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Video inedito: schedatura di massa il 14 novembre

La gestione dell’ordine pubblico di quel giorno è l’antipasto del pacchetto Cancellieri: daspo e flagranza differita. Tra i sindacati nostalgia di Scelba
14 novembre 2012: più di 50000 studenti scendono in corteo a Roma per lo sciopero europeo. Sul lungotevere all’altezza di via Giulia la polizia carica ed inizia la caccia al minorenne. Circa 80 studenti vengono chiusi a panino da polizia e carabinieri sul lungotevere tra S.Michele a Ripa e Porta Portese, dalla parte opposta delle cariche. Vengono messi in fila e viene chiesto loro di mostrare il documento tenendolo vicino alla faccia mentre una telecamera li riprende. Dopo aver indentificato tutte le persone alcune vengono mandate via altre invece tratte in arresto. Il bilancio della giornata è di molti fermi, otto arresti e di molti feriti.
Il video che mostra Popoff è agghiacciante per la modalità “cilena” della caccia all’uomo, prima, e della schedatura sommaria poi. Forche caudine per giovanissimi manifestanti che non avevano commesso alcun reato.
E’ stata una manifestazione “apripista” quella del 14 novembre per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico nel futuro prossimo. Nella capitale continua a vigere l’impossibilità di raggiungere i palazzi del potere per tutte quelle manifestazioni di massa. Anche dopo che il Tar ha annullato le ordinanze del sindaco Alemanno che aveva provato e imbalsamare il centro. Lo scorso 14 novembre a piazza Venezia, non solo è stato impedito ai militanti dei Cobas di recarsi ad un presidio autorizzato a Piazza Montecitorio ma il resto del corteo degli studenti è stato incanalato in un percorso obbligato che ha portato ad un imbuto ben preparato e studiato.
Tra i funzionari in piazza c’erano sicuramente quelli che hanno partecipato alla schedatura di massa del 3 novembre 2011 quando alcuni liceali sfidarono l’ordinanza anti-cortei di Alemanno partendo dal Virgilio e arrivando alla stazione Tiburtina. Anche lì furono accerchiati e chiusi fuori dalla stazione e lasciati andare solo dopo essere stati identificati tramite telecamera, filmati uno ad uno. Sono gli stessi personaggi che il 5 giugno scorso sono stati indagati per il pestaggio subito da un giovane tifoso, Stefano Gugliotta, il 5 maggio del 2010, dopo la partita di Coppa Italia Roma-Inter? Manganellate gratuite, calci in testa, aggressioni in branco, insulti e minacce personali questi gli atteggiamenti che sono stati filmati lo scorso 14 novembre oltre alla pioggia di lacrimogeni che è scesa dal palazzo di Via Arenula. La versione ufficiale, come se il ministero fosse un calcinaccio gigantesco con lo stesso ruolo di quello di piazza Alimonda, non convince più del “malore attivo” di Pinelli.



Repressione proprio come in Grecia
E le domande si fanno più inquietanti di fronte ai piani minacciosi del governo di trasferire Daspo e flagranza differita il Daspo e la flagranza differita, l’incostituzionale armamentario sperimentato negli stadi, alla gestione dei cortei. Lo spiega bene Italo Di Sabato sull’Osservatorio contro la repressione.
I daspo verrebbero applicati a chiunque avesse precedenti e denunce in corso, in sostanza interverrebbero prima del giudizio finale, manifestandosi come una sanzione amministrativa magari a quei ragazzi fotografati con il documento vicino al viso. L’altra misura annunciata sono i “presidi mobili di pronto intervento” sul modello della polizia greca. Piccole pattuglie mobili, coordinate dall’alto e da osservatori in abiti civili, che non seguono più il corteo o presidiano staticamente obiettivi sensibili e sbarrano strade, ma si muovono nel territorio circostante a caccia dei gruppi da neutralizzare. In Grecia ci sono i Mat, gruppi speciali antisommossa, che applicano una forma di controguerriglia urbana a bassa intensità che consente di sorprendere gli avversari con agguati e raid improvvisi. Avanzano in fila indiana per poi scattare all’improvviso, spuntano dal nulla per agguantare i manifestanti isolati o aggredire, anche usando arti marziali, piccoli gruppi di manifestanti. Si nascondono dietro gli angoli, accovacciati tra le vetture in sosta e gli arredi urbani. Una tecnica già in uso nella polizia francese fin dalla metà degli anni 90. E, probabilmente, è il frutto della collaborazione con l’Eurogendfor, la gendarmeria europea che ha sede a Vicenza. Anche la loro dotazione personale è speciale, tuta robocop, casco e maschera antigas, manganello agganciato dietro la schiena, decine di granate “incapacitanti”, cioè accecanti e assordanti, spray urticanti compresi i “capsulum”, potenti lancia-polvere di peperoncino che bruciano i polmoni. Altro che il codice alfanumerico rispetto al quale Manganelli e ministra parevano possibilisti.

