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Il decreto contro le Ong è incostituzionale

Il diritto d’asilo è intangibile. Inutile tentare di aggirarlo. L’articolo 10 della Costituzione, riconosce il diritto d’asilo allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. 

di Salvatore Curreri

Il diritto d’asilo è intangibile. Inutile tentare di aggirarlo. Io me li immagino politici e funzionari del Governo affannarsi in questi giorni intorno a un tavolo per cercare di trovare soluzioni normative che ostacolino il più possibile l’attività di soccorso in mare svolta dalle navi delle Ong.

Ebbene sappiatelo: è tutto inutile; per quanti sforzi facciate, ci sarà sempre la Costituzione sopra di voi. Quella Costituzione che, all’articolo 10, riconosce il diritto d’asilo allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. Quella Costituzione secondo cui il legislatore, nel regolare la condizione giuridica dello straniero, non è libero di approvare ciò che vuole ma deve rispettare, oltreché la Costituzione stessa, le consuetudini ed i trattati internazionali.

Consuetudini e trattati che riconoscono allo straniero il diritto di rifugio politico se perseguitato; oppure, in alternativa, la protezione sussidiaria se vi sono fondati motivi per ritenere che, tornato nel Paese d’origine, egli correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, come la condanna a morte, la tortura o la minaccia alla vita derivante da situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Consuetudini e trattati che impongono l’obbligo di prestare soccorso alle persone in pericolo o in difficoltà in mare (v. le Convenzioni Solas del 1914, Sar del 1979, Unclos del 1982 e Salvage del 1989, tutte ratificate), sulla base delle quali lo straniero rintracciato “a seguito di operazione di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi” (art. 10-ter.1 Testo Unico sull’Immigrazione). Per questo gli Stati responsabili della zona di ricerca e soccorso (search and rescue: la cosiddetta Sar) in cui viene prestata assistenza devono adoperarsi perché le persone salvate in mare siano nel più breve tempo ragionevolmente possibile sbarcate e condotte in un luogo sicuro – il cosiddetto place of safety (Pos) – cioè in un luogo “dove le operazioni di soccorso si considerano concluse”; in cui “la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata e dove le loro necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte”; “in cui possono essere presi accordi per il trasporto dei sopravvissuti verso la loro destinazione successiva o finale” (§ 6.12 Linee guida sul trattamento delle persone soccorse Risoluzione MSC.167-78/2004 allegato 34 alla Convenzione SAR).

Ciò anche con la collaborazione dell’Unione europea che, nel controllare le frontiere esterne marittime, deve “assistere gli Stati membri nello svolgimento delle operazioni di ricerca e soccorso al fine di proteggere e salvare vite, ogniqualvolta e ovunque ciò sia richiesto” (47° considerando reg. (UE) 2016/1624). Luogo sicuro non è la nave che presta assistenza che, anche se ha accolto temporaneamente le persone soccorse, non è per sua natura in grado di prendersi adeguatamente cura di loro e di garantire il pieno rispetto dei loro diritti fondamentali.

Per questo tali navi possono essere sottoposte a controlli e a eventuale fermo da parte dello Stato di approdo in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute e l’ambiente ma solo dopo lo sbarco dei migranti (Corte di giustizia UE 1.8.2022 Sea Watch). Per questo è illegittimo negare l’attracco e lo sbarco da tali navi (anche della marina militare) cariche di migranti soccorsi in mare al fine di indurre gli altri Stati dell’Ue a farsi carico del loro ricollocamento.

Tali dinieghi, infatti, mettono in secondo piano i diritti fondamentali dei migranti e si pongono in contrasto con l’obbligo di prestare loro soccorso e di sbarcarli in un luogo sicuro” (Cassazione, sentenza n. 6626/2020 che diede ragione alla Rackete). Alla luce di tale ordinamento giuridico, il decreto legge approvato dal Governo lo scorso 28 dicembre solleva palesi dubbi d’incostituzionalità. Si vieta alle navi delle Ong che abbiano già effettuato un’operazione di soccorso di poterne effettuare altre se non autorizzate per cui – incredibile a dirsi – in presenza di altri naufraghi in zona la nave dovrebbe tirare dritto (senza neppure effettuare trasbordi), dato che altrimenti violerebbe l’obbligo di raggiungere senza ritardo il porto di sbarco, oppure restare in attesa dell’autorizzazione ministeriale.

