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Turchia: lo sciopero della fame degli avvocati Ebru Timtik e Aytaç Unsal

Da Bobby Sands a Barry Horne, da Patsy O’Hara a Sevillano Martino.

Occuparsi ancora di scioperi della fame fino alla morte è diventato  – per chi scrive – se non devastante, perlomeno deprimente. Anche perché in molti casi diventa un anticipo del necrologio.

E tuttavia quanto avviene oggi nelle galere turche, si tratti di prigionieri di guerra curdi o di prigionieri politici – avvocati, musicisti – della sinistra turca, rimane emblematico. Un indicatore, una bussola per orientarsi nella grande confusione planetaria, tra populismo, false flag, contaminazioni e strumentalizzazioni che ci insidiano. Al di là anche delle note divergenze e polemiche, delle reciproche accuse (di “separatisti” rivolte al PKK o viceversa di “assimilati” destinate ai curdi integrati in Grup Yorum) che personalmente considero “contraddizioni in seno al popolo” da affrontare – e possibilmente risolvere- come tali.

La prendo larga. Leggere di prigionieri baschi, bretoni, corsi o irlandesi, di lotte per l’autodeterminazione storicamente di sinistra in siti che contemporaneamente pubblicavano interviste compiacenti e contributi diretti di Fioravanti e camerati (quelli dei Nar) provoca conati di vomito. Ma penso che l’infamia – a rischio di far loro involontaria pubblicità – vada comunque  denunciata. In quel sostanziale deserto creatosi a sinistra nei riguardi di tali resistenze (ripeto: baschi, corsi, irlandesi, catalani, perfino mapuche e afro-americani del Move…) sempre più spesso si intrufolano i sorci bruni. E’ storia antica. Lo facevano, se pur in maniera artigianale, sia Ordine Nuovo che Lotta di popolo, Terza Posizione, Settembre e sviluppi successivi (anche se in questo caso si sono poi specializzati in questioni ambientali). Fino al sidro abusivo di Casapound (su cui almeno, era ora, è intervenuto il Sinn Fein).

Colpa – in parte almeno – della Sinistra storica che da anni ha sostanzialmente abbandonato tali battaglie, magari tacciandole di “nazionalismo identitario” o di “separatismo etnico”, non riconoscendo – o non volendole vedere – le istanze di liberazione sociale di cui erano comunque portatrici. Un vasto contenitore per sindacalismo, ecologismo, femminismo, egualitarismo (vedi appunto il caso di baschi, irlandesi, catalani e ancor più dei curdi).

Sprovvisti di una propria ben definita identità (sostituita con il ciarpame, la paccottiglia, il bric-à- brac di cui parlava Jesi) e comunque sul libro paga del peggior capitalismo, i diversamente fascisti – sempre travisati, quelli “né di destra, né di sinistra”, i terceristi – si sono candidati a riempire il vuoto, tentando di colonizzare quanto di ribellistico, antagonista sopravvive nella generale reificazione spettacolare. Non solo in Italia. Cito sempre l’azzardo spregiudicato con cui Vae Victis , band francese di estrema destra, si è impadronita – in chiave comunitarista –  addirittura della Commune (quella del 1871!) dedicandole una canzone.

D’altra parte – tra rosso-bruni, comunitaristi vari, nazional-bolscevichi etc – ormai si è visto di tutto.

Per ora, almeno per ora, la cosa sembra risultargli più difficile con quanto avviene in Turchia e Kurdistan. Qui la natura sfacciatamente fascista del regime (autoritaria, gerarchica, con forti caratterizzazioni anche di tipo religioso) e del blocco militare-industriale crea forse qualche corto circuito. Nel senso che a un fascista riesce più congeniale attaccare le democrazie come nel caso della Gran Bretagna, della Spagna o della Francia.

Ritornando agli avvocati Ebru Timtik e Aytaç Ünsal in sciopero della fame da oltre 200 giorni, la loro situazione rimane grave. Se possibile, è ulteriormente peggiorata dopo il trasferimento forzato dal carcere in un ospedale – classificato covid – dove rischiano più di prima. Sia di ammalarsi, sia di venir sottoposti all’alimentazione forzata (considerata da Amnesty International una forma di tortura in quanto provoca danni irreparabili, sia fisici che psichici).

