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Sicurezza: Da Verona a Bologna, se il conflitto è vietato

Il leit motiv è vecchio come il cucco: le manifestazioni intralciano il traffico, creano scompiglio, in qualche modo limitano qualche libertà di chi non aderisce a quella specifica manifestazione. Si comincia così e si finisce alla direttiva Maroni, quella che prendendo spunto dai cortei con annessa preghiera islamica indette dalle comunità musulmane nel periodo della guerra a Gaza, si prende la briga di dare disposizioni a tutti i questori e i prefetti d’Italia: si definiscano criteri per «limitare l’accesso ad alcune aree particolarmente sensibili», si prevedano «forme di garanzia per eventuali danni». Questo il 26 gennaio. Un mese dopo c’è già il primo indagato. Si chiama Pietro Milazzo, è un dirigente regionale della Cgil siciliana e una ventina di giorni fa ha ricevuto un avviso di garanzia. Il reato contestato sull’avviso non c’è scritto. Ma probabilmente è il 650 del codice penale: inosservanza di provvedimento di autorità. È previsto l’arresto fino a tre mesi e un’ammenda pecuniaria. Ma cosa hanno fatto Milazzo e tutti quelli che, come lui, un pomeriggio sono andati a manifestare di fronte alla Prefettura di Palermo? Hanno sostato sul marciapiede antistante la Prefettura, dove da sempre si organizzano i presidi. Proprio quello che la Questura aveva vietato di fare. «Ma io l’ho fatto lo stesso – racconta Milazzo – perché ritengo anticostituzionale che mi si dica dove devo manifestare, visto che non ci sono problemi di ordine pubblico». Una volta, forse. Ora Milazzo rischia di doversi difendere in tribunale. Tra l’altro la sua storia insegna in che modo la direttiva Maroni possa essere utilizzata. La manifestazione «incriminata» infatti era in solidarietà con lo stesso Milazzo, che lo scorso settembre ha ricevuto un avviso orale dalla questura di Palermo – in base a una legge del ’56 – in cui gli si intimava di modificare la sua condotta considerata pericolosa (è un attivista politico) specificando che, in caso contrario, rischia di incorrere in misure di prevenzione. Ora il «pericoloso» Milazzo, che insiste a manifestare sui marciapiedi, deve difendersi anche da una nuova accusa. Ma se questo accade a Palermo, la topografia delle prossime manifestazioni è in rapida ridefinizione. A Bologna il prefetto ha deciso che – fino a settembre – non si può più manifestare nel centro storico dalle 14 del sabato fino a tutta la giornata della domenica. Niente più cortei nel week-end a piazza Maggiore, piazza del Nettuno, fino alla cosiddetta «T» (via Ugo Bassi, un tratto di via Indipendenza, via Rizzoli) circuiti storici per le dimostrazioni bolognesi. Giro di consultazioni in Prefettura anche a Verona, dove di volta in volta sindaco, prefetto e questore valuteranno se sia il caso di concedere il calpestio di massa del centro storico. Come esplicitamente previsto dalla direttiva Maroni, si valuterà anche se chiedere o meno una cauzione ai promotori, per tutelare il Comune da eventuali danni. Possibilità che ha fatto drizzare le antenne degli attivisti veronesi, visto che per la manifestazione antifascista del 17 maggio 2008, che aveva lasciato dietro di sé qualche scritta e una vetrina rotta, il sindaco Flavio Tosi aveva minacciato di chiedere 20 mila euro di danni. Ma in materia di disciplina dell’ordine pubblico Tosi non è secondo a nessuno: proprio in questi giorni una sua ordinanza ha vietato ai supermercati la vendita di uova e farina nel giorno del corteo di Carnevale, per evitare ai dispettosi bambini di tirarsele appresso e imbrattare la perla dell’Unesco, il centro storico della città scaligera. Disposizioni sulla limitazione del centro storico sono attese anche a Vicenza. Il Prefetto ha avviato anche lì un giro di consultazioni. Il comitato No Dal Molin ha inviato una lettera in Prefettura per prendere posizione: «Riteniamo che non si possa svilire il ruolo della polis a mero “salotto”».

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