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Un decreto legge palesemente anticostituzionale

Una norma pericolosa.  Il nuovo art. 434-bis lascia troppa discrezionalità nel distinguere il reato da un diritto costituzionale.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Il governo ha adottato una bozza di decreto legge “omnibus” con misure molto eterogenee tra loro, che costituisce una evidente rottura dell’assetto costituzionale e conferma i peggiori timori sulla tenuta dello Stato democratico nel nostro paese.

La scelta di materie tanto diverse, dall’ergastolo ostativo al rinvio di misure previste dal PNRR, fino all’introduzione di un nuovo reato che punisce con gravissime sanzioni chi organizza e chi partecipa ad un “rave party”, confermano come attraverso la decretazione d’urgenza il governo, che gode di una maggioranza parlamentare di ferro, sia già all’attacco degli obblighi derivanti dall’Unione europea e dei principi costituzionali sui quali si fonda il carattere democratico dello Stato, come il principio di legalità e la proporzionalità della sanzione penale.

Sotto l’apparente ombrello di misure che dovrebbero contrastare una presenza mafiosa che è ancora largamente diffusa e tende ad approfittare della difficile fase economica, sulla quale si tarda ad intervenire, il nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, costituisce una precisa dichiarazione di intenti che va oltre la materia dei rave party, che si sarebbe potuta affrontare restando nell’ambito della legislazione già esistente. Si prevede la reclusione da 3 a 6 anni per gli organizzatori dei rave, cin multe da 1.000 a 10.000 euro e si procede d’ufficio, “se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”. Le pene sono soltanto ridotte per i semplici partecipanti. E’ prvista anche la confisca dei mezzi e delle attrezzature impiegate nell’organizzazione degli eventi.

Sarebbe questo il contenuto del nuovo art. 434 bis c.p., inserito dopo l’articolo 434 del codice penale, che riguarda il “Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi”, anziché dopo l’art. 633 c.p. che riguarda la fattispecie di “Invasione di terreni o edifici”. Una nuova previsione estremamente generica che lascia alle autorità di polizia una larga discrezionalità nell’accertamento del reato e nella formulazione della “notitia criminis”. La bozza di decreto legge approvata dal governo prevede anche una modifica al Codice antimafia introducendo misure di prevenzione personali come la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per gli indiziati dell’ “invasione per raduni pericolosi”. Cosa si intende per “invasione”, e se si tratta di un raduno “pericoloso” rimane affidato all’esclusivo potere discrezionale delle autorità di polizia. Nel decreto legge non si indicano infatti i presupposti in base ai quali definire il concetto di invasione o accertare gli indici di pericolosità del “raduno”. La formulazione generica del nuovo decreto, adesso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si presta ad interpretazioni assai discrezionali da parte delle autorità di polizia e si potrebbe giungere all’applicazione delle nuove norme incriminatrici ad occupazioni di case, di scuole o di università.

2. Il decreto esprime un preoccupante squilibrio di potere tra la funzione di governo e la residua funzione legislativa che rimane alle camere, risultando già per questo in contrasto con il dettato costituzionale. Il secondo comma dell’art. 77 Cost, anche alla luce dell’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, “impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento”. Si è colta l’occasione del rave party di Modena per un provvedimento che non appare certo legato ad un “caso straordinario di necessità ed urgenza”, mentre rimangono acantonate emergenze di natura economica, sanitaria ed ambientale che afliggono la vita quitidiana di tante persone.

Il ricorso alla decretazione di urgenza è preoccupante non solo per la consistenza quantitativa del fenomeno, ma anche per le evidenti forzature cui sono sottoposti i concetti di straordinaria necessità e urgenza fissati dall’art.77 della Costituzione. La Corte costituzionale in passato ha valutato con rigore i requisiti della straordinaria necessità e urgenza, rilevando che «l’esistenza e l’adeguatezza della situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale quale il decreto legge, ne costituiscono un requisito di validità costituzionale, sicché l’eventuale palese mancanza di esso configura (…) un vizio di legittimità costituzionale del decreto legge». Il Presidente della Repubblica firmerà il decreto ignorando la portata di questi rilievi ?

