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Torture in carcere a Bari. Un agente chiede scusa

Per le presunte torture nel carcere di Bari sono imputati 11 agenti penitanziari. Un detenuto è stato picchiato nel 2022. Nel corso dell’udienza l’assistente capo della Polizia Penitenziaria ha chiesto scusa.

«Chiedo umilmente scusa del mio comportamento, dettato dall’esasperazione e dallo stato emotivo dovuto a quanto accaduto. Chiedo scusa a tutti, ai giudici, ai colleghi e al personale sanitario. Sto seguendo un percorso dallo psichiatra e ho chiesto la pensione». Lo ha detto, rendendo dichiarazioni spontanee in tribunale, l’assistente capo della polizia penitenziaria di Bari, Giacomo Delia, uno degli agenti a processo con l’accusa di tortura nei confronti di un detenuto 41enne che – secondo quanto emerso dalle indagini – sarebbe stato picchiato dopo aver appiccato fuoco nella sua cella nel carcere di Bari il 27 aprile 2022.

«Mi riconosco nel video – ha detto ancora Delia – e chiedo scusa del mio comportamento». L’imputato ha deciso di non sottoporsi all’esame della procura come alcuni coimputati; altri invece hanno deciso di rispondere alle domande degli inquirenti e degli avvocati. Gli imputati in questo processo sono undici: cinque sono accusati di tortura, agli altri imputati la procura contesta di non aver fermato o denunciato le violenze.

Il sovrintendente di polizia penitenziaria Domenico Coppi è stato condannato a tre anni e sei mesi in abbreviato.

Nell’udienza che si è tenuta il 22 novembre è stato nuovamente mostrato il video del pestaggio nei confronti del detenuto. «Se avessi visto quanto stava succedendo – ha detto l’assistente capo coordinatore Francesco Ventafridda, tra gli agenti accusati di tortura – avrei denunciato i miei colleghi. C’era confusione, c’era fumo, avevo gli occhiali appannati e sporchi di fuliggine, ero preoccupato per aver lasciato scoperta la sezione di alta sicurezza. In passato mi è capitato di denunciare colleghi che si erano comportati male». Ventafridda, per la procura, avrebbe assistito «a tutta la fase dell’aggressione e, pur non partecipandovi, non impediva la condotta attiva dei colleghi».

«Non sapevo come comportarmi, era una situazione assolutamente anormale – ha dichiarato invece l’assistente capo Giovanni Spinelli, a cui pure è contestata la tortura -. Il detenuto era fradicio e sporco di fuliggine, ci minacciava, urlava contro di noi. E nel carcere c’era una situazione di caos totale».

Spinelli, che secondo l’accusa avebbe colpito il detenuto con un calcio alla schiena mentre era a terra, come si evincerebbe anche dal video, ha detto: «Non gli ho tirato quel calcio per fargli male, è scappato. Ho avuto una reazione mista tra nervosismo e tensione, mi sono sentito provocato. Quella notte abbiamo messo in sicurezza 140 persone e messo a repentaglio la nostra incolumità. Vivere una situazione del genere è indescrivibile, tuttora ho fatica a dormire prima delle udienze perché rivivo quella notte».

«Ho firmato il verbale redatto dal sovrintendente Coppi senza leggerlo, perché non avevo motivo di dubitare della sua ricostruzione dei fatti. Lo conosco da 25 anni ed è sempre stato professionale». Lo ha detto agli inquirenti il sovrintendente della polizia penitenziaria Vito Sante Orlando, a cui sono contestati i reati di omissione di atti d’ufficio e falso in atto pubblico, nell’ambito del processo in cui cinque agenti sono accusati di tortura (gli altri di non aver fermato o denunciato le violenze) per aver picchiato un detenuto 41enne dopo che questi aveva appiccato il fuoco nella sua cella del carcere di Bari il 27 aprile 2022. Nel verbale citato oggi in udienza da Sante Orlando, per la procura sarebbero stati relazionati «falsamente» i fatti avvenuti quella notte, con l’omissione delle «gravi condotte» e dell’impiego «della forza fisica» contro il detenuto. Il sovrintendente di polizia penitenziaria Domenico Coppi è stato condannato a tre anni e sei mesi in abbreviato.

E’ stato ascoltato anche l’agente Leonardo Ginefra, che ha definito «consolidata» tra le forze di polizia la manovra di trascinamento di una persona che «oppone resistenza passiva». Ginefra è imputato per violenza privata – perché avrebbe trascinato il detenuto sul pavimento fino all’infermeria – e per omissione di atti d’ufficio per non aver fermato il pestaggio. “Abbiamo fatto in modo che non si facesse male – ha aggiunto – mettendolo in posizione quasi seduta per portarlo in infermeria. Non potevamo prenderlo in maniera diversa perché dovevamo evitare che ci aggredisse». (fonte Gazzetta del Mezzogiorno)

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