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La tecnica repressiva tra una vita mutilata e la morte: bilancio di tappa

A proposito di una rivolta eminentemente politica. Qualunque sia il suo destino a breve termine, la giusta e magnifica rabbia dei giovani colpiti direttamente dall’assassinio di Nahel avrà gettato una luce abbagliante su ciò che il governo moderno equivale sempre più, in tutti i campi: un gioco con la morte, sempre più vicina ad essa.

di Serge Quadruppani 

Il 25 marzo, due oppositori della politica governativa di distruzione delle risorse idriche sono stati strappati dalla polizia dal preciso spazio-tempo della manifestazione di Sainte-Soline per essere trasferiti in un limbo privo di tempo e di spazio: tra la vita e la morte. Non sono stati i primi, non saranno gli ultimi. In Francia, da un decennio all’altro, la persona che decide di manifestare fuori da rituali negoziati tra sindacati e prefetture ha dovuto accettare sempre più di esporsi a questo rischio: subire uno o più mesi di coma. L’evoluzione della polizia alla francese si è tradotta, grazie allo sviluppo delle cosiddette armi “non letali”, nella creazione di una nuova pena extragiudiziale, scontata in un luogo di reclusione assolutamente fuori vita, una Guantanamo medicata. Si tratta infatti del grado più alto nella scala delle pene che oggi la polizia è autorizzata ad infliggere per motivi politici senza alcun intervento del magistrato: privazione della libertà (trappole e custodia cautelare), irruzioni notturne nelle abitazioni, esposizione prolungata a gas cancerogeni, mutilazioni di ogni tipo – ricordiamo i 24 occhi accecati durante il movimento dei gilets gialli.

Così, prendendo atto dei progressi della medicina, i vari governi (e sappiamo che in Francia i governi sono governati per la polizia quanto non sono governati da essa) hanno potuto spingere sempre più il cursore in direzione di morte – in un movimento che consisteva nell’avvicinarsi sempre ad essa facendo attenzione a non raggiungerla.

Dal 68 ad oggi, la caratteristica dei movimenti sociali in Francia è stata – e questo è un bene – essere sempre all’interno di un’autolimitazione della violenza: nessuno vuole uccidere nessuno. Autolimitazione da parte dei manifestanti perché, contrariamente a quanto raccontano Darmanin e i principali media reazionari, nessuno vuole o ha mai voluto uccidere i poliziotti, per una ragione strategica: non alzare un livello di violenza che non è in grado di resistere, la politica non è la guerra [dal punto di vista dell’antagonismo al potere, mentre questo ne fa la continuazione -militarizzata- della guerra, come suggeriva Foucault ribaltando il celebre teorema di Clausewitz] e soprattutto per un motivo insito nella natura stessa di questi movimenti: che siano le battaglie contro la scellerata riforma delle pensioni o quelle per la difesa della natura, si tratta sempre di essere sul lato della vita.

Ma l’autolimitazione è anche dalla parte dei governanti e della loro polizia, perché, all’interno di società che fondano sulla promessa della più lunga sopravvivenza biologica possibile l’accettazione di una forma di vita sociale sempre più aberrante, l’amministrazione della morte introdurrebbe uno scandalo ostacolando seriamente i piani del governo. Inoltre, autorizzando ogni violenza e mutilazione, ad eccezione della morte, la propaganda può continuare a riprendere l’inno della “violenza”, anche se la polizia dispone e utilizza un equipaggiamento abbondantemente guerriero, infinitamente superiore che rende i suoi agenti quasi invincibili. Nota: per decenni, quanti agenti di polizia sono finiti in un coma artificiale a seguito di scontri con i manifestanti? A nostra conoscenza, nessuno. E nessuno agente delle polizie è mai morto.

Ma quando esci dal campo delle manifestazioni per entrare nella vita quotidiana dei quartieri popolari, il limite di non uccidere (dell’uccidere tout court) non esiste più. Inutile ricordare il lungo elenco di omicidi polizieschi prodotti dalla gestione coloniale delle periferie. Come diceva un giovane di una banlieue a un compagno della piccola borghesia intellettuale che gli raccontava di essere stato anche lui in fermo di polizia: “a te, la polizia ti dà fastidio perché fai la politica, a noi, è perché è il nostro destino”. L’autolimitazione della violenza da parte della polizia funziona solo nella misura in cui fa parte di una sfera politica.

Tutta la gestione governativa delle aree di povertà urbana si è sempre basata sulla loro esclusione dalla sfera politica. Per questo non si tratta più, escludendo la morte, di garantire un’apparenza di libertà politica che giustifichi tutto il resto, ma di mostrare, in tutta brutalità e fino alla morte, chi comanda. Tutto ciò che riguarda l’insubordinazione delle popolazioni povere e razzializzate, insubordinazione attentamente classificata sotto la voce “criminalità” e le infernali coppie oscurantismo religioso-crociata laica/proibizionismo-economia mafiosa, inquadrando le passioni; tutto ciò che eccede viene da una forza di polizia specializzata che concepisce i suoi interventi solo sulla modalità dei rapporti di forza tra bande.

