«L’improvvisa stretta sulla libertà d’espressione nelle istituzioni dell’educazione superiore britannica e l’atmosfera di paura e sospetto, specialmente all’interno dei dipartimenti di studi mediorientali, hanno ridotto lo spazio di discussione della storia e del contesto di uno dei conflitti più duraturi del mondo contemporaneo». L’allarme lanciato sabato da Brismes (British Society for Middle Eastern Studies), viene raccolto dal Elsc (European Legal Support Center) che, con le parole della Chief Legal Officer Kiran Chaudhuri allarga il discorso oltre il Regno unito: «Stiamo assistendo a un’ondata di repressione in buona parte dell’Europa».

In Gran Bretagna le persone che hanno partecipato a manifestazioni per la Palestina «sono poi finite su molti media inglesi, e diffamate come sostenitrici di Hamas nonostante non avessero minimamente espresso nessun tipo di simpatia per Hamas». Poi, molti di loro hanno iniziato «a ricevere una serie di minacce di morte. In buona parte sono giovani studenti universitari, e in alcuni casi gli atenei li hanno sospesi, o hanno aperto delle procedure disciplinari o li hanno addirittura espulsi. Abbiamo anche visto interventi della polizia che ha effettuato arresti».

Nel nostro Paese, spiega la legal officer per l’Italia e i casi di defunding e financial de-risking, Agnese Valenti, non si sono visti tanti casi di repressione violenta – anche se l’associazione ha ricevuto la segnalazione di un collettivo di Livorno aggredito dalla Digos per un cartello che riportava il numero di morti in Palestina. «In Italia – dice Valenti – come sempre un tema importante è quello della disinformazione» perché alcuni giornali «stanno pubblicando un gran numero di articoli diffamatori». Oltre naturalmente a casi di censura come quello nei confronti di Patrick Zaki.

Ed è di ieri la notizia delle dimissioni di Moni Ovadia dalla direzione del Teatro comunale di Ferrara dopo le pressioni ricevute per le sue parole di condanna del governo di Netanyahu: «Non ho detto viva Hamas ma solo che hanno lasciato marcire la situazione», ha dichiarato Ovadia in una intervista al Corriere della Sera. «Non volevo fare un passo indietro, volevo farmi cacciare e poi sporgere denuncia, ma lo faccio per i lavoratori che non devono essere danneggiati».

Dall’Italia arriva anche un comunicato dell’Associazione degli editori indipendenti (Adei) che «esprime il proprio sconcerto e tutta la propria contrarietà per la cancellazione della cerimonia di premiazione di Adania Shibli decisa dalla Buchmesse di Francoforte». Oscurata, scrivono gli editori, solo perché palestinese: «Esclusioni e censure solo in base alla nazionalità significa sottomettere anche la cultura alla logica delle armi».

Proprio la Germania è uno dei paesi europei in cui la situazione è particolarmente tesa, afferma ancora Chaudhuri: «Moltissime manifestazioni sono state vietate. A molte, anche se autorizzate e anche se sono raduni pacifici, si assiste a cariche della polizia». Dalla Germania, aggiunge, arrivano segnalazioni inquietanti: «Sembrerebbe che sia in corso una forma di profilazionea razziale per gli arabi, per cui la polizia ferma costantemente per strada chi ha quei tratti somatici».

In Francia Chaudhuri segnala l’arresto del 70enneJean-Claude Meyer, della French Jewish Union for Peace, perché sventolava una bandiera palestinese a una protesta a Strasburgo. E ieri Le Monde dava notizia dell’arresto, a Marsiglia, dell’attivista femminista palestinese Mariam Abou Daqqa, a cui sarebbe stato ritirato il visto per stare in Francia.

In Europa, osserva ancora Valenti, sono molti i casi di sospensione dei fondi a organizzazioni palestinesi. «Colpite indiscriminatamente» in Svezia, Germania, Danimarca, Austria «con il pretesto che il supporto di questi stati finisca per finanziare Hamas». «Ma non ha senso perché sono fondi già vincolati a processi di due diligence, di produzione della documentazione che prova che non vengono in alcun modo girati a organizzazioni terroristiche».