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Lettera dal carcere di Piacenza

Caro Mario,

esporrò qua la nostra interpretazione sul concetto di libertà.
E’ sempre delicato affrontare un tema cosi dicotomicamente percepito dalle varie persone, in base alla loro situazione culturale, religiosa e, perché no, logistica. Quello che per noi può essere definito libertà, per un cittadino “libero” può essere la normalità, l’ovvietà di un grado di civilizzazione estremo, protrattosi nel tempo. Ma se lo confrontiamo con alcune popolazioni, per esempio quella palestinese, costretta a subire da decenni la prepotenza ebrea, il nostro concetto di libertà si discosta nuovamente. Quindi non volendo essere presuntuosi nel detenere (brutta parola), il significato universale della parola “libertà” ci limiteremo ad esprimere il nostro sentito.
Quando si pensa all’esterno, si è travolti da ricordi che, man mano che passano gli anni, assumono sempre più la forma dei sogni, lasciandoci increduli al fatto di aver vissuto, anche noi, una vita all’esterno di queste mura , di aver vissuto anche noi, liberi da ricatti burocratici ed etici, liberi da poter assistere inermi alla sofferenza dei nostri cari…. ecco, appunto, “liberi”. Forse è questo il significato della parola, adagiato sul confine tra osservazione ed espressione, tra diritti e doveri, in quel terreno che una volta era di nostra proprietà, ma che ora è proprietà dello Stato, che ci dicono, essere pensiero del Popolo Sovrano; ma quante cose ormai non sono più manifestazioni del Popolo, nasconde nei meandri della politica trasformata ormai in direttrici feudali, mascherate da volontà elettive! Tutto ciò fa sovvenire che, forse, la libertà non la perdiamo in questo luogo, ma in questo stato (la minuscola è intenzionale), quando il Diritto viene calpestato quotidianamente, aggirando norme scritte, con funambolici artifizi, quando la difesa legale è divenuta pura essenza astratta, quando si è costretti a subire calunniate mass-mediatiche al fine di ottenere una visione della vita manichea di tutti i cittadini, cosi da virare l’attenzione su rapporti sociali e conviviali, intrinseci alla nostra (fu) Nazione, invece che su imposizioni perpetrate volontariamente. Noi non ci sentiamo meno liberi “qua” rispetto a “fuori”, magari saremo in una situazione di maggiore sofferenza, ma crediamo che, la negazione della libertà, sentita ora proseguirà anche da “liberi”, ma almeno vissuta vicino ai nostri cari e senza tormenti gratuiti.

Ringraziandoti per il tuo tempo e per il tuo impegno, ti abbraccio, assieme ai miei “amici di avventura”.

Francesco Gumari
detenuto AS Penitenziario di Piacenza

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