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Credere e obbedire: se può aver senso porre alcune obiezioni alle resistenze, e combattere.

Che Paese incredibile, davvero. Lo avevano annunciato del resto: sarà il governo del cambiamento, e così è stato. Un cambiamento che giudico in peggio, e non avrei voluto.

A Natale ormai trascorso, un Natale cominciato ad ottobre stando a vetrine e luminarie, ho riflettuto sul fatto che ogni attivista, militante, esponente delle più varie sinistre, ogni compagine storicamente in prima fila per le battaglie sulla laicità dello Stato, portavoce di una fratellanza illuminista più che cristocentrica, si è appellato per mesi ai vangeli pur di riuscire ancora a dar senso e seguito alle battaglie per i diritti umani e la legittimità -se non necessità- delle prassi solidali.

Comprendo che il fine di un simile cambio di registro è stato quello consapevole di mettere in relazione con i loro stessi paradossi sedicenti credenti pronti ad essere braccio destro ed esercito sinistro di una guerra tra poveri a cui si da il nome di “identitaria”, però di fatto, ciò che senz’altro è accaduto, è stata la modificazione dei nostri assiomi e la scomparsa di argomentazioni non in debito con rosari e presepi. Lo giudico un impoverimento, una coercizione auto-imposta a traslarci sul piano opposto del discorso, non un arricchimento ma una rinuncia, come di simili ne abbiamo già compiute altre.

Quello di umanità è un concetto che nel giro di pochi mesi è stato così disconosciuto e vilipeso dalla società civile da aver dovuto cercare riparo e giustificazione tra le braccia di Santa Madre Chiesa. La stessa Chiesa a cui si appellano anche le associazioni pro vita e gli integralisti della famiglia bigenitoriale perfetta, eterosessuale e ortodossa, unita nel sacro vincolo del matrimonio e strutturata secondo una ben nota suddivisione impari dei ruoli, delle aspettative e delle opportunità. La famiglia superata della patria potestà e della sovranità monetaria di genere. La stessa Chiesa che impone il voto di celibato e convive da decenni con lo scandalo dei preti pedofili, la stessa Chiesa contraria alla cultura della contraccezione, al magistero delle donne e così via. Una Chiesa in cui senza dubbio affondano le radici della cultura moderna italiana e d’Europa, ma una Chiesa che è stata anche, a volte, una terra che ha nutrito quelle radici con il fiele.

Tornando a “noi”, nonostante giudichi ampio il portato di eclettismo delle mie più sincere e non politicaly correct posizioni, e nonostante non precluda mai a priori la possibilità di convergenze coerenti, resto spiazzata dal dover immaginare una eventuale “neutralità del mezzo” che si naturalizza come foriera di utilizzi sempre ambigui, finalità costantemente biunivoche e contraddittorie, avvicendamenti via via più stridenti e similarità oramai disgustanti, disconoscimenti immediati e indolenti appena oltre il confine dell’utilità allo scopo.

Se la Santa Romana Chiesa è dunque spesso letta come oscurantista, reazionaria, anti progressista e controriformatrice da parte di un buon numero di atei illuministi o di laici “protestanti”, può comunque accadere che Gesù, blasonato protagonista del contenzioso sulla vicenda dei crocifissi nei luoghi pubblici e in particolar modo nelle scuole -dove poneva in discussione l’attribuzione di paternità (“temporale” o “secolare”) dei nostri più alti valori morali e civili- possa fungere da exempla super partes e continuata analogia, fino a divenire egli stesso termine -e soprattutto corpo- di attribuzioni indebite, contraddizioni e conflitto. Gesù nel cuore pare ce l’abbiano tutti: fascisti, comunisti, persone pie, pedofili, ultras, e perfino molti dei migranti in arrivo sui quali siamo tutti pronti a indovinare e propagandare quale sarebbe la loro miglior sorte, ovviamente quella gradita a Dio e che umilemente con mandato suo, i “potenti” gli riservano e compiono in terra.

“Credere”.

Un pendolarismo pericoloso è diventata la cifra delle interazioni sociopolitiche, e in effetti il meccanismo della coalizione a noi tutti ben noto, dimostra che la qualifica di partner o alleato -che sia di governo, d’opposizione o finanche di mobilitazione- non è determinata mai dalla concordanza complessiva del profilo, ma dalla specifica e circoscritta spendibilità di quella risorsa nell’ambito di micro obiettivi a brevissimo termine. Questo dice a sua volta che non ci sono posizioni stabili, né intellettuali né metodologiche. Il nemico acerrimo di ieri può ben essere l’alleato di oggi e qualcosa d’altro domani. Che Salvini abbia potuto prendere voti a sud del Po, la dice a riguardo più lunga di quel che ho spazio di fare io.

