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In tante città centinaia di migranti in piazza contro confini e sfruttamento del lavoro migrante

In tante città d’Italia si è svolta la mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici delle campagne, organizzati e sostenuti dal Comitato Lavoratori delle Campagne e dalla Rete Campagne in Lotta, cosi come da tante altre realtà in tutto il paese che hanno partecipato alle varie piazze. Le condizioni di lavoro a cui sottostanno uomini e donne quasi nella loro totalità migranti rendono evidenti le storture di un sistema economico come quello italiano, fondato su una stretta asfissiante al diritto alla mobilità finalizzata all’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori.

“Vogliamo il rispetto dei contratti e il rilascio dei permessi di soggiorno, le residenze per tutte e tutti, la fine di un sistema di contenimento e segregazione che passa per i CIE, gli hotspot e i centri d’accoglienza” così recita il comunicato di questa mattina che ha accompagnato diverse iniziative nel paese per la libertà di movimento in Italia. Tante le realtà che hanno aderito all’iniziativa. A Rosarno, Foggia, Taranto, Napoli, Roma, Firenze, Bologna e Modena si sono svolti cortei, presidi e iniziative di lotta che ancora devono arrivare a conclusione.

Lo scorso 12 Novembre un grande corteo che si è svolto a Roma ha portato migranti, italiani, occupanti di case, lavoratori delle campagne e tanti altri a sfilare per la Capitale. Il corteo si è concluso con un incontro in prefetttura che ad oggi non ha prodotto risultati. Per questo motivo con le iniziative di oggi si chede anche che “il Prefetto Morcone rispetti le promesse fatte il 12 novembre: la regolarizzazione di chi vive e lavora nelle campagne di questo paese in condizioni atroci, la fine della politica dei campi di lavoro e la presa in carico dell’alloggio per i braccianti da parte delle associazioni datoriali, il rilascio delle residenze a tutti e tutte, il controllo sulle questure perché non compiano abusi”.

A San Ferdinando, dopo aver marciato per le strade dalla tendopoli delle campagne di Rosarno centinaia di manifestanti si sono ritrovati davanti al Comune per richiedere un incontro urgente con il Sindaco, Andrea Tripodi. Una delegazione di migranti ha incontrato, quindi, le istituzioni per richiedere il ripristino dell’elettricità e della rete idrica. Alla manifestazione si sono uniti anche alcuni produttori di arance schiacciati dalla crisi e che si sono uniti al corteo in solidarietà.

A Foggia, superando l’opposizione della questura, i lavoratori e le lavoratrici hanno ottenuto per mercoledì prossimo, un incontro con il dirigente dell’ufficio immigrazione della questura dove discutere dei temi portati in piazza: documenti, trasporti, case e permessi di lavoro. A Napoli il presidio si è svolto davanti all’ufficio immigrazione della questura. Anche qui è stata ricevuta una delegazione per avere risposte immediate e lo sblocco di circa diecimila permessi che tardano ad arrivare.

A Taranto, la mattinata è stata dedicata all’informazione e alla sensibilizzazione del territorio sui temi dell’accoglienza e della libertà di movimento per i richiedenti asilo. Domani, invece 7 febbraio si terrà un corteo cittadino animato e promosso dai profughi dei diversi centri accoglienza presenti in città. Anche a Bologna si è svolto il presidio davanti la prefettura con occupanti di case e lavoratori della logistica che hanno richiesto diritti per tutti i migranti che vivono e transitano in Italia.

Infine, a poche ore dalla grande giornata di Modena, dove è emersa con forza la voglia e il protagonismo migrante di non sottostare a tentativi di criminalizzazione e di riduzione degli spazi di conflitto, quella di oggi è stata un’altra buona giornata di lotta che ha ribadito forte e chiaro la necessità di politiche immediate che prevedano il rispetto dei contratti, il rilascio dei permessi di soggiorno, le residenze per tutte e tutti, nonché la fine di un sistema di contenimento e segregazione che passa per i CIE, gli hotspot e i centri d’accoglienza.

COMUNICATO DELLA GIORNATA DI MOBILITAZIONE DEL 7/02/2017

Il 12 novembre 2016 lavoratrici e lavoratori, disoccupati e precarie, stranieri e italiani, dalle campagne e dai magazzini della logistica, dalle occupazioni di case e dai centri d’accoglienza, sono scesi in piazza a Roma per dire no ad un regime di controllo della mobilità che crea sfruttamento e segregazione. Da quel 12 novembre, continuiamo a chiedere conto al ministero di quanto promesso in sede di incontro, consapevoli che soltanto con le lotte potremo ottenere reali cambiamenti. Mai come oggi, dopo le ultime scellerate proposte del nuovo Ministro dell’Interno, Marco Minniti, ma anche in ragione dell’orientamento dell’Unione Europea nel suo complesso in materia di immigrazione, e visti gli inquietanti scenari internazionali apertisi con l’elezione di Trump negli Stati Uniti e la Brexit, quelle rivendicazioni e alleanze appaiono necessarie.