3. Come già avvenuto in passato con i decreti legge in materia di immigrazione e chiusura dei porti, ad esempio con il decreto n. 53 del 2019 (decreto sicurezza bis), che i precedenti governi non hanno saputo abolire, si violano gli articoli 10 e 117 della Costituzione in base ai quali la potestà legislativa dello Stato deve essere esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali. Come gli obblighi di soccorso in mare, sono obblighi internazionali anche le previsioni, contenute nei trattati e nella normativa europea, riguardanti lo Stato di diritto e i principi relativi alla sanzione penale.

Secondo l’art.49.3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che si collega al principio generale della proporzionalità dei reati e delle pene sancito dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, “le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.

Come segnala Francesco Viganò, attuale giudice della Corte Costituzionale, e autore di una monografia sulla proporzionalità della pena, “una sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia (NE, in causa C‑205/20) depositata lo scorso 8 marzo 2022 ha affermato il principio secondo cui il criterio di proporzionalità della sanzione – stabilito da singole direttive, ovvero fondato sull’art. 49, paragrafo 3, della Carta – è dotato di effetto diretto nell’ordinamento degli Stati membri. Con la cruciale conseguenza che il giudice penale, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, sarà tenuto a disapplicare discipline legislative nazionali contrastanti, seppur «nei soli limiti necessari per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate“. Intervento di disapplicazione parziale di una norma che comunque non esclude la rimessione della questione dell’applicazione complessiva della stessa norma penale, che preveda una sanzione sproporzionata, alla Corte Costituzionale.

4. La commissione di reati è sempre meritevole di sanzione; ma nel caso del primo decreto legge adottato in bozza dal governo Meloni si può intravedere la conferma di un fenomeno degenerativo già in corso, come il superamento del principio costituzionale di uguaglianza, con l’introduzione di una norma di diritto penale che, dietro l’apparente neutralità, individua figure e spazi sociali ben determinati, per i quali si prevede un sistema sanzionatorio “speciale” giustificato anche sulla base della provenienza dei presunti autori del reato. Secondo la Meloni, “in passato l’impressione che lo Stato italiano ha dato è di un lassismo sul tema del rispetto delle regole e della legalità. La volontà politica fa la differenza e il segnale è che non si può venire in Italia per delinquere perché ci sono delle norme che vengono applicate”.

Si introduce così un trattamento punitivo a forte connotazione soggettiva e di carattere deteriore rispetto a molti altri reati di gravità non certo inferiore, ma commessi al di fuori di eventi organizzati come i rave party. Con una formulazione tanto ampia da mettere immediatamente nel mirino tutte le attività di aggregazione sociale che si svolgono in luoghi occupati. Una traduzione in chiave penalistica di uno degli obiettivi politici che si pone il nuovo governo. Ma anche un primo attacco a principi fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana.

Il principio di uguaglianza (art.3 Cost.) e quello della finalità rieducativa della pena (art.27 Cost.), impongono la non differenziazione della pena in base alla provenienza sociale o geografica dell’autore del reato, ed “un costante principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra“.

La violazione di questi principi imporrebbe il rifiuto della firma del nuovo decreto legge da parte del Presidente della Repubblica, o il blocco in sede di esame da parte delle Commissioni affari costituzionali delle Canere, ma i precedenti e la schiacciante maggioranza parlamentare, in assenza di una opposizione coesa e davvero efficace, ci inducono a ritenere che quanto annunciato dalla Meloni sarà presto legge dello Stato. Del resto è in corso da anni lo svuotamento della funzione legislativa assegnata dalla Costituzione alle assemblee elettive, in favore di uno strapotere dell’esecutivo, che usa a dscrezione e secondo precisi calcoli politici lo strumento dei decreti legge. Come si sta verificando ancora una volta adesso.

