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Il senso (illegale) di Travaglio per la pena

Non è una farsa l’ergastolo italiano (più di 1800 gli ergastolani, vaglielo a dire), ma piuttosto la sua conformità all’art.27 della Costituzione. Ma Travaglio non sa, non si informa nè tantomeno studia e approfondisce. Il pregiudizio è il suo chiodo fisso secondo cui la pena non può che essere il raddoppio del male.

di Michele Passione, avvocato – da l’Unità

Prendendo le mosse dalla vicenda del duplice omicidio del gioielliere di Grinzane Cavour, le cui immagini agghiaccianti hanno fatto il giro del web, concionando come suo solito Marco Travaglio conferma la sua idea incostituzionale della pena (fino alla fine), alimentando ancora una volta quello che ipocritamente denuncia essere un pericolo: l’adesione della pubblica opinione alla giustizia fai da te.

L’antidoto promosso nell’articolo, spacciato per “equilibrio e serietà”, è il solito: per evitare che la gente si armi, le pene scritte in sentenza dovrebbero essere “scontate fino in fondo”, cioè marcire in galera (come propugna una certa “destra becera che ci sgoverna”). Funzionale alla tesi dell’impazzimento collettivo, ovviamente, “il perdonismo della sinistra”, con richiamo alle visite (“un pellegrinaggio”) in carcere di parlamentari ad un detenuto ristretto al regime differenziato, che solo nella malcelata confusione del tribuno significa appiattimento sulla figura del condannato, piuttosto che esercizio di una prerogativa prevista.

La notizia non è dunque che un sottosegretario alla Giustizia non possa ignorare la legge, violandola, ma che qualcuno incontri un detenuto, nel rispetto di un essenziale presidio di legalità. Ma siccome non basta, occorre mettere in fila i cattivi, chiamando in causa Cesare Battisti, che avrebbe ottenuto “sei anni di liberazione anticipata” – definita “un abbuono” – e potrebbe chiedere un permesso premio (si chiama così, anche se al nostro non piace).

Che poi Travaglio ignori che per i reati commessi da Battisti occorrano requisiti ben più stringenti che il mero decorso del tempo “per farlo uscire” da parte del Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia (che non esiste) non è una novità. L’importante è dirla grossa, épater le bourgeois. Ed infine, il ripetuto uso dell’indecente neologismo (la “schiforma”), dietro al quale si cela la scarsa conoscenza (diciamo le cose come stanno).

Se non sai, ti inforni, studi, approfondisci, ma spacciare la Giustizia riparativa con “quattro chiacchiere” con chi ti ha ammazzato un parente disvela, ancora una volta, il pregiudizio e il chiodo fisso del direttore, secondo cui la pena non può che essere il raddoppio del male.

Non è una farsa l’ergastolo italiano (più di 1800 gli ergastolani, vaglielo a dire), ma piuttosto la sua conformità all’art. 27/3 Cost.; ma il Direttore può star tranquillo, ché infatti c’è qualcuno che ha già pensato a una bella modifica.

L’effetto di ammonimento e di moralizzazione prodotto dalla minaccia della pena… dissuadendo i consociati con la minaccia di una pena esemplare e senza chance di impunità per i criminali dal violare le norme dell’ordinamento”; così si legge nella relazione alla pdl (in)costituzionale d’iniziativa dei Deputati Cirielli, Lucaselli, Zucconi. A ciascuno il suo; ma a Travaglio piace così.

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