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Lettera dal carcere di Spoleto

Carissimo Mario,

ti invio questa lettera per dirti e dire ciò che sento, poiché è qualcosa di spontaneo che dovrebbe essere presente in ogni soggetto; sento viva, oggi più che mai, la sete di giustizia sociale che è urgente statuire in questo Paese. Perché in una fase in cui le certezze si assottigliano, le diseguaglianze crescono dovremmo far fronte comune, affinché non ci schiaccino dal consorzio sociale cui è un diritto naturale (d’ogni individuo) farne parte, ma certamente non al prezzo di esserne schiavi, ma invece come membri con eguali diritti.
Il rivendicare un diritto non dovrebbe consistere in una lotta tribale per aver semplicemente ciò che è naturale avere, e cioè lavoro, giustizia, in una parola equità tra le parti. Ciò Perché le ricchezze di tutti non possono essere in mano di pochi, e questo i “pochi”, proprietari di tali risorse, lo sanno. Certo le responsabilità sono anche nostre che cechi di fronte a tale realtà continuiamo a fornirgli, paradossalmente, i mezzi ai “pochi”, con i quali ci controllano e ci sfruttano in barba a qualsiasi regolamento. Si! Perché chi gli presta le braccia per aumentare i suoi guadagni e colpirci ogni qualvolta rivendichiamo un diritto? Chi gli fornisce gli occhi per spiarci, se non noi “tanti”? Si i regolamenti, le carte sono il sale di una democrazia, ma sono pure il balsamo per gli allocchi….. Credo che quando una massa di individui fanno parte di una collettività dandosi regole condivise dai più, dovrebbero valere tale regole per tutti e non solo per i “pochi”. Ecco oggi i diritti, il benessere: diciamo ciò che è configurato come bene primario, valgono solo per coloro che hanno un reddito fuori dal comune e la cui tutela è in questi casi massima. Invece, credo che uno Stato che fonda le sue radici sui diritti universali, ma che mantiene al suo interno queste diseguaglianze sociali, non sia né degno, né annoverabile come Stato progredito, ma solo come Stato retrograde ed incivile, e credo anche qualora lo Stato lede uno dei taluni principi inalienabili, sia lecito che il singolo si indigni. E l’indignazione in questo caso dev’essere proporzionata alla violazione che lo Stato pone in essere al singolo denegando i diritti spettanti. Ritengo inoltre che ci siano circostanze in cui non possiamo delegare l’inderogabile né tollerare l’intollerabile, specie quando si tratta di far rispettare alcuni principi cardini contenuti nella Carta Costituzionale. La risposta in questi frangenti deve essere una: disobbedienza civile!!! Ciò significa non ubbidire a regole ingannatrici, ineguali ed inopportune. Ciò perché l’iniquità generano disuguaglianze e quando ci sono disparità di condizioni, credo che sia giusto e doveroso che il singolo attua la disobbedienza. L’obbedienza è un fattore che rientra, in pieno, nel libero arbitrio dell’individuo. Dunque è una scelta individuale, in realtà, se non è il singolo che gli concede volontariamente l’obbedienza, loro, non la possono mai avere. Questa si chiama scelta della non delega del proprio domani. Ti ho fatto questo breve excursus volgendo le mie argomentazioni in ambito politico, perché, sentendo sulla pelle cosa vuol dire essere differenziato, essere tacciato come male di tutti i mali dai mass media asserviti al potere di turno (ciò per nascondere le vere ruberie poste in essere dai loro padroni), nasce spontanea l’indignazione e la solidarietà, cioè quel sentimento che dovrebbe accomunare l’umano se fossimo in un mondo fatto di giusti. Sento mie le vostre battaglie e spero che nel tempo possiamo unire le nostre voci per cercare nel nostro piccolo di ristabilire un po’ di parità tra le parti. Naturalmente informami sempre delle iniziative di sensibilizzazione che attuerete per le campagne relative alle tematiche sociali.

A dimenticavo, grazie per il libro.

Salutami calorosamente tutti i compagni a te vicino

Giovanni Mafrica
Detenuto AS Carcere di Spoleto

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