Risaliva alla scorsa settimana la notizia che anche la 38a corte d’Assise ha negato la richiesta del loro rilascio (come già aveva fatto la 37a corte d’Assise) confermando  la decisione di farli rimanere in prigione. E questo nonostante il rapporto medico legale avesse confermato la criticità della situazione stabilendo che il loro stato di salute non consentirebbe la permanenza in carcere.

Vien da pensare che le autorità turche intendano punire gli avvocati per aver difeso le vittime di tortura e di omicidi extragiudiziali; per essersi schierati contro le violazioni dei diritti umani, civili e a fianco delle lotte sociali e dei lavoratori.

Arrivando a classificare tali attività, perfettamente legali e compatibili con la legislazione turca (almeno formalmente), come autentici crimini contro lo Stato.

Il processo, seguito da centinaia di giuristi a livello internazionale, ha determinato numerose proteste per l’evidente violazione di ogni principio giuridico e si era concluso con oltre 159 anni di carcere per 17 avvocati (membri del CHD e dello studio legale del Popolo).

Addirittura, una commissione giudiziaria era stata rimossa perché aveva mostrato di voler gestire il caso in modo relativamente obiettivo ordinando – subito dopo l’appello del pubblico ministero – il rilascio di tutti gli avvocati,

Non ultimo, questo tribunale era rimasto in attività anche nel fine settimana per poter ordinare entro dieci ore un nuovo arresto per 12 di questi avvocati rilasciati.

Ma, come una volta si diceva, il Re è nudo. Con questo processo è apparso chiaro quanto in Turchia sia venuta meno la indispensabile separazione tra potere legislativo, potere giudiziario e potere esecutivo.

In uno degli ultimi comunicati-stampa resi pubblici davanti al Kanuni Sultan Suleiman Hospital (dove l’avvocato Aytac Ünsal è in sciopero della fame) si poteva leggere:

“Un gran numero di colleghi avvocati, associazioni democratiche, famiglie e amici erano davanti all’ospedale a gridare:

“Terremo vivi Ebru e Aytac!

Ritirate la decisione illegale di lasciarli in carcere, liberate i nostri colleghi!”

Le famiglie di Ebru Timtik e Aytaç Ünsal hanno dichiarato:

“I nostri coniugi e figli sono stati condannati a 159 anni solo con testimonianze segrete e calunnie…

Come famiglie, stiamo facendo presidi sotto entrambi gli ospedali! Vogliamo la loro voce e il loro respiro, li faremo vivere”.

Ugualmente da segnalare la lettera del 30 luglio 2020 inviata dal team di avvocati che difendono i due colleghi in sciopero della fame. Lettera di obiezione al rifiuto della richiesta di rilasciare Ebru Timtik e Aytaç Aytaç (richiesta motivata dall’evidente impossibilità  della loro permanenza  in prigione a causa del rischio a cui le loro vite sono esposte).

I nostri colleghi Aytaç Ünsal e Ebru Timtik affermano che nella causa intentata dal vostro tribunale non è stato previsto un processo equo, il diritto alla difesa è stato violato e la decisione è inaccettabile, e hanno iniziato lo sciopero della fame e hanno trasformato la loro azione in uno sciopero della fame fino alla morte (death fast) a partire dal 5 aprile 2020.

Il rilascio dei clienti è stato richiesto dal 37° Corte d’Assise di Istanbul, il tribunale di primo grado, sulla base dell’articolo 15 della legislazione approvata dal Parlamento il 14/04/2020 e annunciata sulla Gazzetta Ufficiale il 15/04/2020, riguardante le precauzioni carcerarie e le modifiche di alcune leggi: “(4) Se un indagato, come stabilito dall’articolo 16 comma 3 della legge 5275 sull’esecuzione delle pene o delle misure di sicurezza, non è nelle condizioni di sopravvivere da solo in carcere, a causa di un problema di salute o di disabilità, o in caso di gravidanza o entro 6 mesi dal parto, l’arresto può essere sostituito da una libertà vigilata. Nel caso in cui sia stata emessa una sentenza e la sentenza sia stata impugnata, la libertà vigilata può essere decisa anche dal tribunale di primo grado che ha emesso la sentenza, dopo aver esaminato i registri della banca dati giudiziaria nazionale”.