5. Diventa sempre più importante a questo punto il ruolo dei giudici, che dovranno sollevare eccezioni di costituzionalità nelle prime fasi di applicazione delle nuove norme e proporre questioni pregiudiziali di interpretazione alla Corte di Giustizia, in base all’art. 267 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ex articolo 234 del TCE, sospendendo i procedimenti penali in attesa del pronunciamento della Corte di Lussemburgo. Sarà proprio sulla giurisdizione che si scatenerà adesso il prossimo attacco del governo per contrastare sul nascere posizioni di indipendenza, rispetto agli indirizzi governativi, e di ripristino dello Stato di diritto, che già si sono registrate in passato in materia di chiusura dei porti quando si è tentato di criminalizzare gli interventi di soccorso delle organizzazioni non governative. Se l’Italia dovesse proseguire nella linea anticipata dal Presidente del Consiglio, sulla via della deroga sistematica dei principi democratici che caratterizzano lo Stato di diritto, pure in una fase caratterizzata da un clima generale di guerra e da correlate misure emergenziali, si potrebbe arrivare all’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro paese, come si è fatto nei confronti dell’Ungheria di Orban. Se ancora esisterà una Unione Europea capace di difendere i diritti fondamentali della persona enunciati nei suoi Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali.

Il contrasto di questa grave involuzione antidemocratica che fin dai primi atti sembra costituire la cifra del nuovo governo Meloni non si può tuttavia esaurire nelle aule di giustizia o all’interno del nostro paese, ma impone una quotidiana responsabilizzazione di tutti i cittadini democratici per la difesa degli spazi di partecipazione e di solidarietà sui territori ed una internazionalizzazione della questione democratica in ambito europeo.

Oggi l’attacco si porta nei confronti degli spazi sociali occupati e delle fasce giovanili più esposte all’esclusione. Ma già domani nel mirino dei decreti d’urgenza del governo potrebbero esserci le povertà, vecchie e nuove, e tutti coloro che lottano nei territori per difendere la pace, il lavoro, l’ambiente ed i diritti sociali che saranno calpestati dalle misure che il governo si appresta ad adottare ricorrendo alla decretazione d’urgenza, con il Parlamento ridotto ad un ruolo di mera ratifica. Il decreto legge appena approvato in bozza denota la volontà di affrontare questioni sociali sempre più gravi, inclusa la questione dell’uso di sostanze stupefacenti, con misure meramente repressive a scopo di deterrenza, misure di carattere penale che riusciranno soltanto a creare altra emarginazione ed a affollare le aule giudiziarie e le carceri. Contro tutto questo si dovranno moltiplicare e rafforzare le tante resistenze diffuse che già esistono nei territori ed affiancare alla difesa legale la comunicazione sociale e la partecipazione di tutti e di tutte alla difesa attiva delle libertà e dei diritti sanciti dalla Costituzione.

da Adif

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«Si dice rave si scrive raduni, la nuova truffa delle etichette»

Intervista a Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica

«Una pericolosa truffa delle etichette». Così Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica, definisce il nuovo reato di «invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico, la salute o l’incolumità pubblica», introdotto per decreto legge e punito con la reclusione da tre a sei anni.

Dal proposito di depenalizzare all’introduzione di un nuovo reato, il passo è stato troppo breve. È la prima smentita oppure una misura che segue coerentemente la linea di pensiero “garantista” del ministro Nordio?

All’indomani della sua nomina, avevo riconosciuto a Nordio il merito di aver parlato subito di depenalizzazione. Perciò questo primo intervento che introduce una nuova fattispecie di reato – peraltro con un decreto legge, come se vi fosse una situazione di indifferibile urgenza che non consente di attendere il passaggio parlamentare – stona parecchio con i suoi propositi.

