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Vicenza, il carcere dell’orrore “Botte e minacce ai detenuti”

Pestaggi, minacce, vessazioni di ogni genere. È un film dell’orrore il racconto dei detenuti di quanto accade tra le mura del carcere di Vicenza: “un feudo medievale” dove “non c’è civiltà”. Dove i reclusi sono “ostaggi”, “in balia degli umori degli ispettori”, e perfino gli educatori “hanno paura”. Testimonianze sconvolgenti riportate dalla deputata radicale Rita Bernardini in un’interpellanza urgente al ministro della Giustizia presentata dopo aver visitato l’istituto veneto solo pochi giorni fa.


O. P. M., nigeriano, a due esami dal traguardo della laurea di Lettere e Filosofia, è il primo a denunciare le violenze alla deputata radicale. Vorrebbe tornare a Padova, al carcere Due Palazzi, per ultimare gli studi e scontare i 5 mesi di pena che ha ancora davanti, “ma non mi ci mandano per quello che ho visto”, spiega. Indica il suo compagno di cella, che non parla ma ha il naso rotto per le botte prese dagli agenti, racconta ancora l’uomo a Rita Bernardini. Altri però dopo di lui trovano il coraggio di sollevare il velo su una quotidianità che raccontano come scandita dalla paura: “tanti agenti sono bravi, ma certi ispettori…”.

E se nelle celle regna il terrore, dall’altra parte delle sbarre sarebbe l’indifferenza a prevalere. “Il direttore non visita – come dovrebbe – le celle di detenzione e tra i reclusi della terza sezione c’è perfino chi non l’ha mai conosciuto. Neanche il magistrato di sorveglianza visita i reparti per verificare le condizioni di reclusione”, spiega la deputata, sebbene lo preveda la legge.

I detenuti, 358 ammassati in 146 posti regolamentari, vivono condannati all’ozio, chiusi in cella 21 ore al giorno mentre nelle restanti tre possono soltanto prendere aria in uno squallido passeggio che chiamano “blocco di cemento”. Al posto di quello che una volta era il campo sportivo sorgerà un nuovo padiglione, scrive la parlamentare ma nell’attesa ci pascolano le capre. Anche la palestra è inagibile e quasi nessuno dei reclusi lavora. “La saletta socialità c’è solo per pestare noi e per il barbiere”, riferiscono a Rita Bernardini i detenuti.

E non sarebbero soltanto le botte a rendere insopportabile la vita nel carcere di Vicenza. L’impianto di riscaldamento è acceso solo due ore al giorno: una al mattino e un’altra di pomeriggio, così nelle celle si patisce il freddo, insieme alla fame. Il cibo scarseggia, come i prodotti per l’igiene: un tubetto di dentifricio a testa al mese e una saponetta ogni due, si legge. Alla sporcizia si somma un’assistenza sanitaria del tutto carente, non c’è dunque da meravigliarsi se nel passato recente si siano verificati casi di TBC tra i detenuti. Del resto, “lo stesso personale ha paura di contrarre malattie infettive”, scrive Bernardini.

Il governo ora dovrà rispondere sui fatti gravissimi riferiti dalla deputata radicale ed è facile immaginare che ben presto di muoverà anche la magistratura per far luce su quanto denunciato nell’interpellanza, che porta la firma di più di 50 deputati di diversi gruppi.

Lo squarcio di verità su Vicenza si apre pochi giorni dopo la presentazione del rapporto di Antigone sulle condizioni detentive in Italia, dal titolo eloquente “Senza dignità”. Un documento che traccia un quadro sconvolgente dello stato delle carceri italiane, dove il sovraffollamento ha raggiunto il tasso record del 142 per cento che ancora una volta assegna al nostro Paese la maglia nera d’Europa. La situazione descritta da Antigone conferma una volta di più l’insufficienza dei provvedimenti adottati negli ultimi anni da governi e istituzioni per far fronte alla crisi. Dalla dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento carcerario del 13 gennaio 2010 i detenuti sono infatti aumentati di 1.894 unità. E se dal 2007 la popolazione reclusa è lievitata del 50 per cento, le risorse economiche destinate al carcere sarebbero invece diminuite del 10 per cento, denuncia Antigone. La legge Alfano sulla detenzione domiciliare e quella successivamente varata con decreto dal ministro Severino hanno consentito in 20 mesi l’uscita di appena 8 mila detenuti. Risultati irrisori rispetto alle esigenze deflattive di quella che ha ormai tutti i connotati di un’emergenza umanitaria, come dimostrano i dati sulle morti dietro le sbarre: 143 dall’inizio dell’anno di cui 54 suicidi.

Il ministro della Giustizia ha annunciato che si impegnerà per far approvare il disegno di legge sulle misure alternative, faticosamente approdato in Aula poche settimane fa, e che però ha ricevuto aspre critiche proprio dai radicali. Secondo Rita Bernardini – che da un mese digiuna per sollecitare una risposta concreta delle istituzioni all’emergenza in corso – il ddl contiene paletti che ne ridurrebbero al minimo la portata.

Così mentre il Parlamento si appresta a discutere misure che difficilmente incideranno sul gravissimo stato di sovraffollamento, i detenuti provano a far sentire la propria voce. In 30 mila, in più di 80 carceri in tutta Italia, hanno preso parte in questi giorni alla mobilitazione straordinaria promossa dal Partito Radicale per chiedere l’amnistia, ma anche garanzie sul proprio diritto di voto. Almeno su quello, visto che i diritti umani sembrano ormai un lontano ricordo.

Valentina Ascione da Gli Altri

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