In secondo luogo i migranti dovrebbero essere subito identificati e informati della possibilità di chiedere la protezione internazionale nell’Unione europea. Obbligo solo apparentemente rispettoso dei diritti dei migranti dato che dietro di esso si cela l’intento di obbligare lo Stato di bandiera della nave, quale Stato di “primo ingresso”, a farsi carico dell’accoglienza dei migranti come previsto dalla convenzione di Dublino.

In ogni caso non può certo addossarsi al comandante della nave – anziché ai centri di prima accoglienza, come oggi previsto – un compito amministrativo così complesso e gravoso, come la presentazione della domanda di protezione internazionale (lo ha scritto la Cassazione nella citata sentenza sul caso Rackete); per questo egli dovrebbe appena possibile essere sollevato da tali responsabilità (§ 6.13 Linee guida cit.). Inoltre non viene appositamente prevista alcuna garanzia che il porto di sbarco assegnato alle navi delle ONG sia quello più vicino.

Lo scopo è evidente: allontanarle di fatto dalle zone di soccorso e costringere i migranti a bordo a lunghe traversate, navigando per giorni per rotte magari improvvisamente cambiate, come accaduto alla Ocean Viking prima indirizzata a La Spezia (!) e poi costretta a circumnavigare la penisola per raggiungere Ravenna (e dunque da una regione governata dal centrodestra ad una governata dal centrosinistra: un caso?).

Infine, la reintroduzione di pesanti sanzioni amministrative – da 10 a 50mila euro più il fermo amministrativo per due mesi della nave e, in caso di reiterazione, la sua confisca – irrogate discrezionalmente non dal giudice, terzo e imparziale, ma dal Prefetto, autorità amministrativa dipendente dal Ministero dell’Interno. Certo, contro tali sanzioni l’armatore potrebbe pur sempre fare ricorso, sopportandone però i costi, a partire da quelli di mantenimento della nave sottoposta a fermo.

Al riguardo, non può non ricordarsi l’attuale Presidente della Repubblica che nel promulgare l’8 agosto 2019 il suddetto decreto sicurezza bis, pur astenendosi da valutazioni di merito, ebbe ad osservare in riferimento alle analoghe sanzioni amministrative pecuniarie previste dal d.l. sicurezza-bis n. 53/2019 (abrogate nel 2020) che non era stato “introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate” aggiungendo che non appariva “ragionevole – ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto – fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”, alla luce della necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti ribadita dalla sentenza n. 112/2019 della Corte costituzionale.

In forza di quanto sopra, dichiarare, come riportato nel comunicato stampa, che “le disposizioni mirano a contemperare l’esigenza di assicurare l’incolumità delle persone recuperate in mare, nel rispetto delle norme di diritto internazionale e nazionale in materia, con quella di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica” è l’omaggio che il vizio rende alla virtù.

È evidente e prevedibile che le Ong non rispetteranno tali disposizioni volte ad impedire loro quell’attività di salvataggio per cui sono sorte. Così come è evidente e prevedibile che ciò innescherà l’ennesimo contenzioso dinnanzi al giudice – ordinario, amministrativo ed infine costituzionale – fin quando non si capirà, o si farà finta di non capire, che il problema epocale dell’immigrazione va affrontato con soluzioni politiche condivise a livello europeo ispirate a quel rispetto della dignità della persona umana su cui la nostra Costituzione si fonda e dinanzi a cui ogni approccio burocratico da legulei è destinato inevitabilmente ad infrangersi.

da Il Riformista

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