde, il vecchio servizio segreto civile, nei più ingarbugliati misteri lucani. «È inquietante», dice don Marcello Cozzi, leader dell’associazione antimafia «Libera».

Don Marcello, cosa sono queste coperture di Stato? «Sono i depistaggi, gli interventi sotterranei, le trame che hanno impedito la soluzione dei due casi. Il fatto che i due delitti siano collegati Libera lo sostiene da tempo, ma finora non siamo riusciti a capire da cosa».

Il coinvolgimento di uomini dei servizi segreti spiegherebbe tante cose. «Certo. Se così fosse avremmo la chiave per comprendere tutta una serie di avvenimenti, in entrambi i casi, che altrimenti sarebbe inspiegabile».

Ad esempio? «Ad esempio: perché è stata bruciata l’informativa del Sisde del 1997 sul caso Claps? E chi ha fatto, in quello stesso anno, la telefonata in Questura per dire che l’omicidio Gianfredi era stato uno sbaglio (una persona dall’accento calabrese chiamò al centralino della Qustura e disse che l’intento era quello di uccidere un pentito siciliano che si pensava fosse nascosto a Potenza, ndr)? Erano entrambi depistaggi?».
Quindi i due casi potrebbero essere legati da chi ha pianificato o ordinato i de pistaggi? «Questo è difficile dirlo. Ma abbiamo notato che ogni qual volta i due casi vengono accostati c’è più di una persona che perde le staffe. C’è chi si arrabbia, tanto da avere manifestazioni strane e scomposte. E questo insospettirebbe chiunque. Ritengo, inoltre, che i due casi vadano inseriti in un contesto più ampio».

Quale? «È da tempo che in Basilicata pezzi dello Stato finiscono in inchieste su sospetti tentativi di condizionare l’attività giudiziaria. Cosa è accaduto in quegli anni nei palazzi di giustizia?».

A proposito di queste inchieste. È di qualche giorno fa la notizia di una strana indagine condotta dalla Procura di Potenza di cui si è occupato il procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli nell’inchiesta bis sulle toghe lucane. Lei è parte offesa. «Mi pare di capire, dagli articoli di giornale, che ci sia stato un tentativo di fermare me e la fondazione antiusura con metodi per nulla ordinari. Mi chiedo perché il pm Claudia De Luca s’incontrasse con un ex agente del Sisde e con carabinieri e agenti della Guardia di finanza a San Nicola di Pietragalla. C’era un ufficio distaccato della Procura? O una Procura parallela?».

Ora ci diranno che era solo un incontro casuale. «Con tanto di relazione di servizio? E con la successiva convocazione di una vittima di usura che da noi è stata aiutata, ma che ha ottenuto il finanziamento solo dal ministero. Cosa avrebbero voluto che dicesse?».

Era una scusa per indagarvi? «Non è nostro costume sottrarci alle indagini. Ogni qual volta ci sono stati chiesti i documenti della fondazione antiusura li abbiamo messi a disposizione. Lo avremmo fatto, con piacere, anche questa volta. Mi preoccupano, invece, i metodi di quella indagine. Erano legittimi? Aspetto di sapere come sono andate davvero le cose, poi deciderò se querelare questi signori».
 
Fabio Amendolara da La Gazzetta del Mezzogiorno

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