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Da noi, ergastolani ostativi, un appello: l’Europa ci sottragga a questa tortura

La lettera inviata da 47 detenuti del Carcere di Opera, tutti condannati all’ergastolo “ostativo”, al Comitato europeo per la prevenzione della tortura. La lettera è stata fatta pervenire al Comitato di Strasburgo per il tramite dell’associazione radicale “Nessuno tocchi Caino”.

Siamo un gruppo di detenuti “ergastolani ostativi” e ci rivolgiamo a Voi per denunciare non soltanto quello che consideriamo un trattamento inumano e degradante nei nostri confronti, ma anche per denunciare un vero e proprio “tradimento” da parte dell’Italia la quale, secondo noi, viola i principi sanciti dalle Convenzioni del Consiglio d’Europa, dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, oltre che dalle raccomandazioni di questo Comitato.

Noi, sicuri di quanto affermiamo perché lo viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni, riteniamo con assoluta certezza che la pena del cosiddetto ergastolo ostativo, cui siamo sottoposti, sia stata e continui a essere una violazione in atto dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Sappiamo bene che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ammette l’irrogazione dell’ergastolo, purché però l’ordinamento nazionale preveda un momento certo, conoscibile fin dall’inizio della detenzione, entro il quale vi sia la possibilità concreta ed effettiva per il condannato di ottenere il riesame della pena ai fini della eventuale rimessione in libertà.

Sappiamo altresì che la Corte costituzionale italiana riconosce una pluralità di funzioni alla pena, quale la funzione retributiva e quella di difesa sociale, purché però la finalità rieducativa – l’unica espressamente prevista dall’art. 27, comma 3, della Costituzione – non sia mai integralmente paralizzata. Naturalmente siamo d’accordo su questi principi; come anche quando la stessa Corte costituzionale sostiene che l’Italia include nel suo ordinamento misure attenuative del regime detentivo, fino alla concessione della liberazione condizionale estintiva della pena, misura alla quale anche l’ergastolano può accedere dopo 26 anni di espiazione.

Tutto ciò, però, è vero soltanto sulla carta. Nella realtà esistono categorie di detenuti che, in ragione dei reati che hanno commesso (reati cosiddetti ostativi), questa possibilità non ce l’hanno ove non collaborino alle indagini di giustizia, non certo al percorso trattamentale penitenziario! Non hanno cioè le opportunità concrete ed effettive per fruirne.

La verità è che in Italia esiste “l’ergastolo ostativo”, cioè uno sbarramento automatico che l’ordinamento penitenziario ha frapposto fra l’ergastolano non collaborante ed i benefici penitenziari. Infatti, l’art. 2 del decreto legge 152 del 1991 preclude ai condannati per i reati indicati nell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario la possibilità di accedere (anche) alla richiesta di liberazione condizionale di cui all’art. 176 del codice penale, salvo che non “collaborino con la giustizia” ai sensi dell’art. 58-ter dell’ordinamento penitenziario, fornendo cioè, a carico di altri, indicazioni di accusa che si rivelino di aiuto all’attività giudiziaria (collaborazione esigibile e utilmente prestata).

Di più. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Grande Camera, Vinter c. Regno Unito, 9 luglio 2013) riconosce al condannato all’ergastolo il diritto di conoscere il momento certo in cui il riesame della sua pena avrà luogo o potrà essere richiesto, manifestando una netta propensione a favore di una prima revisione entro un termine massimo di 25 anni da quando la pena perpetua è stata inflitta. Eppure alcuni di noi sono in carcere da oltre venticinque anni, e – non avendo collaborato con la giustizia – non hanno alcuna prospettiva di riesame della pena perpetua cui sono stati condannati.

La nostra, dunque, è una pena fino alla morte. Siamo così stritolati da un meccanismo analogo a quello operante nei Paesi mantenitori della pena capitale, laddove essa è obbligatoria per certe categorie di reati, così esautorando il magistrato di ogni facoltà discrezionale di decidere caso per caso l’entità della pena.
(…) Nei confronti degli di ergastolani ostativi lo sbarramento automatico preclude loro ogni beneficio.

