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La guerra biopolitica

La gestione sanitaria italiana ed europea del virus può essere valutata soltanto insieme a quello che è accaduto a Glasgow, alle ultime scelte del governo Draghi (allungamento dei tempi per il pensionamento, privatizzazione dei servizi pubblici, divieto di manifestare), e a ciò che accade ogni giorno, da molto tempo, a Kuznica, Bihac, Calais, Lesbo e nelle prigioni libiche

di Franco Berardi Bifo

Quando mi resi conto che il virus aveva svelato un mondo distopico come quelli che avevamo lungamente immaginato, mi è venuta in mente la profezia che insieme a Max Geraci (e al Mago suggeritore) avevamo formulato in un romanzo malamente intitolato Morte ai vecchi. Per me e per Max quel libro si chiama KS, che vuol dire KapSul, ma anche Killing swarm. In quel romanzo si immaginava una bislacca guerra biopolitica. La vera guerra biopolitica è cominciata quando nel 2020 il bio-virus si è trasformato in un info-virus e conseguentemente in uno psico-virus.

Nel romanzo abbiamo immaginato una guerra tra vecchi che si attaccano alla vita come ci si attacca alla sola proprietà di cui si dispone, e giovani che sono stati messi al mondo in un’epoca in cui nascere è la peggiore delle disgrazie che ti possano capitare. Gruppi di adolescenti in estasi elettro-psichica si avventano su vecchietti indifesi per massacrarli con punteruoli tecno-mitologici. Ma nella realtà sta succedendo il contrario di quel che raccontava il nostro romanzetto. La popolazione anziana ha temuto di esser sterminata dal virus e quindi ha decretato lo stato di emergenza che colpisce soprattutto la popolazione giovane.

Gli abbiamo affibbiato l’appellativo jettatorio di generazione Z (l’ultima), e devono rinunciare praticamente a tutto perché il nonno possa agonizzare in pace ancora per un po’. Mentre, dopo Glasgow, tutti sanno che nessun progetto umano è più in grado di opporsi all’apocalisse ambientale, e che la terra si sta trasformando in un pianeta sconosciuto e pericoloso.

Quando, all’inizio di marzo 2020 appresi che in molte regioni del mondo si proclamava emergenza, lockdown, distanziamento, chiusura dei luoghi di incontro eccetera eccetera, mi sono detto: “Queste misure di emergenza salveranno qualche decina di milioni di vecchi, tra cui me e molti amici miei. Ma quante saranno le vittime nel tempo successivo?”. Subito ho cercato di scacciare questo pensiero, maledicendo la mia predilezione per le tinte apocalittiche.

Lessi con inquieto scetticismo l’avvertimento dell’illustre filosofo Giorgio Agamben, che da quel momento diveniva un reietto quasi innominabile: il reietto diceva che le misure di reclusione sanitaria preparano una forma di totalitarismo biopolitico. Nulla di nuovo per chi ha letto L’histoire de la folie à l’âge classique (Foucault 1968) e Naissance de la biopolitique (1992). Ma l’emergenza imponeva responsabilità e la responsabilità imponeva cautela e la cautela imponeva conformismo e il conformismo comportava cieca fiducia nelle autorità e… consigliava di dimenticare Foucault.

Mi sono adeguato alle misure, ho fatto quel che mi si ordinava di fare per proteggere la mia sopravvivenza: sono stato chiuso in casa, ho messo la mascherina, non ho baciato sconosciuti sulla bocca, ho fatto il vaccino, ho fatto il secondo vaccino convinto che fosse l’ultimo.Non lo era. Mentre in Africa solo il 12 per cento della popolazione ha ricevuto il vaccino, i governi occidentali ordinano ai loro popoli di iniettarsi la terza dose, e agitano il green pass come ricatto: sarà escluso dalla vita sociale l’eretico che non si piega ad accettare la Verità vaccinale. Una minoranza non tanto piccola di no vax irriducibili si coalizza e sfida il martirio in nome della libertà. Intanto a quelli che non fanno parte della razza bianca ricca e nordica gli manderemo qualche fiala COVAX, dieci volte meno di quelle che abbiamo promesso. Che si accontentino, la proprietà dei brevetti appartiene ad aziende della razza bianca e nessuna emergenza potrà mai sospendere il dogma fondamentale della Santissima Proprietà.

Intanto nei luoghi che contano si parla di soldi, di spartizione del malloppo in arrivo da Bruxelles. Per questa bisogna si è nominato l’Uomo della Provvidenza Monetaria, il pilota automatico di fronte al quale i rappresentanti del popolo si genuflettono. In primavera quando si trattava di accettare i finanziamenti promessi dalla benevola autorità monetaria europea, l’Automatico assicurò che l’Unione non imponeva alcuna condizione.“Non finirete come la Grecia” diceva col suo enigmatico sorriso l’uomo che ha supervisionato l’umiliazione della democrazia greca e la privatizzazione coloniale delle risorse di quel paese. In autunno però le condizioni imposte dall’Unione sono venute fuori: allungamento dei tempi per il pensionamento, privatizzazione dei servizi pubblici in ossequio alla Bolkenstein, trasformazione del reddito di cittadinanza in un ricatto gestito da agenzie private. E dulcis in fundo divieto di manifestare per chi dissente dalle misure sanitarie. Anzi no, già che ci siamo divieto di manifestare per chi dissente da qualsiasi cosa. Lo stato di diritto è stato sospeso da un pezzo. Lo stato di fatto è un’altalena di panico e depressione.

Alle frontiere d’Europa muoiono di freddo, di fame: sono afghani iracheni e siriani che fuggono dalla desolazione che i nostri aerei, i nostri elicotteri, i nostri droni hanno seminato nelle loro terre. Li abbiamo aggrediti per portargli la democrazia, abbiamo distrutto tutto, gli abbiamo portato via quel che potevamo portare via, e adesso come si permettono di venire a bussare alla nostra porta? In ogni caso la nostra porta è chiusa. Ecco allora che si affollano a Minsk dove un cinico dittatore usa i migranti come arma di ricatto contro l’Europa depositandoli a migliaia nel freddo dei boschi alla frontiera tra Polonia e Bielorussia. Quel Lukaschenko è certamente un tiranno, ma non mente quando dice che i migranti vogliono andare in Germania o in Francia o in Inghilterra. Lukaschenko è certamente un porco, ma i polacchi sono gli stessi che ottant’anni fa accolsero a braccia aperte i nazisti perché chiudevano quei maledetti ebrei dietro un cancello con su scritto Arbeit macht frei. Auschwitz si è oggi trasformata in una cintura dell’orrore tutt’intorno alla frontiera europea. Da Kuznica a Bihac, da Moria a Ceuta, da Lesbo alle prigioni libiche, fino a Calais, tutt’intorno al continente dei vecchi bianchi iper-vaccinati ci stanno le vittime di questo nuovo Olocausto: sono afghani iracheni siriani, curdi e palestinesi. Chiedono di entrare in Europa per non morire, ma l’Europa (gli europei) gli chiudono la porta in faccia, come negli anni Quaranta l’Inghilterra e gli Stati Uniti chiusero la porta in faccia a centoventi mila ebrei che chiedevano asilo.

da Comune-Info

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