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La catena del valore

 “La tecnologia di produzione è quindi determinata due volte dalle relazioni sociali di produzione: in primo luogo, è progettata e messa in opera secondo l’ideologia e il potere sociale di coloro che prendono queste decisioni; e in secondo luogo, il suo effettivo utilizzo nella produzione è determinato dalle vicissitudini delle lotte tra le classi nei luoghi di produzione.” (David Noble,1986) [1]

Nel passaggio dalle macchine tradizionali a quelle a Controllo Numerico (CNC), un operaio italiano Giancarlo Bonezzi in Sapere Operaio (Bologna 2013) ricostruisce la stessa problematica di Noble.

Come nel passaggio dalla catena di montaggio tradizionale all’automazione, per alcuni passaggio dal fordismo al post-fordismo, si è cercato di intuire le prospettive, non solo metabolizzare le sconfitte delle organizzazioni politiche e il ritardo nell’analisi di parte delle organizzazioni sindacali, oggi, non ci si può tirare indietro dall’individuare lo spettro di possibilità in termini di lotta che lo sviluppo dell’industria 4.0 e della digitalizzazione massiccia del lavoro sta mettendo in campo. Occorre però, non perdere di vista gli attori coinvolti in queste trasformazioni, i lavoratori e le lavoratrici, i loro risvolti umani, né darsi in pasto ad una visione rassegnata e di perenne sconfitta. E’ necessario analizzare l’architettura del sistema produttivo, le sue nuove forme di divisione internazionale e interna del lavoro, rompere con il determinismo tecnologico, considerando anche la non neutralità della tecnologia, ma la possibilità di contrattarne o controllarne la progettazione e la sua applicazione, conquistare l’uso collettivo delle risorse (Ehn, 1988) [2], l’ideologia dominante che la indirizza e governa. Bisogna fare i conti con il nuovo ciclo e le nuove catene di estrazione del valore che convive il precedente meccanismo di estrazione e accumulazione,  il mutare della natura giuridica dei rapporti di lavoro, distruggendo il tabù del chiamare “atipico” qualcosa che oggi è economia dominante, e che vede mutate le forme dei rapporti di forza. Questo non significa trascurare tutte le condizioni materiali della sottoccupazione, iper-lavoro sottopagato e del potere che hanno oggi i salari, ma analizzare e individuare il potenziale e la capacità di tutte le soggettività messe al valore.

Bisogna accettare che circa 6 milioni di lavoratori in Italia tra parasubordinati, partite iva e autonomi di seconda generazione, spesso compresi fra le figure dei “working poor” [3],  hanno un rapporto di lavoro che non risponde più agli schemi rivendicativi del movimento operaio tradizionale e ai principi adottati dal diritto del lavoro. La natura del rapporto è quasi commerciale, si parla di retribuzione sulla prestazione, non più di salario che garantisca la riproduzione del lavoratore[4].

Il passaggio non è mai netto e occorre individuare i punti di forza e di debolezza dell’architettura produttiva del capitale.

Il sistema produttivo del nuovo capitalismo delle piattaforme e della sorveglianza è la fase di transizione che cerca di sfuggire alla trappola della produzione di beni/servizi standard per i quali l’unico spazio di competizione è sul prezzo.

La produzione si estende geograficamente e in profondità. Con “ l’internet delle cose” (I.O.T.) il lavoratore e il consumatore si sovrappongono, e manipolando i desideri si aumenta la velocità di sostituzione dei prodotti da un lato e dall’altro, si mercificano, anche attraverso la finta gratuità e ludicizzazione, ambiti della vita sociale e personale prima estranei al processo di valorizzazione.

Sistemi produttivi integrati, crisi dei distretti produttivi, imprese a rete con nodi apicali e dominanti. Manifattura e servizi non sono più separati nettamente, ma sono intersezionali e combinati nella maggior parte dei casi.

Più che di finanziarizzazione si potrebbe parlare di sussunzione del lavoro totale alla finanza e l’architettura della produzione in cui permane la regole del capitalismo, estrarre valore e metterlo a profitto, cerca di farlo integrando tecnologia e organizzazione. La frammentazione e la sussunzione del lavoro alla finanza hanno prodotto un ribaltamento totale dei rapporti di forza tra capitalisti/manager e lavoratori/ci che si è tradotto nei luoghi di lavoro in una ristrutturazione dei processi lavorativi tesa a sviluppare la massimo la produzione di plusvalore[5] e puntando non solo alla relazione tra le macchine ma anche a quella tra le macchine e gli esseri umani. Castels, vede questa fase come capitalismo “ in larga misura strutturato attorno a una rete di flussi finanziari. Il capitale lavora globalmente come un’unità in tempo reale; ed è realizzato, investito e accumulato principalmente nella sfera della circolazione. Cioè come capitale finanziario”.

