Purtroppo nell’era della “Autodeterminazione a geometria variabile” talvolta ci si dimentica di qualche popolo oppresso. Stavolta era toccato ai palestinesi. Fermo restando che – pensiamo ai Saharawi – bisogna anche vigilare e diffidare di qualche “amico solidale” non proprio disinteressato
di Gianni Sartori
Con il senno di poi possiamo affermare che l’ormai nota conferenza (mancata) “Fermate la guerra, vogliamo scendere” era nata già tarroccata. Come minimo.
Cosa avevano da spartire gli esponenti di Fight Impunity (v. Panzeri di cui erano previsti ben due interventi) con Fatima Mahfoud, rappresentante del Fronte Polisario?
Conoscendo, ma solo ora, i retroscena la cosa appare perlomeno inquietante.
Appare infatti scontato che uno dei due filoni principali dello scandalo al Parlamento europeo, quello riferito alle ingerenze del Marocco, riguarda la questione del Sahara occidentale sotto occupazione da parte di Rabat. Corrompere parlamentari e funzionari aveva lo scopo di affossare – o quantomeno aggirare – le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea che salvaguardavano i diritti del popolo saharawi sulle risorse (pesca, fosfati…) della loro terra.
Ma ancor prima che scoppiasse il caso sui finanziamenti occulti di Qatar e Marocco, qualcuno aveva storto il naso e preparato un intervento critico su un’altra questione. Quella che appariva come una inspiegabile dimenticanza.
Infatti tra i “processi di Pace” (sempre auspicabili) presi in esame (Irlanda, Colombia, Sahara Occidentale, Paesi Baschi, Turchia, Kurdistan) mancava – oibò – la Palestina.
Ricordando la partecipazione anche di un’altra ong italiana (No peace without justice), scrivevano (tra le altre cose, riporto solo qualche passaggio):
“…una clamorosa omissione che vogliamo qui smascherare perché i diritti umani in Palestina sono negati e minacciati anche dal silenzio delle istituzioni governative e culturali, dalla censura della stampa/tv nazionali e dall’acquiescenza dei politici.
Nei Territori occupati si assiste a una carneficina quotidiana: dall’ inizio del 2022 si contano ad oggi più di 212 uccisioni di palestinesi, più di 160 nei territori della Cisgiordania e 52 nella striscia di Gaza e tutti giovani ragazzi o bambini. I Diritti umani di donne, uomini, anziani, malati, paramedici e giornalisti palestinesi vengono violati ogni giorno dalle leggi discriminatorie del governo occupante, dai soprusi dei coloni e dall’impunità dei militari israeliani. Demolizioni, espropri, deportazioni, arresti e torture sono quotidianità per i palestinesi.
La condizione dei Diritti umani in Palestina è drammatica non solo a causa di una occupazione illegale che dura da decenni, ma grazie a un efferato regime di apartheid e razzismo che impedisce qualsiasi soluzione di pace. Anzi, dato il nuovo assetto politico di Israele, la situazione non potrà che peggiorare. La destra al potere in Israele è formata da partiti religiosi ultra-nazionalistici quali Sionismo Religioso, Potere Ebraico e Noam il cui padre spirituale è il rabbino Dov Lior, sostenitore della pulizia etnica dei palestinesi musulmani.
Ogni qual volta, deliberatamente, si decide di non parlare, di non informare, o ignorare le violazioni dei diritti umani, la brutalità della guerra, le ingiustizie ci si rende complici. Inutile ribadire che questo vale per il Kurdistan, per l’Iran come per la Palestina”.
E concludevano, non senza ragione : “Fermate TUTTE le guerre, prima di scendere…”.
Rammarico per l’alto numero di vittime palestinesi veniva espresso in questi giorni anche da Tor Wennesland, inviato dell’ONU e Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio-Oriente.
Parlando il 19 dicembre al Consiglio di Sicurezza ha denunciato che “più di 150 Palestinesi e più di 20 Israeliani sono stati uccisi in Cisgiordania e in Israele nel 2022, il numero di morti più grande da anni”.
Dicendosi molto preoccupato “per l’aumento della violenza contro i civili da parte di entrambi, violenza che esaspera la diffidenza e compromette la soluzione pacifica del conflitto”.
In particolare ha ricordato che nei Territori occupati dall’8 dicembre le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso sei Palestinesi, tra cui due bambini. Solo quest’anno ben quarantaquattro giovani palestinesi e un bambino israeliano hanno perso la vita.
E ricordava il caso recente di un adolescente palestinese di sedici anni (Diaa Muhammad Shafiq al-Rimawi) ucciso dal fuoco israeliano l’8 dicembre nei pressi del villaggio di Abud (a nord-ovest di Ramallah). Il ragazzo lanciava pietre e – pare – della vernice contro alcune auto in transito sulla strada 465. Nella stessa circostanza un altro palestinese rimasto gravemente ferito veniva portato all’ospedale di Ramallah (insieme ad altri tre feriti in maniera non grave).
Qualche giorno dopo, l’11 dicembre, un altro quindicenne palestinese veniva ucciso nel corso di una perquisizione a Jenin.
Rammaricandosi nel dover constatare che “dei palestinesi continuano a essere ammazzati dalle forze di sicurezza israeliane nel corso di incidenti in cui non sembrano rappresentare una minaccia imminente”, condannava ovviamente “ogni azione terroristica” e si appellava ai “dirigenti politici, religiosi e di ogni comunità” affinché contribuiscano a “evitare la retorica incendiaria denunciando coloro che cercano di istigare per aggravare la situazione”.
Altra fonte di preoccupazione per l’inviato onusiano, l’espansione delle colonie israeliane nellaCisgiordania occupata, compresa Gerusalemme-Est. Anche nel 2022 con la costruzione di 4800 alloggi,tale espansione è proseguita nel settore della zona C (così denominata in base agli accordi di solo).
Inoltre “rimango seriamente preoccupato per la prosecuzione di demolizioni e sequestri delle strutture palestinesi”. In particolare per aver assistito alla “distruzione di una scuola costruita con le donazioni a Masafer Yattae per la dichiarata volontà delle autorità israeliane di distruggere altre strutture nelle comunità di pastori in questa regione, con pesanti conseguenze umanitarie”.
Per concludere chiedeva a Israele di cessare ogni azione di colonizzazione e la distruzione delle proprietà palestinesi e di sospendere le espulsioni forzate.
Messaggio caduto nel vuoto – com’era del resto prevedibile – visto che il giorno 18 dicembrel’avvocato franco-palestinese Salah Hamouri (detenuto senza accuse formali da marzo) è stato rispedito forzatamente in Francia per decisione del Ministero dell’Interno.
Costringendolo all’esilio dopo che gli era stato tolto lo status di residente a Gerusalemme.
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