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Ha l’Alzheimer, messo in cella per 6 giorni muore un mese dopo

Un anziano di 74 anni ha spinto la moglie con forza, lei è caduta e si è rotta il femore. La figlia, presente nel momento dell’aggressione, ha chiamato i carabinieri che prontamente sono intervenuti e, dopo una colluttazione, l’hanno portato al pronto soccorso. Appena l’hanno dimesso, la pm Chiara Monzio Compagnoli lo ha fatto rinchiudere nel carcere di Busto Arsizio. Ci è rimasto per sei giorni. Da allora non si era più ripreso ed è morto un mese dopo. In tutto questa vicenda manca un dettaglio importante: l’uomo aveva l’Alzheimer.

L’incredibile vicenda denunciata dal Corriere della Sera è iniziata l’otto ottobre scorso a Busto Garolfo, comune a nord- est di Milano. Il signore, che si chiamava Franco, era malato da tempo. Già il 9 novembre 2015 era in una fase “severa con disturbi comportamentali”, certificava il responsabile del centro Alzheimer dell’ospedale di Garbagnate, il dottor Daniele Perrotta, secondo il quale “necessita di assistenza e supervisione continue”, è “molto irritabile” e “aggressivo verbalmente”. In sostanza è la classica e difficile malattia neurodegenerativa dell’Alzheimer.

In particolari circostanze il malato di Alzheimer può diventare irascibile, aggressivo e addirittura violento; ciò può accadere per svariati motivi come la perdita di autocontrollo in pubblico, il degenero delle capacità critiche, l’incapacità di esprimere con sicurezza emozioni e sentimenti sgradevoli e la difficoltà a relazionarsi con altri individui. L’aggressività può anche essere una reazione a sensazioni e condizioni sgradevoli (rumore, confusione, posti troppo affollati), a fattori fisici (fame, freddo, caldo, sonno), e fisiologici (infezioni alle vie urinarie, stitichezza, mal di denti), manifestazioni che il malato non riesce a identificare o a esternare correttamente. L’aggressività è una delle principali difficoltà a cui la persona che assiste deve far fronte. Ma non è certo il carcere il luogo adatto.

Così invece è accaduto con questo signore. Era stato arrestato nonostante la malattia e anche l’età. Entrambi i motivi non erano bastati per scarcerarlo seduta stante. Era sabato, il gip non era disponibile per l’udienza. Dopo tre giorni, finalmente mercoledì 12 ottobre, il signor Franco – ovviamente senza alcuna lucidità – è stato portato in udienza e il giudice non solo ha convalidato l’arresto predisposto dalla pm, ma ha emesso anche un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e ha giustificato l’arresto anche sotto il profilo dell’età. Infatti nell’ordinanza si legge che “eccezionali esigenze” permettono di superare la norma che vieta il carcere a chi ha più di 70 anni, e comunque Franco non può andare ai domiciliari dato che non ci sono “soggetti disposti ad accoglierlo” vista “l’estrema difficoltà della sua gestione”. Poi, la sera stessa, finalmente è arrivato il perito della pm che certifica l’evidenza: Franco non è in grado di intendere e volere e soprattutto non è “socialmente pericoloso”. Passano però altri due giorni e Franco, finalmente viene rimesso in libertà dopo un totale di sei giorni di ingiusta detenzione. Sei giorni fatali per un malato di Alzheimer. Infatti l’anziano malato viene ricoverato d’urgenza nell’ospedale di Legnano per disidratazione e insufficienza renale. Poi si aggiungerà anche la polmonite. Il 3 novembre viene trasferito in un centro Alzheimer dove morirà la mattina del 24 novembre. Se non l’avessero tratto in arresto, probabilmente il signor Franco sarebbe ancora vivo.

Damiano Aliprandi da il dubbio

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