Anche se il detenuto è radicalmente cambiato; anche se ha seguito con volontà fattiva e coscienza matura i percorsi di rieducazione proposti dal personale del carcere; anche se ha preso definitivamente le distanze da ogni scelta criminale: tutto ciò non conta, perché il meccanismo astratto ed assiomatico dell’art. 4-bis non gli consente di aspirare ad un progressivo ritorno alla libertà.

Il risultato è che i detenuti gravati dalle preclusioni ex art. 4-bis scontano una pena perpetua, rigida, immodificabile e senza speranza, quindi non conforme ai principi stabiliti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo oltre che da questo Comitato. Ad oggi, per l’ergastolano ostativo non esiste alcun rimedio, nessuna possibilità di recupero qualunque cosa faccia, a meno che non collabori con la Giustizia.

Consentiteci una domanda: questa non è tortura? Quando una tortura è tale? Ci sembra paradossale che un principio fondamentale sancito in tutti gli ordinamenti, compreso il nostro, cioè il diritto al silenzio, possa valere nella fase processuale, quella preposta all’accertamento della verità, mentre diventi ragione di un regime detentivo integralmente intramurario e privo di alternative, trasformando così l’esecuzione della pena da percorso rieducativo a strumento di prosecuzione delle indagini.

Noi siamo ben consapevoli di essere stati dei carnefici. Sono stati colpiti dei deboli attraverso le nostre azioni violente: è vero! Abbiamo procurato l’ergastolo del dolore ai familiari delle nostre vittime: è vero!

Tutto ciò ci addolora infinitamente. E sarebbe superfluo aggiungere che sia i carnefici che le vittime avrebbero voluto e desiderato un destino diverso: purtroppo, però, indietro non si torna. Abbiamo colpito dei deboli: è vero! Ma anche noi siamo dei deboli e lo siamo proprio perché siamo colpevoli, ma siamo altresì consapevoli che nessun uomo resta per sempre quello che è stato una volta. (…)

Se la finalità del Comitato è la tutela dei diritti dell’uomo noi vi dimostreremo, documentalmente, che in Italia è in atto una «pena di morte nascosta» – come Papa Francesco ha definito l’ergastolo – comminata di fatto in base all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario.

Siamo condannati a una pena perpetua non riducibile, dunque illegittima. In questa nostra convinzione siamo confortati dalle analoghe, recenti prese di posizione del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (dottor Santi Consolo) che si è chiarissimamente e pubblicamente espresso contro l’ergastolo ostativo, così come hanno fatto alcuni Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale (i professori Giovanni Maria Flick e Gaetano Silvestri) e, a titolo personale, il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (avvocato Giovanni Legnini). Ci auguriamo che anche questo Comitato, al termine dell’ispezione che Vi chiediamo di svolgere, voglia prendere posizione in tal senso.

Con sentita stima,

Alfonso Agnello, Antonio Albanese, Giovanni Alfano, Franco Ambrosio, Antonio Antonucci, Vito Baglio, Bernardo Bommarito, Francesco Bruno, Mario Buda, Salvatore Busco, Salvatore Calafato, Roberto Cannavò, Maurizio Campanotta, Angelo Caruso, Rosario Casciana, Giuseppe Castaldi, Alessandro Crisafulli, Marcello D’Agata, Tommaso Depace, Francesco Di Dio, Luigi Di Martino, Giuseppe Farao, Paolo Furnò, Salvatore Galati, Francesco Gattini, Pasquale Genovese, Costanzo Girolamo, Giuseppe Grassonelli, Giuseppe Lucchese, Orazio Paolello, Dragomir Petrovic, Antonio Pulli, Gaetano Puzzangaro, Emanuele Radosta, Antonino Rodà, Diego Rosmini, Giuseppe Saraceno, Alfredo Sole, Francesco Squillaci, Lorenzo Tinnirello, Antonio Trigila, Antonino Troia, Pasquale Trubia.

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