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"Guerra del Viminale", s’arrende Izzo. Inventò le zone rosse

Una carriera da sindacalista conciliante e persecutore di no global e di Genchi. Sullo sfondo la guerra tra prefetti e poliziotti
Nicola Izzo avrebbe dato le dimissioni, le voci si inseguono per ore nei corridoi del Viminale,poi arriva la notizia che la Cancellieri le ha respinte. Izzo è stato travolto dalle rivelazioni del Corvo perché avrebbe spinto, in qualche modo, gli appalti del dipartimento di polizia per le forniture elettroniche verso ditte di amici aggirando ogni norma.
Dal 2008 Izzo era il numero 2 della polizia di stato dopo aver diretto i coordinamenti interregionali della ps di Lazio, Abruzzo e Sardegna e quelli di Lombardia ed Emilia, dopo essere stato prefetto a Lodi. Dopo, soprattutto, essere stato questore e una spregiudicata scalata al Sap, il sindacato di destra dei poliziotti. Verona, Torino e poi Napoli. A Torino, il primo maggio del ’99 – “regnava D’Alema – lo spezzone antagonista contestò i partiti attivi nell’attacco al Kossovo e ne scaturirono cospicui disordini di piazza tra gli autonomi, le forze dell’ordine e il servizio d’ordine della Cgil. Verso le 14 gli uomini di Izzo fecero irruzione al centro sociale Askatasuna dove si stava tenendo la tradizionale grigliata fermando 116 persone, trattenendole fino alle 23 in questura.
Durante l’irruzione distrussero ogni parte dei 4 piani del centro sociale, devastando, oltraggiando e pisciando su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, dalla libreria ai bagni, scrivendo sui muri inni al duce e varie forme d’insulti. Una tavola di legno che raffigurava Tonino Miccichè, militante ucciso negli anni 70, fu trafitta da un punteruolo. Izzo era proprio fuori dal centro sociale. L’accusa per tutti fu di resistenza a pubblico ufficiale e solo grazie alla presenza di una decina di attivisti sul tetto e alla mobilitazione immediata di solidarietà il centro sociale non fu sgomberato. Il procedimento venne archiviato e nessun appartenente alle forze dell’ordine è mai stato condannato per quella che fu una vera e propria rappresaglia che seguì la carica brutale agli studenti medi con cui Izzo inaugurò il suo soggiorno torinese. Un film di Armando Ceste e Beppe Rosso ha immortalato quei momenti [http://www.csoaskatasuna.org/tag/rosso-askatasuna]. Sui siti del movimento lo chiamano il “mastino”.
Il 17 marzo del 2001 Izzo è a Napoli dall’anno prima, è il giorno del Global forum e Izzo organizza la prima zona rossa e la “tonnara” in piazza Municipio. Predispose lo schema e lo osservò in diretta dall’elicottero che sorvolava la piazza. Dopo il corteo si scatenò la caccia all’uomo per le vie di Napoli anche con l’utilizzo dei falchi, motociclisti in borghese, e poi nei pronto soccorsi degli ospedali, la sera, dov’erano ricoverati duecento feriti. I sequestrati, un centinaio, furono tradotti nella Bolzaneto napoletana, la caserma Raniero. Tra i protagonisti un funzionario che poi farà la sua a Genova e poi a Cosenza all’epoca del teorema contro il Sud Ribelle.
Furono le prove generali di Genova anche per quel che riguarda il contegno della questura nei confronti dei magistrati che provarono a far luce sulla mole di reati commessi da poliziotti violentissimi e infedeli. La Questura anche a Napoli non solo non ha fornito collaborazione, ma ha persino ostacolato l’identificazione dei presunti aggressori fornendo foto datate, in alcuni casi indistinguibili. E il questore giunse a chiedere alla procura di posticipare l’arresto di poliziotti e funzionari sotto inchiesta.
Nel Sap Izzo è stato a capo della corrente moderata, considerato conciliante con l’amministrazione ma criticato dalla base per non aver mai voluto lasciare le cariche dopo le promozioni. Un ex segretario del Sap distribuì un opuscolo molto critico su Izzo – “Segreti inconfessabili di un sindacato di polizia” – durante il congresso del sindacato vinto da Izzo nel 2000.
«Fu lui a controfirmare gli atti propedeutici alla mia destituzione dal servizio dalla Polizia di Stato, poi disposta dal Capo della Polizia Antonio Manganelli, perché, intervenendo al congresso dell’Italia dei Valori del 6 febbraio 2010, avrei “offeso l’onore e il prestigio” dell’allora “Presidente del Consiglio dei ministri in carica, On. Silvio Berlusconi” – dice a caldo Gioacchino Genchi, 52 anni, cacciato dalla polizia il 16 febbraio del 2011 al termine di una serie di attacchi contro il suo ruolo chiave nell’analisi dei tabulati di alcune inchieste chiave – è un informatico e un avvocato – ma dichiara di non aver mai intercettato nessuno.
«Alla destituzione ho fatto ricorso e attendo fiducioso che il Tar si pronunci, con i tempi biblici che purtroppo accompagnano questo tipo di giudizi. Ho altresì fiducia che la Giustizia faccia il suo corso nei confronti di quanti mi hanno voluto e mi hanno fatto del male, come il Prefetto Izzo. La Giustizia è lenta come una macchina diesel. Alla fine, però trionfa e arriva per tutti, come è arrivata per gli autori dei pestaggi e delle violenze del G8, degli assassini del povero Aldovrandi e nei confronti di tanti (poliziotti, carabinieri e magistrati) che, investiti di una divisa, di una toga, o di una pubblica funzione, pensano di porsi al di sopra della Legge.
E sullo sfondo la lotta intestina tra prefetti e De Gennaro boys che già era emersa al tempo della sentenza Diaz con l’azzeramento di tutti i pupilli del capo di un tempo condannati per la macelleria messicana. A partire da Francesco Gratteri considerato il delfino di Manganelli. E’ tra gli ambienti sindacali della polizia che trova credito l’ipotesi di baratto tra la poltrona governativa a De Gennaro e il cambio di mano al Viminale. (continua a leggere su popoff)
 
Checchino Antonini

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