Allo stesso tempo, questi eventi e i soggetti che ne sono protagonisti sono parte di uno scenario molto più ampio e di lunga durata. E certo non ci fidiamo dei proclami: riteniamo quelle di Minniti parole dettate dalle necessità populistiche di propaganda pre-elettorale, tutta improntata su un discorso securitario volto a ‘tranquillizzare’ l’opinione pubblica dopo gli attentati di Berlino. Molte delle misure annunciate – dagli accordi bilaterali con la Libia alle deportazioni di massa – sono peraltro ritenute inapplicabili da diversi esponenti delle istituzioni stesse, in Italia e fuori. Ma le prospettive, come del resto l’attuale stato di cose, non lasciano dubbi. I rimpatri forzati e gli accordi bilaterali, la detenzione amministrativa di chi è stato privato dei documenti o il lavoro gratuito per i richiedenti asilo non sono realtà di là da venire, ma pratiche assolutamente all’ordine del giorno in questo paese. Semmai, il problema politico-amministrativo attuale appare essere quello di intensificarle e renderle più efficienti, essendo al momento ben al di sotto delle soglie a cui auspicano, a parole, non soltanto il governo italiano e la quasi totalità dei partiti politici, ma in primis quella Unione Europea che più o meno efficacemente detta le politiche migratorie a tutti gli stati membri.

D’altra parte, è ben chiaro al capitale come a chi governa che, nonostante i discorsi securitari, i migranti sono una fonte di profitto di cui non si può fare a meno: come (s)oggetti dell’apparato militare-umanitario, dagli hotspot agli hub, dai centri d’accoglienza ai CIE, da una parte, e dall’altra come forza-lavoro a bassissimo costo e con pochi, anzi spesso nessun diritto, necessaria alla riproduzione di un continente ‘vecchio’ in tutti i sensi. Si tratta, a ben vedere, di due facce della stessa medaglia. Rimane quindi vero, come lo è sempre stato, che le politiche migratorie improntate sulla criminalizzazione e la chiusura sono funzionali più a rendere i e le migranti ricattabili, e contemporaneamente a regolarne l’intensità dei flussi a seconda del fabbisogno, che non a tenerli fuori dai confini europei tout court.

È altrettanto vero, però, che l’inefficacia delle politiche di contenimento e respingimento è principalmente da imputarsi alle lotte portate avanti da chi ne ha subito gli effetti sulla propria pelle. È questo che ci interessa e che ci muove, ed è questo che fa paura alla controparte. Le politiche repressive, specchio proprio di questa paura, appaiono sempre più generalizzate, attraverso l’applicazione e l’affinazione di strumenti via via più invasivi e subdoli contro le classi subalterne e contro chi lotta. D’altronde, Minniti stesso ha espressamente legato l’ampliamento dell’“arcipelago CIE” al contenimento della pericolosità sociale, estendendo ulteriormente il principio per cui si possa esercitare un controllo arbitrariamente repressivo attraverso formule amministrative che fanno dell’eccezione la regola.

Per questo oggi siamo in piazza a Rosarno, a Foggia, a Taranto, a Napoli, a Roma, a Firenze, a Bologna: per dire basta agli abusi delle questure, per il diritto alla casa, perché chiunque deve essere libera/o di muoversi e vivere dove desidera. Vogliamo il rispetto dei contratti e il rilascio dei permessi di soggiorno, le residenze per tutte e tutti, la fine di un sistema di contenimento e segregazione che passa per i CIE, gli hotspot e i centri d’accoglienza. Chiediamo che il Prefetto Morcone rispetti le promesse fatte il 12 novembre: la regolarizzazione di chi vive e lavora nelle campagne di questo paese in condizioni atroci, la fine della politica dei campi di lavoro e la presa in carico dell’alloggio per i braccianti da parte delle associazioni datoriali, il rilascio delle residenze a tutti e tutte, il controllo sulle questure perché non compiano abusi.

Dalle strade, dalle piazze, dalle periferie e dai ghetti, dalle occupazioni e dai centri d’accoglienza, ci prenderemo quello che ci spetta, e non ci faremo intimidire mai.

Comitato Lavoratori delle Campagne

Rete Campagne in Lotta

SI COBAS

Coordinamento Lotta per la Casa Roma

Blocchi Precari Metropolitani Roma

Social Log Bologna

Slap COBAS per il Sindacato di Classe Taranto

Migranti autorganizzati dei Centri di accoglienza Taranto

Coordinamento Lotta per la Casa Firenze

Scuola Nablus Napoli

Magnammece o’ Pesone Napoli

Laboratorio Politico Iskra

da InfoAut

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