Ma restando al “mezzo”, senza perimetrare il discorso a nessun particolare soggetto, il principio di una neutralità ambigua che pregiudica la possibilità di ciascuno di interfacciarsi con gli altri attraverso un codice di comunicazione politica coerente, mi è apparso evidente anche in relazione alla questione della sospensione dell’art.13 della legge 132 da parte del Sindaco Leoluca Orlando.

I fatti li conosciamo: il Sindaco annuncia la sospensione del Decreto Sicurezza, Salvini lo accusa di violazione della legge dello Stato, gli attivisti esultano al coraggio della disobbedienza, e il Sindaco in risposta al Ministro che lo apostrofa come traditore del popolo italiano precisa che pone una specifica, argomentata e legittima questione di costituzionalità. Nessuna obiezione di coscienza, nessun atto sovversivo né lesivo delle istituzioni. Al contempo, approfitta per ricordarci che invece, al contrario, in relazione ai provvedimenti circa i matrimoni gay era proprio Salvini che  esortava i sindaci alla disobbedienza e al rifiuto di celebrare, seppur anche quella fosse una legge dello Stato.

Ora, al di là del fatto che vorrei davvero essere una ferrata costituzionalista per poter dire con certezza -qui ed ora- che l’articolo è incostituzionale, ma rifiutando il qualunquismo e ammettendo di non esserlo non mi sbilancio; al di là del fatto che spero con tutto il cuore che Orlando, già docente di diritto all’università, possa concorrere a dimostrarlo definitivamente ottenendo il pronunciamento della Consulta e consentendo così l’abrogazione; al di là della polemica sulla firma di Mattarella, sulla firma in rapporto al discorso di fine anno, e sulla firma e il discorso in rapporto all’indice di gradimento presso il popolo della sempre più indefinita e impalpabile “sinistra italiana”; al di là di tutto questo potremmo dire che è un po’ bizzarro scambiarsi a così ampio raggio reciproche accuse di disobbedienza, soprattutto laddove questo accade tra individui che la legge dello Stato emanano, applicano e rappresentano.

Ci hanno espropriato quasi tutto ormai, dagli spazi occupati o liberati, alle parole alle prassi, per dirla in una parola, l’identità.

La guerra identitaria falcidia le identità, o comunque le destruttura e rimette in gioco secondo altri nessi, nessi non ancora completamente emersi e in divenire, i cui esiti non è  ancora dato poter conoscere, ma soltanto immaginare, a torto o ragione.

La disobbedienza è un tema importante soprattutto in rapporto all’inflazione normativa, al principio della legge positiva (come intesa da G. Birindelli), alla propaganda legalitaria e alla stretta giustizialista. Importante in rapporto all’obbedienza, alla dittatura della maggioranza, alla questione della natura e del potere dell’autorità, ma soprattutto in rapporto al “giusto” limite del potere dell’autorità.

La disobbedienza civile intesa come strumento di lotta politica ha connotazioni storiche e ideologiche abbastanza chiare, da H.D. Thoreau, a Gandhi, a M.L. King, anche se poi è vero, come dissero loro stessi ed altri, che è un istinto naturale dell’essere umano quello di ribellarsi contro ciò che ritiene ingiusto. Ad ogni modo, che la disobbedienza sia una risposta naturale piuttosto che una posizione culturale o una strategia politica, ad oggi si presenta come modalità d’azione antagonista diffusa -se non quasi trasversale- in risposta alla legge.

La disobbedienza italiana è per “turnazione”, forse ispirata al retaggio berlusconiano della par condicio, sicché a volte se ne fa carico il Governo, a volte le opposizioni, a volte i Ministri e altre i ginecologi, a volte i Sindaci, e a volte poi, se rimane un turno scoperto per influenza o ferie, può essere un disobbediente anche l’attivista o il militante, se non perfino il cittadino.

Mi pare dunque che la disobbedienza, ad oggi, più che modalità politica da poter ricondurre a questa o quella appartenenza, sia il mezzo “neutro” e comune di agire un dissenso esasperato dalla consapevolezza che la legge è ormai solo lo strumento del potere con cui l’autorità ci rimodella a sua immagine e somiglianza. La legge è la veste pubblica del pensiero privato dell’autorità, espressione delle sue pulsioni e depravazioni, del suo perpetuo tentativo di omologazione. La legge è diventata la via per la progressiva legittimazione del totalitarismo, e non è più in rapporto con una spontanea e necessaria selezione di feedback positivi. La legge è strumento di espoliazione del diritto, che sia umano, civile o individuale.

