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Sapesse Contessa…

C’è una fotografia, fra le tante dei “sei della gru” diffuse in questi giorni tramite la rete, che li riprende in posa, insieme, lo sguardo rivolto verso l’obiettivo, l’espressione serena o sorridente, l’indice e il medio alzati in segno di vittoria o piuttosto di auspicio. Osservateli bene quei visi perché sono l’immagine della speranza. Non solo della propria: ottenere un permesso di soggiorno e il diritto di lavorare e vivere in pace e dignità. Ma anche di una nostra speranza: che sul terreno melmoso di questo paese corrotto e putrescente stia fiorendo una generazione meticcia di lavoratori che forse ci insegnerà di nuovo le parole che noi, analfabeti di ritorno, abbiamo dimenticato: parole semplici come pane e lavoro, dignità e rispetto, solidarietà e lotta per il diritto di vivere e di far vivere i propri cari. Sono le parole arcaiche e concrete del tempo travolto, o solo sommerso, dalla società dello spettacolo in versione italica: nella quale una ragazza marocchina può essere umiliata e vilipesa se sceglie d’indossare un foulard; maltrattata, internata, espulsa se perde, non per sua colpa, il permesso di soggiorno; protetta, coccolata e favorita nella “carriera” da potenti lenoni mediatici e di governo se, mascherata da “velina”, intraprende il mestiere più antico del mondo.

Osservatela bene la foto dei sei della gru: due pachistani, un indiano, un egiziano, un marocchino, un senegalese. Sono persone di età diverse; differenti sono anche le biografie, i livelli d’istruzione (fino alla laurea), le lingue materne, i paesi e gli ambienti sociali di provenienza, i mestieri in nero che svolgevano in attesa del permesso di soggiorno. Eppure quei sei sono uguali e uniti nella determinazione e nel coraggio, nella capacità di resistere in condizioni estreme, nella volontà di sacrificarsi per se stessi e per conto dei mille migranti di Brescia che hanno fatto richiesta di sanatoria, hanno versato nelle tasche dello Stato qualche migliaio di euro e non hanno ottenuto il permesso di soggiorno.
Grazie a questi lavoratori, destinati a divenire parte – che lo si voglia o no – del proletariato nuovo e meticcio di questo paese, da qualche tempo le parole arcaiche e semplici della dignità, dei diritti e del conflitto vanno generalizzandosi. Da Castelvolturno a Rosarno, dalla Domiziana alla gru di Brescia, fino alla Torre ex Carlo Erba di Milano, essi osano ribellarsi e rifiutare la condizione di meteci, sfidando la camorra e i caporali, il razzismo leghista e il ministro dell’Interno, nonché il putrido senso comune cresciuto fra una campagna sicuritaria e l’altra.
Ed ecco perché il ministro dell’Interno si accanisce contro di loro e chi li sostiene con stile e metodo che qualcuno ha definito cileni: le violente cariche della polizia contro il presidio dei solidali, il divieto di assembramento, la caccia all’uomo per il centro di Brescia, alcuni feriti, il fermo di quattordici nativi/e e di un numero imprecisato di migranti. Probabilmente Maroni e i suoi sodali intuiscono che è finita la pacchia: i “clandestini”, gli “extracomunitari”, l’informe massa da internamento ed espulsione, i potenziali criminali “di colore”, gli spauracchi da dare in pasto al risentimento popolare, le braccia da lavoro senza volto osano rivoltarsi e in tal modo si propongono come persone. E non solo. Il peggio è che pretendano d’insegnare che ribellarsi è giusto ed è di nuovo possibile. Ancor peggio è che vi sia una marmaglia pezzente – comunista, centrosociale, perfino cattolica e anche solidale o disperata senza aggettivi – che sembra disposta a seguire il loro esempio. Peggio di ogni cosa è che quei sei abbiano avuto l’ardire di rivolgersi al presidente della Repubblica come fosse il loro. E’ il mondo alla rovescia, signora mia, non siamo più padroni a casa nostra: ora i “negri” pretendono perfino di darci lezioni di civiltà.
Annamaria Rivera da Liberazione

Comments ( 1 )

  • Anonymous

    Credo che ogni persona civile e veramente democratica dovrebbe accettare di imparare qualcosa anche dai “negri”. Penso che la dignità dell’uomo non abbia colori
    che la distinguono. Lrggete la mia poesia “La pelle” sul blog il bulino poetico ecco il link http://antonio37.myslang.eu/ e vi rendete conto di come la penso a riguardo. Viva la NUOVA RESISTENZA. Ciao. Antonio.

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