Tutto ciò è un sapere condiviso da tutti gli insegnanti ZEP [le “Zone di Educazione Prioritaria” nelle banlieues] che prestano un po’ di attenzione ai loro studenti: in qualsiasi classe universitaria, è difficile trovare un solo studente che non abbia subito almeno una volta una perquisizione violenta e umiliante. Nei quartieri, il concetto di “identificazione precoce” che i Bauer e i loro sodali [esperti del sicuritarismo francese] si sono sforzati di introdurre nella dottrina antiterroristica trova applicazione quotidiana nell’azione delle bande armate di Stato: sappiamo che l’assassino di Nahel sostiene di aver ucciso lui perché avrebbe potuto mettere in pericolo automobilisti e pedoni [NT: che così sarebbero stati protetti dall’eliminazione fisica di un potenziale criminale che sarebbe stato Nahel sulla base della pura “percezione” del poliziotto assassino].

È l’intero sistema di mantenimento dell’ordine che le rivolte degli ultimi giorni hanno incrinato. Ecco perché questa rivolta è, contrariamente a quanto affermano i sociologi della pacificazione sociale, eminentemente politica. Un’ulteriore prova che la rivolta ha improvvisamente dato a una generazione molto giovane l’accesso alla dignità dell’azione politica è il modo in cui il governo l’ha trattata. Grande è il contrasto tra la brutalità bestiale dell’uccisione di Nahel e le tattiche di contenimento e colpi chirurgici che il potere ha scelto di adottare, almeno inizialmente, di fronte alle reazioni della strada adolescenziale.

È anche vero che le forze dell’ordine sono state travolte dalla portata di un movimento che non si è accontentato di distruggere dentro la gabbia delle periferie. La voglia di sfasciare tutto ha portato all’irruzione nei centri cittadini per depredare le ricchezze capitaliste e ha segnato un salto: tra i 700 commerci e altri punti attaccati sul territorio, quanti dei loro titolari voteranno ancora Macron?

È il tipo di domanda, oltre che quella del mala figura internazionale, dopo tanta preoccupazione suscitata negli ultimi anni, all’Onu e tra i governi limitrofi, dall’azione della sua polizia, che deve aver spinto il capo dello Stato per rimanere su quella che Le Monde, nel suo estatico macronismo, chiama una “linea di Creta” (frontiera instabile). Sembra, sempre secondo lo stesso giornale, che il presidente voglia “dimostrare empatia” (ruolo per il quale questo venditore che si prende per un attore è particolarmente inadatto) e “riavvicinarsi ai giovani” (non sapevamo che questa incarnazione della senilità di un mondo non avrebbe mai legato nulla alla sua gioventù): senza dubbio spera di ripetere il trucco dei dibattiti in maniche di camicia per convincere la classe media che ha il controllo della situazione. In ogni caso una cosa è certa: questa crisi va ad aggiungersi a tutte le altre (pensioni, Gilet Gialli, Covid, ancora pensioni, Soulèvements de la Terre) dove la macronia ha lasciato piume in termini di intenzioni di voto e consensi in vari gruppi sociali, un morto in più rischiava di essere un morto di troppo, non solo per il governo delle periferie, ma per quello dell’intero paese. Ecco perché, questa volta, il governo non ha voluto lasciare le redini al collo della sua polizia, al punto da far abbaiare i mastini dei sindacati di polizia, il cui tratto fazioso può essere analizzato come un programma da applicare quando Le Pen sarà presidente.

In ogni caso, ancora una volta abbiamo verificato ciò che l’ultima battaglia sulle pensioni aveva appena dimostrato, e cioè che un movimento sociale esiste solo attraverso i suoi eccessi. Solo chi straripa (rispetto ai canoni tollerati della protesta) può scuotere chi governa.

La macronia e i partiti che aspirano a sostituirlo sono al servizio di un ordine sociale che continua a spostare il cursore verso la morte delle libertà e dell’intelligenza, la morte dei giovani nelle strade dei quartieri poveri, e degli anziani impoverite nelle case di cura, la morte di acqua, aria, insetti e uccelli. Tra la vita e la morte: questa espressione non è mai stata così azzeccata per descrivere la scelta politica con cui l’umanità dovrà sempre più confrontarsi.

Grazie alla gioventù estrema che è venuta a ricordarci che solo gli eccessi possono strappare i nostri esseri collettivi dal coma artificiale della politica istituzionale.

da lundimatin#390

traduzione a cura di Salvatore Palidda

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