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Ferrara: Processo Aldrovandi. La verità degli agenti in aula

«Ringhiava Federico», mica parlava. E nessuno tra i poliziotti avrebbe sentito le sue urla strozzate, i conati di vomito o le richieste di aiuto, nessuno l’ha colpito alla testa, nessuno di loro lo schiacciò. Nessuno, infine, percepì che fosse in pericolo di vita, anzi sembrò loro «assopito», «tranquillo», quando, pochi istanti prima, era «carico», «coi pugni serrati, la bocca aperta, gli occhi sbarrati», infuriato. E chi ricorda al capopattuglia Pontani di quella telefonata concitata delle 6.12 in cui diceva alla centrale di averlo bastonato di brutto, che era mezzo morto e svenuto, si sentirà rispondere che erano solo «una maniera di dire», che lui usa spesso, che non vuol dire niente, che «anche l’Italia, in fondo, contro l’Olanda è stata bastonata di brutto».Dopo quasi tre anni – 1013 giorni – dal violentissimo “controllo” di polizia in cui restò ucciso un diciottenne incensurato, era scontato e normale che i quattro agenti, che intervennero in quell’alba di fine settembre, fornissero versioni coerenti dell’accaduto.Coerenti tra loro, molto meno – secondo gli osservatori – con le risultanze processuali – testimonianze, perizie, registrazioni – accumulate nella lunga inchiesta e poi nel processo avviato in autunno. Per la prima volta, se si esclude la lapidaria dichiarazione letta da uno di loro all’inizio del dibattimento, l’aula B del tribunale di Ferrara ha potuto ascoltare la voce dei tre agenti e della poliziotta imputati per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Fino al rinvio a giudizio s’erano avvalsi della facoltà di non rispondere. La loro versione, che pare interpretare quanto emerso nelle indagini e colmarne i vuoti, è quella di essere stati aggrediti da un energumeno che urlava frasi sconnesse sbucando dall’oscurità del parchetto dell’ippodromo prima di sferrare due calci alla prima delle due volanti. «Scuro, sembrava un extracomunitario». L’autista avrebbe fatto istintivamente retromarcia mentre il capopattuglia scendeva per «tranquillizzare» l’esagitato.«Quello che mi ha sconvolto è stato il collo taurino, le vene di fuori…». Enzo Pontani, 80 chili, 45 anni, un terzo dei quali a bordo delle volanti, sostiene di aver detto al ragazzo, pesante forse anche meno di lui, di essere lì peraiutarlo ma sarebbe stato ripagato da un calcio, evitato per miracolo, sferrato dopo un balzo sul cofano. Gridava Federico: “Voglio di più! Non mi basta questo! Stato di merda!”. Non l’aveva fatto mai, sostengono i suoi amici. E il suo maestro di karate dirà che mica era un asso a tirar calci. Ma, stando ai ricordi, notevolmente sincronizzati, dei quattro agenti è allora che Aldrovandi sarebbe finito a cavalcioni sullo spigolo della portiera (particolare che giustificherebbe le lesioni allo scroto) poi caduto a faccia in giù (così si spiegano le ferite sulla testa) ma miracolosamente sarebbe balzato di nuovo in piedi, ringhiando: «Faceva salti a vuoto, alzava prima una gamba poi un’altra, girava e ringhiava (il verbo più usato nell’udienza di ieri). E al pm che ricorda che il cofano della macchina è intatto, verrà risposto che i piedi del ragazzo hanno toccato solo lo spigolo del cofano e il tergicristallo, prima di «volare» altrove.«Come se nulla fosse, come se fosse rimbalzato», il ragazzo si rialzerà, sarà impossibile placcarlo. Pontani si sente toccare la pistola, si rintana in macchina, con una mano a reggere lo sportello (che si incastrerà), con l’altra al microfono per chiamare rinforzi. L’autista, strattonando la frizione, riuscì a divincolarsi e riposizionarsi in attesa dell’ausilio. Due minuti e mezzo e arriva l’altra volante. Tutti si levano le pistole (particolare inedito, sentito ieri per la prima volta e non contenuto nella striminzita relazione di servizio dell’epoca). Manganellate ce ne furono ma poche e solo alle gambe e se due sfollagente si ruppero fu per un calcio di Federico e per una caduta dell’agente Forlani che rovinò a terra appresso al ragazzo, che cadde non appena fu acciuffato «senza nemmeno fare forza» per il cappuccio (così disse anche la superteste camerunense sentita in incidente probatorio, e riuscì a fissargli una delle manette. Pollastri pensò all’altro polso e Monica Segatto dovette sedersi sulle gambe della vittima. A sentire gli imputati non stava tanto male, per questo l’agente Pollastri non userà la sua sapienza (come da corso del 2004) nell’uso del defibrillatore che portava a bordo ma carabinieri e sa3nitari lo troveranno immobile, senza vita. L’ambulanza – come da registrazioni – fu chiesta per un ragazzo svenuto e diversi testimoni, pur reticenti, ricordano le suppliche di Federico e la sua sofferenza. Prossima udienza il 15 luglio.
Checchino Antonini

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