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Il carcere uccide. Sanremo, un detenuto precipita dal terzo piano di un letto a castello. Pesaro, il suicidio di un agente

Sono così affollate le carceri italiane che ci si muore per mancanza di spazi. E sono così poco trasparenti che ogni volta che un detenuto ci muore è difficile credere alle versioni ufficiali. Giuseppe Bonafé, 44 anni, dalle 5.30 di ieri mattina è in fondo all’elenco dei decessi di questo 2010 quanto mai letale per la popolazione dietro le sbarre. L’Aids, conclamato, non lo faceva respirare bene. Avrebbe provato a chiedere aiuto ai compagni per scendere dalla brandina, la terza altissima dal pavimento, e questi avrebbero avvertito i “superiori”, come si fanno chiamare le guardie penitenziarie. I medici del 118 avrebbero provato a prestare le cure del caso ma l’insufficienza cardiorespiratoria è stata così acuta da stramazzarlo. Da Chiavari era stato trasferito a Sanremo dove in 367 si dividono lo spazio che basterebbe per 209. Il direttore del penitenziario esclude che la morte sia dovuta a una caduta dalla branda ma uno dei sindacati avverte che due detenuti lo hanno visto precipitare e che è «una tragedia annunciata quando si insiste nell’ammassare persone in spazi incompatibili con la dignità e la vivibilità, quando ci si ostina a voler determinare condizioni inumane di detenzione non possono non capitare certe cose. È noto a tutti che i letti a castello con tre piani sono potenzialmente pericolosi». Così dice la Uil Pa del settore per denunciare la melina sul ddl carceri e l’insensibilità della politica. A Monza, Brescia, Pavia e Como non è insolito che si arrivi fino al quarto letto a castello, ovvero ad un altezza di almeno due metri e mezzo da terra e, in 10-12 metri quadri si sta in sette. Non è un problema di vetustà dello stabile. A Rieti la galera è nuova ma, siccome sono poche le guardie si concentrano gli “ospiti”.
Sono così affollate le carceri italiane che ci crepano dentro perfino i carcerieri. A Pesaro, un agente di polizia penitenziaria s’è sparato con la pistola d’ordinanza. Aveva la stessa età del detenuto morto a Sanremo. Lo ha trovato la postina che ha veduto il sangue filtrare da sotto la porta. Era ancora vivo ma non è riuscito ad arrivare in ospedale. Dove lavorava, a Villa Fastiggi, c’era il doppio dei detenuti di quanti ce ne sarebbero dovuti stare e i turni, da sei ore, schizzano troppo spesso a nove. Maggio nero: quello di A.S. è il quarto suicidio nello stesso mese tra agenti della penitenziaria. In meno di due anni, diciannove mesi, se ne sono contati venti. I sindacati chiedono e richiedono un confronto al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria perché la situazione è drammatica su tutti i fronti, perché mancano settemila posti per colmare i buchi nell’organico. Perché dentro si scoppia e non importa da che parte delle sbarre ti trovi. Immediata la richiesta di sospendere la festa del corpo che è l’unico a non avere un monitoraggio sul fenomeno dei sucidi. Stavolta il Dap sembra aver ascoltato il grido d’allarme e la festa per il 193mo compleanno della polizia penitenziaria, che doveva tenersi venerdì a Fermo, è stata fatta rimbalzare all’8 giugno.
Sono così affollate le prigioni d’Italia che nemmeno questo governo può far finta di ignorare il problema. Nella melina sul ddl carceri sono spuntate in questi mesi fantasiose ipotesi – e terribili – di carceri galleggianti, nuove colate di cemento, di un riciclo di vecchie prigioni dismesse come Pianosa o l’Asinara, della creazione di un’emergenza ad hoc da far gestire al solito Bertolaso. Ieri, intanto, è arrivato il parere del Csm sul cosiddetto decreto svuota-carceria: i magistrati, in sostanza, ripetono che bisogna smetterla con la logica di emergenza e sarebbe ora che la politica si assumesse le proprie responsabilità. Per esempio quella di promuovere un nuovo provvedimento di clemenza anziché addossare alla magistratura di sorveglianza, sottorganico anch’essa, il peso di stabilire chi ammettere ai domiciliari. Se il carcere è l’unica risposta al problema dell’illegalità la conseguenza è l’aumento della popolazione detenuta. Questo dicono al Csm dubitando dell’efficacia dello svuotacarceri. Sarebbe stato meglio, è il consiglio a Maroni, consentire anche ai recidivi di accedere ai benefici della Cirielli. Anche alla Cgil il ddl Alfano non piace. Le ultime modifiche – lo stralcio della messa in prova ai servizi sociali per i reati minori e dell’automatismo dei domiciliari a fine pena – fanno prevedere una situazione sostanzialmente invariata. Cioè esplosiva. Uno dei sindacati del comparto ha buon gioco a dire che così è impossibile tentare un recupero sociale dei detenuti e protesterà stamattina sotto Montecitorio per chiedere di organico, contratto e turni a un parlamento monco e a un governo sordo.

Checchino Antonini

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