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La guerra in diretta e il trionfo della propaganda sull’informazione

Nel fuoco incrociato di accuse e contro-accuse, per la prima volta stiamo assistendo alla guerra in diretta. Immagini atroci raggiungono occhi, mani e anima in ogni momento. In ogni parte del mondo.

È vero o è una fake? Spesso il dibattito si paralizza su questa domanda. Del resto, la propaganda è parte integrante della guerra. Da sempre. Così, il valore stesso delle vite sacrificate passa in secondo piano. La pornografia del dolore offende i corpi che brandisce mentre chiede altre armi che produrranno altri corpi.

In Italia non stiamo facendo del nostro meglio per informare le persone. E i risultati si vedono: secondo un recente sondaggio (Demos), in Italia una persona su quattro crede che le immagini delle stragi in Ucraina siano false.

Eppure milioni di persone abbandonano le case distrutte, in migliaia abbandonano le vite distrutte. In questi due mesi di guerra sono morti più di 2.000 civili ucraini, tra loro ci sono almeno 71 bambini e 100 ragazzi (dati Onu al 19 aprile). Oltre alle vittime tra i soldati che, secondo il governo ucraino, sarebbero circa 3.000 tra gli ucraini e circa 2.000 tra i russi.

Trasferire le dinamiche di guerra nella società e nel linguaggio non fa che estendere lo stato di guerra, moltiplicarlo, prolungarlo, portarlo fin dentro ogni casa e ogni vita. Si alimentano la diffidenza e sfiducia nell’informazione. Si esasperano l’odio, la rabbia e la diffidenza che già divampano tra gli individui provati da due anni di pandemia in cui la retorica della guerra li ha penetrati fino in fondo all’anima.

Chiedere il cessate il fuoco non significa abbandonare gli ucraini a un destino di morte o di resa, né essere equidistanti, tantomeno tradirli. Anzi. Armando Zelensky, il suo Stato, il suo esercito e i suoi battaglioni non si difende la democrazia, ma si sceglie di sacrificare altre vite. La democrazia non si difende con la guerra, allo stesso modo in cui non la si può esportare.

Perciò, l’unico appello sensato che la comunità internazionale possa fare è: fermatevi, cessare il fuoco e aprire trattative diplomatiche. E – attenzione – pace, nonviolenza e antimilitarismo non significano “resa incondizionata” o “stare dalla parte dei cattivi”. Chi denigra questa possibilità oggi, dovrà risponderne alla Storia. Essere contro la guerra non significa stare dalla parte dei nemici, ma dalla parte della vita e dei popoli.

«A chi obietta che finora nella storia non sono stati possibili cambiamenti strutturali con metodi nonviolenti, che non sono esistite rivoluzioni nonviolente, occorre rispondere con nuove sperimentazioni per cui sia evidente che quanto ancora non è esistito in modo compiuto, può esistere. Occorre promuovere una nuova storia».

                                                                             Danilo Dolci, Una rivoluzione nonviolenta.

Tiziana Barillà

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