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Il non rispetto delle regole…. e uno Stato premiale per alcuni e totalitario per altri

L’indifferenza verso chi non rispetta le regole è alimentata da uno Stato premiale per alcuni e totalitario per altri. In Italia la diffusa indifferenza verso chi non rispetta le regole ha diverse cause.
Nella patria del diritto (scritto) e quindi della civil law, dominante a livello mondiale, convive senza dubbio “una singolare forma di common law, in virtù della quale molti decidono che una certa norma può essere ignorata.” (“Perché siamo indifferenti a chi viola regole e leggi” di Giovanni Belardelli, Corriere della Sera, 8 settembre 2012).

Il problema più grave è però un altro: dagli anni 70 e soprattutto con la cultura neoliberista sviluppatasi a partire dal decennio successivo, l’Italia è stato un paese all’avanguardia nel configurare diritti e leggi premiali che favoriscono i comportamenti più discutibili e i poteri più forti.

L’elevata evasione fiscale e la mancata osservanza dei vincoli edilizi esistono rispettivamente non solo a causa di un sistema tributario iniquo e di una bassa educazione al rispetto ecologico dell’ambiente naturale e sociale ma anche da ipocrite perdonanze statuali che, dal 1973 in poi, si sono caratterizzate sotto forma di condoni fiscali e condoni edilizi.

I condoni fiscali del 1973 col governo Rumor IV, del 1982 col governo Spadolini I, del 1991 col governo Andreotti VI e del 2009 col governo Berlusconi IV (lo “scudo fiscale”), il condono edilizio del 1985 col governo Craxi I, il condono edilizio e il concordato fiscale del 1995 col governo Dini e i condoni edilizi e fiscali del 2003 col governo Berlusconi II dimostrano che è proprio lo Stato ad essere tollerante verso i principali responsabili dell’evasione fiscale e del non rispetto dei vincoli edilizi.

Non c’è quindi nulla di cui meravigliarsi se, in base ad una verifica della Guardia di Finanza, nella città di L’Aquila del dopo-terremoto certi proprietari di case si sarebbero messi d’accordo “con un’impresa per dichiarare lavori non effettuati (il totale rifacimento del tetto invece della risistemazione solo parziale, reinstallazione di ponteggi in realtà mai avvenuta e così via) ottenendo in tal modo un maggiore rimborso da parte dello Stato” (ibidem).

Qualcuno invece sembra allarmato dalla circostanza per cui, rispetto a tale scandalo, “su 73 pratiche esaminate, quelle che conterrebbero dati intenzionalmente falsi sarebbero più di un terzo” (ibidem).

La percentuale non è piccola ma, stando alla cultura della perdonanza statuale di certi crimini economico-sociali, non è nemmeno da considerarsi “molto elevata”.

Solo in piccola parte è vero che in Italia, come scrisse alcuni anni fa il giurista Sabino Cassese, la distinzione fra lecito e illecito sia stata sostituita “da più complesse scale di obblighi, per cui un comportamento può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato, vietato” (Lo Stato introvabile, Donzelli).

È vero piuttosto e soprattutto che la distinzione fra lecito e illecito è stabilita e ristabilita di continuo da uno Stato postmoderno, premiale verso una parte e arrogante verso l’altra. Gli illeciti tributari ed ecologici costituiscono alcuni fra i reati amnistiati con ritmo periodico dai governanti per il banale motivo che questi ultimi ricevono l’appoggio e il consenso dei responsabili di quei crimini, non a caso afferenti per lo più ai ceti alti e medi.

Di condoni per la moltitudine imprigionata, per lo più appartenente ai ceti bassi e poveri della società, non se ne parla più dall’indulto del 2006, che per altro fu selettivo e cancellabile in caso di recidiva. Eppure, da quel tempo ad oggi la situazione, in questi sei lunghi anni, è nettamente peggiorata nelle carceri ed il numero dei detenuti ha raggiunto la cifra di 67 mila detenuti di fronte ad una capienza di posti letto pari a circa 45 mila. La realtà, più che il pensiero di qualcuno, pone il problema di come e quando realizzare una vera e propria amnistia.

Risulta quindi sbagliato affermare, come ha fatto il responsabile delle Riforme del Pd Luciano Violante al meeting di Comunione e Liberazione, che le amnistie ai detenuti sono roba da Stato fascista e pre-repubblicano.

Senza dubbio gli antifascisti e i “comuni” scarcerati dalle amnistie del ventennio mussoliniano non hanno mai avuto l’idea di rifiutare quei benefici. Al loro posto nessuno degli odierni politici italiani avrebbe preferito restare in galera e quindi le critiche di Violante alle amnistie di quel tempo non hanno alcun senso logico, politico, filosofico, giuridico, etico e culturale.

Ciò di cui bisogna discutere, in tema di carceri e giustizia, è invece del presente e al presente.

In questa fase storica – ribaltando il ragionamento di Violante e rimettendo le cose con i piedi per terra – l’assenza di amnistie per i detenuti è la più vergognosa caratteristica di uno Stato che, dopo aver stravolto e differenziato la civil law (peggiorando perfino il vigente codice penale fascista), non ha l’intelligenza di superare le logiche postmoderne, premiali e neomedievali del diritto contemporaneo. Non si tratta di fare le amnistie per i detenuti con lo stesso ritmo dei condoni fiscali e dei condoni edilizi.

Si tratta di ragionare con un cervello collettivo, considerando la concreta realtà in cui viviamo, con il massimo rispetto dell’altrui dignità e con quello spirito libertario senza il quale l’Italia sarà destinata ad una decadenza totale. Ad ogni livello.
Sandro Padula da Ristretti Orizzonti

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