Siccome credo che sia giusto interpretare la scelte operate dal ministro come fondate su presupposti di serietà e affidabilità, il nostro timore è che la depenalizzazione di cui parlava Nordio fosse funzionale a tutelare i colletti bianchi coinvolti nel processo penale. Mentre, in questa logica securitaria tipica delle politica giudiziaria delle destre, si continui l’azione penale nei confronti delle classi più disagiate.

Però i rave non sono solo frequentati da classi disagiate. Sono semplicemente un’altra forma di incontro e di divertimento (incluse le sostanze) che predilige luoghi non codificati.

Infatti questa norma l’abbiamo definita «la truffa delle etichette» perché non è anti rave ma anti raduni. Prendendo spunto da questo ultimo rave di Modena, si è introdotta una norma molto pericolosa. Se qualcuno concedesse un capannone per l’evento, il rave party sarebbe legale.

Ma il reato introdotto con l’art. 434-bis del codice penale è procedibile d’ufficio o solo su querela?

È procedibile d’ufficio ma pretende che vi sia un’«invasione», l’occupazione arbitraria di uno spazio contro la volontà di chi lo detiene. Ciò che è preoccupante è che lo spazio può essere privato o pubblico, quindi anche una piazza.

È considerata «invasione» quella di coloro che, organizzando un raduno, una festa o anche una manifestazione di protesta in una piazza, impediscono ad altri di usufruire di quello spazio. In sostanza, si tratta di un’«occupazione arbitraria» che impedisce a chi ne ha diritto di accedere o fruire di quello spazio: nel privato è il titolare del terreno o dell’edificio, per gli spazi pubblici chi ne ha diritto sono tutti gli altri cittadini.

Dunque è una legge che confligge con l’articolo 17 della Costituzione?

Siamo ai limiti. Perché l’articolo 17 definisce come unici limiti alla libertà di riunione il pericolo per l’incolumità e per la sicurezza pubblica. Ed è proprio questa valutazione di «pericolo», che è prognostica e non già verificata, che lascia troppi margini di discrezionalità alla polizia giudiziaria.

Inoltre, l’articolo 5 del nuovo decreto legge prevede che all’articolo 4 del cosiddetto Codice antimafia (decreto legislativo 159/2011), ossia al catalogo delle fattispecie che giustificano l’applicazione delle misure di prevenzione, vada aggiunto anche questo nuovo 434-bis.

Purtroppo il populismo penale di cui questa norma è figlia sta snaturando quella che era la tendenza nobile delle misure di prevenzione da Pio La Torre in poi, utilizzate – anziché per contenere la marginalità sociale e l’opposizione politica come era nell’epoca fascista – per aggredire i gravi reati di profitto e i patrimoni accumulati illecitamente. Misure che vennero poi estese alle mafie. E invece questo catalogo si sta arricchendo sempre più di fattispecie che nulla hanno a che fare con quella nobile logica.

Un magistrato che intendesse applicare questa nuova norma quali problemi si troverebbe ad affrontare?

Come ho già detto, si è costituita – non so quanto consapevolmente – una norma che lascia troppa discrezionalità nel distinguere un diritto costituzionalmente garantito da un reato.

Sulla riforma Cartabia, lei crede che ci fossero delle effettive difficoltà per l’immediata entrata in vigore?

Credo di sì, ma si potevano applicare immediatamente gli articoli 2 e 3 che intervengono in maniera deflattiva e facendo diventare punibili a querela alcuni reati oggi perseguibili d’ufficio, e intervengono anche sulla decarcerizzazione. E si potevano invece differire le norme esclusivamente processuali, per le quali ci sarebbe effettivamente bisogno di norme transitorie.

E invece in questo modo molti magistrati saranno costretti a sollevare questioni di legittimità costituzionale, perché si evidenzia un controsenso del sistema che doveva essere evitato: ci saranno persone che verranno condannate in base a norme che è previsto diventino a breve più favorevoli agli imputati. E dunque il timore è che non si intervenga solo con norme transitorie ma anche su norme che avevano questa efficacia deflattiva e di decarcerizzazione della sezione penale.

da il manifesto

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