I nostri clienti sono stati trasferiti dal tribunale all’istituto di medicina legale, per verificare che le loro condizioni di salute possano essere consone con la loro permanenza in carcere. In seguito agli esami dell’istituto di medicina legale, è stato riferito che “gli imputati non possono rimanere in carcere a causa delle loro condizioni di salute: è necessario portarli in ospedale e fornire l’assistenza medica“.

Va ricordato che a norma di legge il Tribunale di primo grado non ha l’autorità di pronunciarsi se non con una decisione di controllo giurisdizionale basata sul rapporto dell’İstituto di Medicina Legale

O almeno ciò è quanto stabilisce il regolamento giudiziario: “Nel caso di una data condanna e di un appello a tale condanna, il tribunale di primo grado che si è pronunciato può prendere una decisione di controllo esaminando i registri del sistema informatico giudiziario nazionale (UYAP)“.

Su un caso che è sotto il controllo della Corte di Cassazione, l’autorità del Tribunale di primo grado si limita a prendere una decisione di controllo giudiziario. La decisione del Tribunale di primo grado di portare i due avvocati in ospedale è al di fuori dei limiti chiaramente definiti della loro autorità.

Quindi, per gli avvocati: “La Corte che prende due decisioni diverse nelle stesse situazioni e relazioni con lo stesso contenuto è completamente contro la legge!

In un caso simile, a causa di problemi di salute dovuti ad un prolungato periodo di sciopero della fame, la 37° Corte d’Assise di Istanbul aveva stabilito, nella relazione del 21/02/2020 del Ministero della Giustizia della Repubblica di Turchia, Direzione dell’Istituzione di Medicina Legale, che a causa di complicazioni sanitarie che si sono sviluppate a causa di un prolungato periodo di sciopero della fame, un ulteriore periodo di carcere non è appropriato per la loro salute. Pertanto, i detenuti erano destinati ad essere rilasciati con il caso numerato 2020/28 E. Il rapporto dell’Istituto di Medicina Legale con lo stesso contenuto è stato presentato come allegato”.

Inoltre, considerando la pandemia esistente “il trasferimento dei nostri clienti in un ospedale contro la loro volontà presenta un rischio maggiore

Il trasferimento dei nostri clienti in un ospedale senza il loro consenso comporta un rischio enorme, considerando il fatto che l’ambiente degli ospedali in questi tempi non è adatto a persone con un sistema immunitario debole. Nel rapporto del 16/03/2020 del Training and Research Hospital di Ümraniye è stato stabilito che la permanenza in ospedale di pazienti con sistema immunitario gravemente indebolito a causa di un lungo periodo di sciopero della fame è rischiosa a causa della pandemia SARS-CoV2 e di altre infezioni ospedaliere. Con il mandato numero 14500235-403,99 del Ministero della Salute con il tema “Ospedali pandemici” gli ospedali pubblici e privati sono stati dichiarati ospedali pandemici”.

I nostri clienti  – prosegue la lettera – sono in sciopero della fame, chiedono un processo equo e non hanno fatto richiesta di trattamento (di alimentazione artificiale nda) – e quindi: un trattamento medico senza consenso non è legalmente possibile.

