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La Resistenza è ancora una comunità ribelle.

70 anni dalla Liberazione. C’è un orribile sensazione nel vedere questa ricorrenza contaminata dal degrado della nostra vita pubblica e, proprio per questo, abbiamo la necessità di preservarci dalla volgarità dilagante dai signori delle tante guerre. C’è infatti una frattura profonda tra coloro che parlano e invocano “guerre sante” e “affondiamo i barconi”, e quelli costretti al patetico sforzo di tirar via quelle mani ingorde dalla nostra memoria stravolta e dalla retorica della patria.

E’ terribilmente difficile, oggi, rovesciare questa deriva perché bisognerebbe ricollegarsi con la dimensione esistenziale di chi quelle scelte ha compiuto al di fuori della monumentalità del ricordo.

Fuori da tutto questo grondare di falsa coscienza e di retorica o di voglia di arruolare nel proprio esercito i partigiani di settant’anni fa, guardiamo quel che c’è davvero.

C’era un odio profondo nei confronti del fascismo che ci aveva portato in guerra e alla rovina. E c’era il disprezzo per i gerarchi che mandavano i poveracci a crepare senza che sapessero neanche dove andavano, e per una classe dirigente che aveva fatto bancarotta. E c’era nella Resistenza una affermazione assoluta di autonomia, una scelta totalmente volontaria di assunzione di libertà. Era il desiderio di costruire e vivere in un paese libero e solidale dove con la partecipazione popolare si costruivano i diritti sociali.

Erano quelli gli ingredienti fondamentali di allora che oggi sono totalmente smarriti: dell’avversione e odio al fascismo più nessuno parla, perché altrimenti dovremmo scendere in piazza contro il governo che ha ridotto il lavoro in schiavitù e i diritti in favori, che ha sdoganato il fascismo e legittimato il razzismo. Dovremmo riconoscere un nuovo fallimento delle nostre classi dirigenti e ammettere che la stessa logica dell’oscuramento della realtà, della falsa coscienza e della retorica ci hanno, come allora, portato dentro una guerra catastrofica, ed essere consapevoli che tutti coloro che chiedono un minimo di recupero razionale del controllo delle proprie vite vengono criminalizzati e considerati terroristi e anime belle.

Per queste ragioni, siamo “Partigiani” e il 25 aprile non parteciperemo a quelle manifestazioni dove sono presenti rappresentanti istituzionali, di partiti e associazioni asserviti al pensiero unico dominante.

Oggi, giorno della Liberazione, staremo insieme con chi rivendica ancora il “diritto di resistenza” contro il saccheggio e la devastazione dei territori e delle proprie vite, con chi non abbassa la guardia contro i vecchi e i nuovi fascismi.

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