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La Fortezza Europa abbandona i migranti nell’orrore delle prigioni libiche

I frutti dell’accordo fatto al vertice di Tripoli. Chi proviene dall’Africa sub Sahariana viene arrestato e tenuto in detenzione senza processo legale e senza alcuno contatto con l’esterno

L’Unione Europea ha trovato la soluzione per risolvere il problema delle migrazioni nel Mediterraneo centrale, la risposta è stata facile: basta non far partire i barconi carichi di migranti. È questo il nucleo del memorandum in 10 punti messo a punto dall’Alto rappresentante Federica Mogherini e dal commissario Dimistris Avramopoulos e proposto dal vertice Ue di Malta. «Abbiamo concordato misure immediatamente operative che dovrebbero ridurre il numero di migranti irregolari e nel contempo salvare vite» ha detto a margine del vertice Donald Tusk, presidente del Consiglio Ue. Dunque potenziamento della guardia costiera libica, controlli più stringenti a terra e rimpatri “umanitari”.

La decisione europea segue quella dell’Italia che ha siglato un accordo con il premier libico Fayez al Serraj; anche in questo caso si prevede il contrasto all’immigrazione illegale, traffico di esseri umani, contrabbando e rafforzamento della sicurezza delle frontiere.

Al governo libico ( che controlla però solo metà del paese) arriveranno mezzi e assistenza. Quella europea è un’operazione che dovrebbe ammontare a circa 200 milioni di euro, soldi provenienti dal Fondo fiduciario per l’Africa. Dunque le autorità libiche bloccheranno le partenze sia scovando e distruggendo le imbarcazioni, sia attraverso quella che viene chiamata line of protection in mare attraverso la guardia costiera di al Serraj. I migranti, che a quel punto non dovrebbero più partire, andrebbero collocati in dei centri appositi nei quali dovrebbero operare strutture umanitarie internazionali come Unhcr e Iom che, insieme ai libici, si occuperanno anche dei rimpatri. Ed è a cominciare da questo versante che sorgono i primi dubbi. Infatti al Serraj ha detto di non voler trattenere i migranti verso l’Europa ma di poter contribuire nel farli rimpatriare nei paesi di origine. Con quali procedure non è ancora chiaro.

Tommaso Fabbri capomissione Italia per il Mediterraneo centrale di Medici senza Frontiere, intervistato sabato scorso dal Manifesto, ha chiaramente fatto intendere che in Libia è difficile per i migranti prendere decisioni autonome senza l’ausilio di commissioni indipendenti, «mediatori culturali, interpreti e informazioni necessarie». Tutto questo mentre, sempre secondo Msf, tre le persone detenute nelle prigioni libiche molto spesso si trovano migranti che vivono in condizioni spaventose. Arjan Hehenkamp, uno dei direttori generali dell’organizzazione umanitaria, ha parlato di un paese dove «la legge e l’ordine sono al collasso, le persone provenienti da paesi dell’Africa subsahariana sono arrestate e tenute in detenzione senza processo legale, senza alcun modo per opporsi o fare ricorso, e senza contatto con il mondo esterno».

Eppure a preoccupare i leader europei sembra essere il lavoro di salvataggio di vite umane che numerose organizzazioni compiono nel mediterraneo centrale.

Secondo i vertici Ue affinchè il piano possa avere completa attuazione si deve verificare, dal punto di vista legale, l’attività delle Ong che si trovano al confine con le acque territoriali libiche. La tesi è che la presenza delle navi umanitarie può rappresentare un vantaggio per i trafficanti che in questo modo possono caricare i migranti su imbarcazioni di fortuna contando sul fatto che saranno raccolti, disinteressandosi di eventuali tragedie.

Attualmente operano nel mediterraneo diverse organizzazioni, da Msf a Save the Children ( quasi 3000 naufraghi tratti in salvo nel 2016), Sea Watch o il progetto Moas. Insomma il mediterraneo è solcato anche dalla speranza che però non sembra andare a genio alle burocrazie europee.

Lo scorso anno un report dell’agenzia Frontex, accusava senza mezzi termini le Ong di essere colluse direttamente con i trafficanti di esseri umani. Le accuse sono state raccolte dal Financial Times e rese note nel dicembre scorso. Per Frontex i migranti salvati dalle organizzazioni umanitarie «non sono affatto disposti a cooperare», cioè non fornirebbero informazioni sugli scafisti quando sono interrogati perchè precedentemente istruiti. Accuse pesanti alle quali naturalmente hanno risposto i diretti interessati, le Ong hanno messo in evidenza come le navi umanitarie operino fin sotto le acque libiche intercettando i barconi prima dell’Sos e dei naufragi che solo nel 2016 hanno visto affogare 5000 persone.

Per Enrico Calamai, portavoce del Comitato Nuovi Desaparecidos «l’intervento umanitario delle Ong è l’unico attualmente possibile per tentare di salvare migliaia di vite che le politiche messe in atto da Ue e Nato costringono ad affidarsi alla criminalità organizzata».

Il problema per i soccorritori non è la questione di un’ipotetica collusione con i criminali ma l’inesistenza di vie legali per l’immigrazione. Il sospetto che rimane nell’aria è che non si vogliano testimoni su quello che potrebbe succedere in mare o in terra libica.

Alessandro Fioroni

da il dubbio

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