Questi sistemi di impresa sono distribuiti in molti paesi europei, in modo non omogeneo, dato che la produzione manifatturiera è concentrata in quattro paesi: la Germania, con il 40% del valore aggiunto del manifatturiero dell’area Euro;Italia con una quota del 15%, la Francia poco sotto il 15%, la Spagna, sotto il 9%. Il nucleo centrale è prevalentemente localizzato in Germania ed Austria, paesi che costituiscono, assieme alla Romania, alla Repubblica Ceca, all’Ungheria, alla Slovacchia, alla Lituania, alla Slovenia, alla Polonia e alla Bulgaria, l’area manifatturiera tedesca allargata. Questo spostamento del baricentro industriale ad est vede consolidarsi poteri nei nodi della rete, con la capacità di operare scelte produttive, strutturare il mercato, determinare l’allocazione finanziaria dei flussi di investimenti e merci, di regolare direttamente il lavoro[6]. Tempi, qualità, flessibilità, rapidità ed efficienza produttiva complessiva (produttività, lead time, time-to-market), sia i margini di ritorno del sistema di imprese. Ciò garantisce un secondo livello di nodi a cui è garantita il comando della catena di sub-fornitura e un’accelerazione di diversificazione produttiva combinata con uno di specializzazione, creando un effetto di impoverimento della produzione a Sud. E’ il caso dell’Italia centro-meridionale e delle regioni meno collegate alla Germania ( vedi  proposta Autonomia Differenziata https://noirestiamo.org/2019/12/19/autonomia-differenziata-necessita-capitale-europeo/ ).

L’innovazione e il progetto di industria 4.0 vengono considerati come gli strumenti in grado di rilanciare il PIL e tecnologia e modelli organizzati (modelli di business) diventano i vettori principale di questo processo.

In questo contesto si colloca e sviluppa il capitalismo delle piattaforme, legate al lavoro o a beni capitali, caratterizzato dall’inversione del ciclo produttivo (scambio, produzione, distribuzione, consumo) e basato sull’attività economica dell’intermediazione che garantiscono un continuo scambio di informazioni, messa in pratica, monitoraggio e trasformazione dei processi, spesso utilizzando anche il lavoro inconsapevole degli utenti (feedback, recensioni, ecc.), ottimizzando gli stessi e rendendo efficiente il servizio, riducendo i costi.

Le Labour Platform applicano questa importante innovazione del ciclo di produzione al mercato digitale, con una ulteriore ed essenziale innovazione: il bene scambiato non è un prodotto, né un servizio, né un’attività lavorativa ma la quota di pluslavoro che si consuma nel suo ciclo produttivo. Questo scambio si manifesta nel mercato digitale prima che il pluslavoro venga prodotto. Il cliente delle piattaforme acquista, infatti, il pluslavoro prodotto dalle piattaforme prima che questo sia realizzato dai suoi mezzi di produzione (software algoritmico). L’innovazione introdotta dalle piattaforme di lavoro è di separare, così, il processo di determinazione del pluslavoro e conseguentemente del plusvalore (profitto) dalla valorizzazione diretta del suo capitale. Non trasformando direttamente il pluslavoro in plusvalore per accrescere il capitale investito nei mezzi di produzione, ma assicurandosi quote di profitto vendendolo ai clienti esterni che ne hanno fatto richiesta. Stabilendo, così, una separazione tra il capitale impiegato per l’acquisizione dei mezzi della produzione (software algoritmico) investito dalla LP e il capitale utilizzato per l’acquisto della forza lavoro (prestazioni on line) investito dal cliente[7].

Ma l’algoritmo, oltre ad essere mezzo di produzione è mezzo di controllo, ingloba i poteri decisionale, organizzativo e non da ultimo, se si analizza l’algoritmo “Frank” adottato da Deliveroo (https://ilmanifesto.it/frank-lalgoritmo-anti-sciopero-la-cgil-porta-in-tribunale-deliveroo/)[8], disciplinare del datore di lavoro.

Rimane ancora profondamente irrisolta una comune classificazione della relazione lavorativa tra la piattaforma digitale e il lavoratore, quindi i rispettivi obblighi, diritti. Autonomi, sistema a cottimo, dipendenti. parasubordinati, utenti? La normativa attuale è efficace? Quali forme di lotta e quali tutele e diritti creare, organizzare e mettere in pratica? Il campo di battaglia è aperto, il presente “è determinato dalle vicissitudini delle lotte tra le classi nei luoghi di produzione”, ma occorre conservare la stessa lucidità dell’operaio Bonezzi.

Renato Turturro

Note:

[1]  Force of Production. A social Histroy of Industrial Automation – D.F. Noble – Oxford University Press, 1986.

[2]  L’informatica e il lavoro umano. La progettazione orientata al lavoro di manufatti informatici – P. Ehn – Meta Edizioni, 1990.

[3]  Tra lavoro dipendente e lavoro parasubordinato. Chi sono, da dove vengono e dove vanno i lavoraotri parasubordinati – F. Berton, L. Pacelli, G. Segre luglio 2003 .

[4]  Ceti medi senza futuro? Scritti, appunti sul lavoro e altro – S. Bologna– Derive e Approdi, 2007.

[5]  Un documento di impostazione su Industria 4.0 – Del gruppo di ricerca associazione “Punto Rosso” e della Fondazione “Claudio Sabattini” a cura di F. Garibaldo.

[6]  Il made in Italy come organizzazione industriale – F. Garibaldo in Made in Italy e cultura – a cura di D. Balicco – Palumbo, Milano, 2016.

[7]  Lo scambio di plusvalore  – M. De Minicis – Contropiano.org, 25 luglio 2019.

[8]  Frank l’algoritmo antisciopero.La Cgil porta in tribunale Deliveroo – R. Ciccarelli – Il Manifesto, 19 dicembre 2019.

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