Il Pd ha il manganello dalla parte del manico

Chi si appresta ad assumersi responsabilità di governo è spalmato sulle posizioni della ministra: «Prima di ogni eventuale decisione sull’introduzione di codici identificativi di agenti e funzionari operanti nei servizi di Ordine Pubblico, il Parlamento dovrebbe ascoltare l’amministrazione e le rappresentanze sindacali delle forze di polizia – dice Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd – è infatti necessario comprendere le ragioni a favore e quelle contrarie a tale ipotesi, valutando anche l’inasprimento di norme riguardanti i comportamenti violenti dei manifestanti ostili alle forze dell’ordine. Non sarebbe utile prendere decisioni non condivise dai sindacati che rappresentano il personale di polizia, o che comunque potessero essere interpretate come vessatorie nei confronti degli operatori».
E allora vediamo che ne pensano i sindacati. Cominciamo dal distillato di puro buonsenso che viene dal Silp. E’ la sigla legata alla Cgil: crede alla versione ufficiale sui lacrimogeni ma per Claudio Giardullo, segretario generale Silp, Daspo e arresti differiti «hanno in comune il fatto di essere strumenti che derogano ai principi generali del diritto. Anzichè prevenire anche con il dialogo (tra organizzatori delle manifestazioni e dei cortei e le forze dell’ordine) si sposterebbe tutto sul versante della repressione». E sull’alfanumerico, il segretario romano del Silp, ritiene che «avrebbe un duplice effetto trasparenza: verso l’opinione pubblica, che sa chi ha di fronte e a garanzia di tutti i poliziotti che svolgono correttamente il loro servizio. Indubbiamente l’identificazione con un codice sgombra il campo da tante illazioni. Noi non possiamo invocare come esimenti condizioni di stress o tensione… siamo per primi tenuti al rigoroso rispetto della legge in qualsiasi circostanza».
D’ora in poi, però, seguirà un catalogo di dichiarazioni sconcertanti: solidarietà incondizionata ai «ragazzi dei reparti mobili» (Sap) e vere e proprie favole raccontate a uso e consumo di una rivendicazione di impunità totale. L’identificativo sarebbe «un tentativo di destrutturare l’apparato di sicurezza in Italia, demotivando conseguentemente il personale che già oggi è costretto a operare in condizioni di grandi difficoltà e con stipendi da 1300 euro al mese. Un tentativo che contrasteremo in ogni modo possibile e lecito. Vorremmo che fosse vietato in modo espresso ai manifestanti di sfilare col volto coperto». A provare a spiegargli che quella roba è già vietata, che il problema è un altro, che è insopportabile che un agente compia reati odiosi come quello di accanirsi tre-quattro contro uno come i peggiori teppisti, sarebbe come parlare di Costituzione con una statua dell’orrendo Stadio dei Marmi di Roma. «Piuttosto – prosegue Tanzi, – schediamo i manifestanti… Il Daspo per i manifestanti, peraltro, può essere solo un primo passo. Occorre introdurre il fermo preventivo per i violenti noti ai nostri archivi, già previsto in passato dalla legge Reale…».

