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Il sogno di Maroni, tante galere nuove di zecca per i migranti

Si avvicinano diverse scadenze elettorali e il governo in carica rispolvera i suoi cavalli di battaglia. Il tema “sicurezza” legato all’immigrazione è un leit motiv, le soluzioni proposte sono sempre le stesse sperimentate in passato. Utili solo come spettro propagandistico, e a dare l’immagine di un Paese governato con il pugno di ferro, nonché a far fare affari sulla pelle dei migranti a cooperative e imprese di ogni tipo. Non spiega Maroni cosa colleghi fatti di cronaca nera tragici e diversi, con la decisione di portare a 6 mesi il tempo massimo di trattenimento nei Cie (centri di identificazione ed espulsione), un tempo Cpt. Poco o nulla. Le persone accusate di reati abbietti vengono arrestate, processate e nel caso espulse. Se sono cittadini comunitari non se ne può disporre l’allontanamento o il rimpatrio con il divieto di rientro, non possono essere rinchiusi nei Cie. Se sono colpevoli di reati gravi, tali da meritare la custodia cautelare e poi una pena da scontare, che si svolgano in carcere le identificazioni. Ma questo farebbe perdere ai Cie qualsiasi ragione sociale, connessa alla “emergenza criminalità”. Portare la detenzione a sei mesi, dagli attuali due, non risolve ma aggrava le difficoltà in cui i centri stessi operano. Sono le autorità di polizia giudiziaria ad aver chiara l’idea che o una persona viene identificata entro pochi giorni oppure, dopo mesi trascorsi inutilmente ad accumulare rabbia e maltrattamenti, dovrà essere rimessa in libertà, con l’obbligo teorico di allontanarsi dal Paese ma senza che tale provvedimento possa essere eseguito. Quello a cui si va incontro con incoscienza è un crudele sovraffollamento dei Centri che il governo intende risolvere con la realizzazione di nuove strutture, nelle regioni che ne sono sprovviste. Il percorso delineato, da Maroni, prevede in tempi brevi la garanzia di altri 1600 posti disponibili. Anche ammettendo una logica sistemica, evidentemente assente, si tratta di strutture che – se l’obiettivo è l’espulsione effettiva – non lo perseguiranno. Serviranno invece ad affermare la presenza di un inutile apparato repressivo anche laddove non se ne avverte il bisogno. Costruire la mappa di quelli che potrebbero essere i nuovi siti adibiti a Cie è cosa difficile. Nel Veneto l’area individuata pare quella di Verona. Ma occorre una zona adatta, isolata e vicina all’aeroporto. Il sindaco Tosi attende il giorno con malcelata impazienza. Verrà scelto il Comune di Villafranca, più vicino all’aeroporto ma più densamente abitato o quello di Boscomantico, nel terreno in cui un tempo – esempio di sadismo simbolico- sorgeva un campo rom sgomberato? Ma nella città degli innamorati non tutti sono d’accordo con il “primo cittadino”: non solo la sinistra ma anche i sindacati di polizia e il Progetto Nord Est (partito di maggioranza) dichiarano la propria contrarietà, anche se per ragioni radicalmente diverse. Fatto sta che la detenzione di 300 migranti costringerà a dirottare sul Centro buona parte degli agenti di polizia operanti nel territorio, alla faccia della sicurezza. Non a caso si guarda anche ad altri Comuni in provincia di Venezia.La Toscana resta un pallino dei governi (di diverso segno) che hanno creduto nella detenzione come deterrente alla permanenza di migranti irregolari. La Regione finora si è sempre opposta e continua a volerlo fare, dai due comuni indicati come possibili sedi – Grosseto e Campi Bisenzio (in provincia di Firenze) – giungono già segnali di netta opposizione. In Liguria la giunta regionale è corsa ai ripari inserendo nella legge regionale sull’immigrazione un articolo in cui si dichiara l’indisponibilità del proprio territorio ai Centri, per ragioni etiche e politiche. Dopo tante ricerche era stato individuato uno spazio a La Spezia, ma si dovrà attendere. La materia è di competenza nazionale e certamente il governo impugnerà le decisioni liguri. A quel punto si prospetta uno scontro. Ma il rifiuto e la diffidenza verso le “isole della sicurezza” sembrano dilagare: in Umbria era stato individuato uno spazio a Terni, immediatamente sono arrivati i no, gli stessi che sono giunti da Falconara e da Ancona nelle Marche. Segnali di fastidio arrivano anche da Vasto, in Abruzzo, ma si tratta di regioni in cui tutta questa voglia di galera non è ancora divenuta patrimonio comune e si riescono a vedere più i danni che i benefici che la presenza di un Centro potrebbe portare.Ha fatto gridare allo scandalo un po’ tutti anche la proposta fatta per la Campania. Un comune sconosciuto del casertano, San Nicola Valle. Peccato che a 500 metri in linea d’aria dal sito individuato si trovi una delle più importanti attrazioni turistiche italiane, la Reggia di Caserta. Scelta difficile da digerire in una provincia che si affanna a combattere da un lato contro la criminalità organizzata e dall’altro contro le vere emergenze sociali: disoccupazione, impoverimento, servizi inadeguati. Come a dire “restate nel fango che i soldi ci sono solo per rinchiudere poveri disgraziati”. E se nel centro di accoglienza di Cagliari Elmas ormai è in atto la trasformazione in Cie, nel silenzio e nell’indifferenza, con meno riserbo si continua a giocare la partita su Lampedusa. Il sogno di Maroni non è complesso da spiegare: nell’immaginario sociale la “clandestinità” giunge solo dal mare. Rinchiudere tutti coloro che arrivano a Lampedusa per rispedirli direttamente al punto di partenza, dopo mesi di inutile trattenimento, creerà malcontento fra i meno di seimila isolani che vedranno ridotta la propria terra a carcere ma tranquillizzerà milioni di padani e di continentali a cui farà comodo l’avamposto trasformato in una gabbia. Per questo vanno aiutati i lampedusani a evitare la iattura che sembra loro destinata e vanno intraprese iniziative di ogni tipo per impedire l’apertura di qualsiasi centro. Il Prc deve partecipare alla costruzione di comitati civici di opposizione, in ogni luogo minacciato di divenire sede di queste vergogne da leggi razziali. Portare le proprie istanze nelle istituzioni locali ed europee ma anche nelle piazze e nelle strade. Potendo mostrare che non è né con le ronde né con i campi concentrazionari che si potrà tornare a vivere le città e i quartieri senza paura, ma con percorsi di inclusione seri e di prospettiva. Deve farlo ora, prima che si alzi un nuovo muro, che si frapponga fra le persone altro inutile e crudele filo spinato.

Stefano Galieni

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