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41 bis, dopo 26 anni è una misura da revocare?

Convegno organizzato dalla Camera Penale di Roma. Per l’avvocata Maria Brucale «si tratta purtroppo di un tema difficile da affrontare, soprattutto quando vengono veicolate false convinzioni come il suo inserimento nella riforma dell’ordinamento penitenziario»

Parlare di carcere è impopolare, figuriamoci di 41 bis, il regime speciale di detenzione concepito come strumento emergenziale in esito alle note stragi del 1992 per impedire ai boss di veicolare ai sodali in libertà i loro ordini criminali.

Sono trascorsi ormai 26 anni da quella emergenza ma il 41 bis continua ad esistere, pur avendo perso la sua originaria essenza giustificatrice e trasformatosi in un particolare tipo di tortura, usata per placare le ansie di sicurezza dei cittadini e per costringere i reclusi a collaborare con la giustizia. Tutto questo all’interno di una indifferenza politica e mediatica.

A fronte di ciò avvocati e magistrati hanno deciso invece di discuterne e di chiederne un affievolimento se non l’eliminazione tout court in nome della Costituzione e del rispetto della dignità umana: è il quadro emerso ieri durante il convegno dal titolo ‘ Art. 41 bis ordinamento penitenziario, insicurezza sociale e immanente stato di emergenza’, organizzato presso la Corte d’Appello Penale della capitale dalla Camera Penale di Roma e della propria Commissione Carcere. Presenti nell’uditorio molti studenti di diritto, futuri uomini e donne di legge e questo fan ben sperare per l’avvenire.

A fare gli onori di casa l’avvocato Cesare Placanica, presidente della Camera Penale di Roma: «Si tratta di una delle nostra battaglie storiche contro un articolo che rappresenta una lesione assoluta dei diritti primari, che travalica i limiti dell’umanità della pena detentiva». «Nel 2016 – ha ricordato l’avvocata Maria Brucale, responsabile della commissione carcere – il ministro Orlando aveva promesso una circolare atta ad eliminare le vessazioni inutili del duro regime detentivo. Ma non è mai arrivata. Solo nell’ottobre scorso una circolare del capo del Dap, Santi Consolo, ha elencato capillarmente le regole della speciale carcerazione attraverso una griglia meticolosa di ciò che è consentito e di ciò che non lo è, senza dischiudere spiragli né fare concessioni. Si tratta purtroppo di un tema difficile da affrontare, soprattutto quando vengono veicolate false convinzioni come l’inserimento del 41bis nella riforma dell’ordinamento penitenziario».

È intervenuto poi il magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, componente della Commissione ministeriale di riforma dell’ordinamento penitenziario: «Come magistrati di sorveglianza siamo chiamati a bilanciare la protezione dei diritti dei reclusi e l’esigenza di sicurezza, partendo dal presupposto che anche al carcere duro la finalità costituzionale della pena non può venire meno».

Non poteva mancare tra i relatori Rita Bernardini, membro della Presidenza del Partito Radicale per la quale «lo Stato, attraverso il 41 bis, si mette al livello dei peggiori criminali che vuole combattere, non affrontando il fenomeno dal punto di vista scientifico ma addirittura con la superstizione», ricordando in che modo tanti si siano opposti al differimento della pena per Riina per assicurargli una morte dignitosa, adducendo come il pm Gratteri la motivazione per cui “un boss come lui comanda anche solo con gli occhi”.

Il dottor Roberto Pennisi, consigliere della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, noto per il record assoluto di oltre 80 condanne definitive all’ergastolo segnato dal processo “Tirreno”, e tra i pochi a chiedere talvolta la revoca del 41 bis, ha sostenuto a gran voce che «non accetta che esso venga utilizzato come strumento di pressione. In tal senso il 41 bis rappresenta la più plateale negazione dello Stato di Diritto».

Replica l’avvocato Riccardo Polidoro, responsabile dell’Osservatorio Carceri dell’Ucpi: «Sono stanco di sentire dire queste cose dai magistrati ai convegni. Perché il dottor Pennisi all’interno della magistratura non si fa portavoce del suo pensiero? E perché l’Associazione Nazionale Magistrati rimane in silenzio dinanzi le criticità del 41bis?».

Sono intervenuti anche Riccardo De Vito, presidente di Magistratura democratica, Laura Longo, già presidente del Tribunale di Sorveglianza di l’Aquila, e l’avvocato Caterina Calia.

Rimandiamo al sito di Radio Radicale per riascoltare l’interessante convegno nella sua interezza.

Valentina Stella

da il dubbio

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