Nostalgia di Scelba, Pasolini e della Legge Reale
«Agenti feriti in azione – dice la Consap – applauditi dalla gente per aver sgominato una banda di albanesi specializzata in furti ma poi stangati al pronto soccorso, visto che il ticket, per la visita, devono pagarselo di tasca propria. Agenti finiti ingiustamente sotto processo, che dopo l’odissea giudiziaria si vedono costretti ad accendere un mutuo per pagare le spese legali, visto che il ministero restituirà loro neanche un terzo delle parcelle degli avvocati. E’ un mondo di senza diritti, e soprattutto di zero tutele, quello dei soldati blu». E’ davvero così? Davvero credono a questa versione? Davvero leggendo queste cose il prefetto di Roma può credere che la polizia abbia «in sé gli anticorpi per invididuare e denunciare chi, al suo interno, si comporta al di fuori delle norme»?

Il Coisp si scaglia contro l’idea di «poliziotti marchiati come bestie». Questo sindacato, per capirci, è quello che ogni 20 luglio, anniversario dell’omicidio Giuliani, prova a occupare la scena mediatica chiedendo di svolgere un presidio sulla scena del delitto ma in solidarietà con le forze dell’ordine. Domanda Franco Maccari, segretario generale del Coisp: «Perché il Capo della Polizia, anziché accettare che i suoi uomini vengano marchiati come le bestie, non pretende che vengano dotati di adeguati strumenti di difesa? Perché non si pretende che anche la Polizia italiana venga dotata di telecamere sui caschi e sulle auto come avviene in ogni parte del mondo, per consentire di identificare gli autori di reati?».
E’ la stessa distanza tra Istituzione e Costituzione che viene a galla ogni volta che si manifesta un caso di “malapolizia”. Alcuni sindacati di polizia fiancheggiano la costruzione di versioni ufficiali farlocche o le immaginano loro stessi: senz’alcuna pezza d’appoggio, ad esempio, il Coisp parla per il 14 novembre di «tentativi di qualche migliaio di criminali con caschi, manici di picconi, spranghe di ferro e bombe carta di assaltare il Senato della Repubblica, la Sinagoga di Roma e le scuole Ebraiche». E, con assoluto sprezzo del ridicolo si sostiene che quelle migliaia di invasati sarebbero stati fermati «solo grazie alla perizia e competenza di circa 30 Appartenenti alla Polizia di Stato ed ad altre Forze di Polizia».
Una frottola a uso e consumo non solo delle relazioni sindacali ma di una visione del mondo in cui il poliziotto è esso stesso l’incarnazione della legge e la legge non si deve permettere di interferire. Così si capolgono i ruoli e i poliziotti, nelle versioni di questi sindacati, diventano «Sorvegliati Speciali, mentre ogni comportamento delinquenziale attuato dai criminali travestiti da manifestanti sarà tollerato e resterà impunito». Ogni altro punto d’osservazione farebbe parte di una «campagna persecutoria nei confronti di chi è chiamato a fronteggiare eventi che appaiono sempre più eversivi».

Stessa logica, da Napoli a Genova alla Val di Susa

E’ la logica di «uno a zero per noi», come esclamò la poliziotta di turno al centralino della questura quando fu ucciso Carlo Giuliani, della solidarietà incondizionata di Siulp e Sap agli assassini di Federico Aldrovandi, della catena umana che voleva impedire l’arresto dei torturatori napoletani della Caserma Raniero, delle torture diffuse a Bolzaneto, delle suonerie con Faccetta nera, della pretesa di garanzie legali per chi partecipa alla guerra d’occupazione contro la popolazione della Valle di Susa.
Il Siulp, ex sindacato unitario, ora legato alla Cisl, è stato, infatti, il primo a congratularsi per la professionalità dei colleghi il 14 novembre. Poi, in una lunga lettera al Fatto quotidiano molto più equilibrata dei suoi omologhi, il suo segretario generale, Felice Romano, scrive «Identificarci è giusto, ma siamo talmente messi male che non c’è una divisa per ogni poliziotto: le usiamo a turno». Ancora una volta prevale una autovittimizzazione rispetto alla possibilità di una seria assunzione di responsabilità. «Ben venga il numerino identificativo se questo serve a riforzare il rispetto dei cittadini e il senso di trasparenza dell’azione di polizia ma solo dopo che il ministro e il capo siano riusciti a ripristinare credibilità ai vertici delle proprie amministrazioni». La lettera è la denuncia della inadeguatezza dell’addestramento che smentisce ogni retorica sulla professionalità. (continua a leggere su popoff)
Checchino Antonini

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