Lo sciopero della fame dei nostri clienti ha delle richieste molto elementari e legali e hanno informato il pubblico e le autorità in molte occasioni attraverso le loro petizioni che non accetteranno alcun trattamento sanitario fino a quando le loro richieste non saranno soddisfatte. L’articolo 17 della costituzione e la sentenza che “Al di fuori delle necessità e delle situazioni mediche stabilite dalla legge, l’integrità fisica di una persona non può essere violata, e non può essere sottoposta a prove mediche o scientifiche senza il suo consenso” stabilisce chiaramente che una persona non può essere sottoposta a cure mediche contro la sua volontà. Inoltre, l’articolo 24 del Regolamento sui diritti del paziente richiede anche il consenso del paziente per il trattamento medico e stabilisce la situazione in cui si possono applicare eccezioni come ” “Non è necessario ricevere il consenso del paziente quando esiste un pericolo immediato per la vita del paziente, quando il paziente non è in grado di dare il proprio consenso perché è incosciente o quando si presenta una situazione che può comportare la perdita di un organo o la perdita irrevocabile delle sue funzioni”, limitando quindi l’eccezione a situazioni in cui esiste un pericolo per la vita del paziente o il paziente è incosciente. I pazienti mantengono comunque la loro coscienza e qualsiasi intervento è sia contro la legge che un atto criminale. La decisione del tribunale è contraria alla costituzione, di cui all’articolo 17, e costituisce una violazione dei diritti umani. L’esecuzione di questa sentenza non è possibile considerando sia la legislazione che i principi dei diritti umani.

Il rapporto dell’Ümraniye Training and Research Hospital che abbiamo presentato in un caso simile sottolinea che “dalla legislazione nazionale e dai trattati internazionali di cui il nostro paese è firmatario, gli individui che mantengono la loro coscienza non possono essere sottoposti a interventi medici senza il loro consenso o la loro volontà“.

Visto e considerato che “le condizioni del carcere non sono adatte alla salute dei nostri clienti (come  aveva confermato l’Istituto di Medicina Legale secondo cui “le condizioni del carcere non sono adatte alla salute di chi è in sciopero della fame” nda) e che nonostante questa relazione, la commissione temporanea della 37° Corte d’Assise di Istanbul ha deciso, in contraddizione con il precedente provvedimento e fuori dalla sua autorità, di respingere la nostra richiesta di rilascio e ha deciso di trasferire i nostri clienti in ospedale mettendo così  a rischio la loro vita, ritenendo tale decisione completamente contraria alla legge, noi chiediamo il ritiro di questa decisione che causa rischi vitali durante la pandemia. Chiediamo che venga seguita la procedura legale e che i nostri clienti vengano rilasciati”.

Va anche chiarito che i due sostanzialmente sono stati ingannati al momento del ricovero in ospedale, in quanto venne detto loro che il rapporto medico legale era difettoso e che avrebbero dovuto essere esaminati di nuovo.

Nonostante la gravità della situazione (Aytaç Ünsal pesa meno di 35 chili) esiste ancora un’alta probabilità che i due scioperanti della fame possano sopravvivere se rilasciati. Da cui l’urgenza di mobilitazioni e interventi di solidarietà.

Ancora due casi drammatici e urgenti.

Intanto quello di un’altra prigioniera politica turca. Si tratta di Didem Akmanin, in sciopero della fame da ormai 170 giorni. Condannata all’ergastolo a Sakran (Izmir Aliaga Prison), rimane segregata per 23 ore al giorno in una cella lunga cinque passi. Non è certo una coincidenza che i suoi avvocati siano stati proprio Ebru Timtik e Aytac Ünsal.

Altra prigioniera in death fast (sciopero della fame fino alla morte) è Ebru Timtik. Gli ultimi aggiornamenti sulla sua situazione risalgono ai primi di agosto e provengono dalla zia che aveva potuto visitarla in ospedale.

La zia, Yıldız Deniz ha spiegato che “la luce è accesa 24 ore su 24. Di giorno non è un problema, ma di notte l’abbiamo spenta. Ma le guardie della prigione hanno detto che doveva rimanere accese perché altrimenti loro non potevano vedere bene dentro. Non spengono mai la luce. Ebru ne è molto disturbata… Le infermiere vengono costantemente a controllare il battito e la pressione sanguigna. Ebru ogni volta si rifiuta dicendo: “Sono una sorella, non sono malata“.

La zia ha poi aggiunto che l’aria condizionata accesa al massimo “non consente a Ebru di avere una temperatura adeguata per cui le sue e mani e i suoi piedi sono sempre gelati”.

Nel frattempo il Centro Culturale İdil di Grup Yorum a Okmeydanı – İstanbul è stato nuovamente perquisito e il loro concerto, previsto per il 9 agosto, impedito con la forza dalla polizia che ha arrestato decine di persone.

Gianni Sartori

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