Un caso di ingiustizia e disumanità dell’attuale legge sulle droghe
- aprile 27, 2015
- in antiproibizionismo, vittime della fini-giovanardi
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Lo scorso 13 aprile un giovane romano di 25 anni ha subito una condanna a un anno di carcere per avere coltivato erba per finalità terapeutica.
Orfano di padre all’età di 12 anni si è ritrovato con una madre affetta da gravi patologie (hiv, epilessia farmacorestistente, depressione, cirrosi, altro). Il medico ha prescritto alla mamma derivati cannabinoidi. Lui non è ancora riuscito ad ottenere per vie legali. Così ha deciso di alleviare i dolori della mamma producendola a casa.
In totale buona fede ha palesato in rete i suoi disagi nell’approvvigionamento del farmaco. Si è dedicato totalmente alla madre. Ha messo su poche piantine (4) per curare, somministrare la cura alla madre ed è stato condannato perché ritenuto spacciatore di professione.
Nonostante sia stata prodotta copiosa documentazione in ordine alle circostanze sopra descritte, a partire dalla prescrizione medica dei derivati cannabinoidi e dall’avvio della procedura di importazione, è giunta la condanna.
Così all’ingiustizia di una donna che non può curarsi si aggiunge quella del figlio condannato.
E’ seguito dagli avvocati Gennaro Santoro e Andrea Vitale che presenteranno appello.
Nelle motivazioni seppur succintamente si ammette che vi siano “nobili motivi” della detenzione di marijuana autoprodotta per provvedere “a procurare la sostanza stupefacente necessaria alla madre”.
“La legge sulle droghe va radicalmente cambiata. Non è possibile in un solo colpo rovinare due vite nel nome di un proibizionismo violento cieco e sordo”: dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
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