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Il Pdl invita a usare pallottole di gomma contro i manifestanti.

”Si tratta di utilizzare le ‘pallottole di gomma’, gia’ in uso da parte dalle Forze di Polizia di tutti i Paesi Occidentali, oltre che dai comuni cittadini per la difesa delle proprie abitazioni”. E’ quanto propone Carlo Nola deputato del PdL. ”L’effetto sul facinoroso e’ l’equivalente di una sonora bastonata, e vi si puo’ far ricorso ogniqualvolta sia necessario neutralizzare singoli individui mentre compiono azioni violente e non sia opportuno procedere ad una ‘carica”’.

All’on Nola e a tutti coloro che invocano leggi speciali invitiamo a leggere la testimonianza di Nicola Tanno lo  studente molisano che il 12 luglio 2010, durante i festeggiamenti per la vittoria della nazionale spagnola a Barcellona, ha perso un occhio, colpito da un proiettile di gomma esploso dalle squadre antisommossa della polizia catalana.
Il mio occhio di plastica e le scuse che attendo

“Ogni mattina mi osservo allo specchio e l’occhio sinistro fissa profondamente se stesso per circa un minuto. È grande il mio occhio sinistro, è scuro e intenso e io, come bambino, gioco con il mio viso sorridendo e imitando le espressioni delle fotografie che mi ritraggono contento. Mi piace il mio sorriso, mi piaceva la relazione che c’era tra la mia espressione felice e i miei occhi. Mi piacevo. Successivamente il rituale impone di alzare la benda bianca che copre il suo corrispondente destro, ma il corrispondente destro non c’è, non c’è più. Gli hanno sparato.
La prima volta che ho avuto il coraggio di vedere cosa restava del mio occhio destro ho pianto, un pianto fatto di “perchè” e di “non è giusto”, ora è già diverso, in maniera ripetitiva stacco lo scotch e procedo all’inserimento di acqua depurata e antibiotici ma non posso fare a meno di osservarlo, un’osservazione dettagliata e scrupolosa dell’oggetto che mi spaventa di più e mi fermo a vedere quanto sono diversi loro due, l’occhio e l’oggetto. È sinistra questa attrazione per l’orrore.
Ciò che resta non ha luce, non ha espressione, è un oggetto di plastica marrone ciò che si trova nell’orbita destra del mio viso, e intorno solo i resti delle palpebre distrutte e bruciate che poco a poco si riproducono. Il gioco dell’orrore impone di sorridere e vedere che effetto fa, per vedere come è diverso il colore del conformatore -è così che si chiama- dalla luce dell’occhio sinistro, che continua a essere vivo. Forse è un modo per devastare la negatività che trasmette, per dimostrargli che non mi fa paura. Lo stesso effetto fa l’ironia nera che dal 12 luglio esprimo spesso con le persone che mi sono a fianco, ridendo e scherzando su quello che mi è successo. “Ci sono cose su cui non si può chiudere l’occhio”. Battute del cazzo.
Non mi fa più piangere -forse merito del deprax- ma mi concentro su come quel colore sia estraneo alla mia espressione allegra che ho visto in tante foto, con un sorriso a trentadue denti a volte un po’ ebete ma felice. Eppure qualcosa si muove, la pelle delle mie palpebre danneggiate poco a poco rinascono, lentamente, scorgo le prime ciglia, i movimenti migliorano. I medici mi dicono che la ferita sta migliorando, Clara, con il suo sorriso e la sua tenacia che non abbandona mai, dopo ogni cura mi dice che ogni giorno vede progressi. Li vedo anche io quando mi osservo ogni mattina allo specchio, non piango più come quella sera in cui vidi un oggetto morto e estraneo davanti a me e osservo come le cose possono cambiare anche in meglio, ma poi, come per rendermi conto maggiormente di quello che mi è successo, come per essere sicuro che il cervello abbia recepito il cambiamento violento che ho subito e per dargli la forza di reagire, con la mano copro lentamente l’occhio sinistro per vedere cosa resta, e non resta niente, solo l’oscurità. Con l’oggetto di plastica non vedo e capisco che purtroppo ci sono cose che non possono cambiare. C’è che mi hanno sparato, lo hanno fatto la notte del 12 luglio 2010, a Barcelona, a Plaça Espanya, e io attendo di capire il perchè. I colpevoli li conosco già, sono stati i Mossos d’Esquadra. Mossos in italiano significa “ragazzi”. I “ragazzi” di Salò, i “nostri ragazzi” in Iraq, chissà perchè chi spara passa sempre per ragazzo. In un mese e mezzo le riflessioni sull’accaduto sono state infinite: ho pensato alla casualità del male, che arriva per una serie di casuali e infauste combinazioni come il gol che Robben ha divorato davanti a Casillas, alla fortuna di non essere stato colpito alla testa e di aver perso un occhio e non l’intelligenza, il linguaggio, i ricordi. Mi sono spesso fermato a riflettere a quante volte al giorno moriremmo se facessimo una scelta piuttosto che un’altra, solo che non lo possiamo sapere! Per darmi forza ho pensato a chi sta peggio di me e ha la forza di andare avanti, a chi nasce nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato, a coloro per i quali perdere un occhio non è poi un problema così grande e poi a coloro i quali non hanno la fortuna di essere circondati da persone affettuose e forti che consentono di ricominciare dopo un grave incidente. Ascolto, penso, rido, cammino e vedo: va bene così. Come ha scritto una mia professoressa di scuola in uno dei tanti messaggi d’affetto che ho ricevuto, la realtà dell’oggi, per quanto è dura, è un segmento di un percorso di vita lungo, aperto al bello e al buono.
Ma penso anche a lui, a cosa ha pensato nel momento in cui ha deciso di premere il grilletto e a cosa pensa adesso. Chi è? Quale pericolo ha avvistato quel piccolo uomo che per poco non mi ammazzava? Cosa fa adesso? Pensa mai a quello che ha fatto? Lo vede come uno dei rischi inevitabili del mestiere o magari pensa che tutto sommato chi stava quel giorno a festeggiare mentre lui era costretto a inseguire la gente con il suo fucile se lo meritava un colpo in faccia? È uno che vive il suo lavoro con l’esaltazione del fascista respresso che desidera ordine e disciplina e che odia la spensieratezza e la felicità di coloro che sono diversi da lui, ai quali, a suo giudizio, bisogna dare una bella lezione di virilità? Oppure è una persona che ha il coraggio di non dormirci la notte e di sentirsi pentito di quello che ha fatto? Ha il coraggio di chiedere scusa? Perchè è questo che vorrei da lui e da coloro che la notte del 12 luglio hanno deciso di seminare il panico e di sparare verso i giovani, le donne e i vecchi inermi che festeggiavano felici la vittoria di un Mondiale: le scuse. Questi uomini d’armi – i “Ragazzi della Squadra”- questi gagliardi e maschili signori che lo scorso anno hanno picchiato selvaggemente gli studenti universitari che protestavano contro il Bologna Process e che hanno sparato contro coloro i quali festeggiavano per le vittorie del Barça hanno ancora tra le loro file chi ha premuto il grilletto e chi ha ordinato di farlo. Non è mai tardi per cambiare e per dare a Barcelona una polizia civile e democratica come meritano i suoi cittadini, ma i Mossos comincino con il chiedere scusa. Ma ci vuole coraggio.”

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