Probabilmente ovunque e sicuramente in Italia, questa verità è sotto gli occhi di tutti da secoli, tanto che ad oggi ben radicata ed estesa è la propensione all’interpretazione della legge, e laddove non se ne trovi una funzionale all’interesse, la sua evasione è contemplata anche dalle più insospettabili “brave persone”.

Mi viene in mente che anche il piccolo evasore calza, o per lo meno così ritiene, gli abiti del disobbediente quando si rifiuta di soggiacere al peso schiacciante iniquamente esercitato dalla pressione fiscale e dichiara il falso. La disobbedienza è il gesto “normale”, talvolta grande e altre piccolo, talvolta altruista ma non è sempre detto, di chi afferma il proprio diritto di autodeterminazione o si batte per quello di terzi. La disobbedienza a cui anche Salvini inneggiava, che lo accomuna eventualmente a Orlando, o ai pescatori lampedusani, a molti possessori di partita iva, a diversi attori della società civile e a mezza Italia me compresa, dovrebbe indurci a pensare che dovremmo smettere di avanzare la pretesa di poter normare, ad arbitrario piacimento dell’autorità di turno, i destini individuali.

Perché Salvini che esortava i Sindaci alla disobbedienza contro i matrimoni gay accusa Orlando di tradimento per disobbedienza alla legge dello Stato in relazione all’art.13 della legge 132/2018?

E perché i disobbedienti insistono sulla disobbedienza del governo italiano alle leggi del diritto del mare e alle convenzioni internazionali?

Probabilmente perché la questione non è più teorica e di principio, relativa cioè al disconoscimento radicale delle pratiche di “mera” obbedienza perchè lesive non solo della libertà individuale, ma ancor prima, del principio di capacita individuale di discernimento e responsabilità individuale di scelta. È diventata una questione pratica di convenienza. Se la legge mi piace e/o mi conviene, obbedisco, reclamo obbedienza e inneggio al valore altissimo della legalità, altrimenti disobbedisco ed esorto alla disobbedienza mentre inneggio al valore -anche qui altissimo- del pensiero critico.

Se non mi piace e obbedisco, terza chance del gioco delle 3 carte, sono vittima del decisionismo di terzi, espoliato della sovranità personale, e anche se mi guadagno l’etichetta di bravo cittadino rispettoso della legge, è proprio questo rispetto acritico e immotivato a declassarmi dalla posizione di cittadino a quella di suddito.

La legge promulgata dall’autorità dovrebbe limitarsi a difendere leggi spontanee di civile convivenza e sistematizzare modalità di reciproca contribuzione allo sviluppo. Che non si ruba e non si inganna lo sanno anche i bambini, che non si arreca sofferenza e danno pure, e non vorrei dovermi appellare alla legge mosaica per poter dire che in fondo in fondo, sappiamo tutti cosa è giusto e cos’è sbagliato. Se nessuno di noi avrebbe voluto che tra quei 49 naufraghi fosse venuto a trovarsi un proprio caro, allora sappiamo tutti che nessuno avrebbe dovuto essere lì, in quel luogo fisico e politico disagiato e discriminato, di sospensione di umanità e del diritto.

La legge, dicono persone più preparate di me, è un principio generale e astratto di limite al potere e non il suo inverso. Dicono anche che i totalitarismi si reggono sulle persone “per bene”, quelle che credendo di rispettare la legge sono pronte all’indiscussa obbedienza dei comandi che ricevono.

“Obbedire”

Ho letto che i Sindaci che in vario modo sospenderanno il Decreto Sicurezza hanno raggiunto quota cento. Sono contenta che si faccia qualcosa, anche se la totalità delle molte cose in atto non riesce ancora a compattarsi in un insieme organico di proposte e modalità coerenti e interagenti.

Mi rammarico dei molti “passi falsi” e “scivoloni” degli “amici”, di chi come in una cordata alpina, rischia di farci cadere nel vuoto tutti.

Ho letto anche di indagini sul passato politico di alcuni illustri scienziati, di filastrocche razziste, di gente che butta le coperte ai senza tetto, di transgender estradat*, di aggressioni fasciste ai giornalisti che fotografano adunate commemorative dense di evidentissimo citazionismo. Ho visto foto di campi profughi libanesi spacciati per gli alloggi indegni dei terremotati di Amatrice, la foto di un ambulante trascinato via di peso dalla passerella di Salvini, ma anche alcune altre di contestatori con cartelloni che se avessi potuto, gli avrei chiesto di lasciare a casa!

“Combattere?”

Ci hanno portato a parlare, agire e ragionare su tre piani davvero non nostri: quello del “credere”, dell’”obbedire” e del “combattere”. E mentre cerchiamo di costituirci come resistenza, siamo noi stessi nostro malgrado un po’ più fascisti. Attenzione.

Monica Scafati

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