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Il fascismo globale alimenta le guerre mentre scompare il diritto internazionale

Costituisce ormai una costante delle campagne elettorali in Europa la centralità delle questioni legate alla sicurezza interna ed alla paura dell’invasione, mentre rimangono sullo sfondo le questioni sociali e la politica estera.

Anche in Italia una campagna elettorale già penosa per la povertà di politica ed il susseguirsi di allarmi, si sta concludendo con lo sdoganamento del razzismo e della xenofobia, con un richiamo sempre più diffuso a pseudo valori della identità nazionale o religiosa e del primato degli italiani. Dopo una stagione dominata dagli attacchi contro le ONG “taxi del mare”, una accusa oggi destituita di qualsiasi fondamento, malgrado indagini aperte a tempo indeterminato, oggi si punta sulla riproposizione dei crimini commessi dai migranti e sulla pretesa “violenza” degli antirazzisti, spesso catalogati esclusivamente come “antagonisti”. E dunque etichettati  come appartenenti ad un movimento che si assume essere violento, anche quando rivendicano pacificamente il rispetto dei diritti e della dignità che devono spettare a qualunque persona, indipendentemente dalla sua condizione legale. Come si è verificato nel caso della lotta contro la TAV, forse tra altri cinque anni qualcuno dirà che anche le battaglie per i diritti e la libertà di circolazione dei migranti erano giuste, ma intanto si saranno prodotti danni individuali e sociali irreversibili. Intanto vengono attaccati i difensori dei diritti umani e quei giudici che continuano ad applicare la legge senza piegarsi alle direttive del potere esecutivo.

Per nascondere la dimensione reale dei problemi, che comunque si aggraveranno dopo la scadenza elettorale, si è ripescata la teoria degli “opposti estremismi”, restituendo legittimazione a formazioni come Forza Nuova e Casa Pound, che dovrebbero essere da tempo fuori legge, anche per i rapporti mai chiariti con le mafie, ma sono state addirittura ammesse a partecipare alla  competizione elettorale. Anche se alcuni dei loro esponenti più in vista hanno consistenti precedenti penali e continuano ad affermare di essere rimasti “fascisti” o di aderire all’ideologia fascista. Dietro l’apparente perbenismo, rimane la solidarietà ai terroristi che sparano, come Traini a Macerata e la pratica degli assalti squadristici.

Si sta così alimentando una tensione di piazza che sfocia su un impiego massiccio e aggressivo di forze di polizia, peraltro largamente infiltrate da ideologie di estrema destra, al punto persino di sfottere chi denuncia i loro comportamenti violenti, anche nel caso di Amnesty. Forze di polizia, carabinieri, nuclei antisommossa della Finanza, apparati ben addestrati già noti per la “mattanza” di Genova nel 2001, i cui responsabili hanno ricevuto anche promozioni importanti,pronti ad attaccare alla prima occasione. Forze ampiamente dispiegate per proteggere con fumogeni ed idranti le manifestazioni in cui si diffondono valori fascisti e proclami razzisti, in contrasto con la Costituzione e con la Legge Mancino del 1993, una legge che polizia e magistratura dovrebbero applicare davvero. Dietro questa tensione si smorza il dibattito politico sui temi veri, e si nascondono più facilmente i veri responsabili del disastro sociale che ha portato all’impoverimento di fasce sempre più ampie della popolazione, con tante “guerre tra poveri”, nelle quali si sono inserite, con i loro farneticati programmi, le destre più estreme, collegate con settori ben determinati del tifo organizzato e della malavita. Un degrado che non si combatte con la repressione o con le rappresaglie.

Al di là della loro consistenza elettorale, questi fascismi contemporanei dovrebbero innescare una reazione determinata sul fronte della controinformazione e della iniziativa politica da basso. Una reazione che non si può limitare alle manifestazioni che tendono ad affermare una supremazia di piazza o ad impedire la propagazione di idee basate sul razzismo, che dovrebbero essere “sanzionate”.

In assenza di interventi delle autorità, occorre una risposta popolare ed una serie diffusa di iniziative legali, non certo il nastro adesivo o altre iniziative che creano consenso attorno ai veri fautori della violenza e della supremazia nazionale. Gli stessi che propagandano la guerra e la discriminazione razziale, come Casa Pound. Accanto alle destre più estreme quelle che aggrediscono ed accoltellano, il pericolo principale proviene dalla Lega di Salvini che a queste forze dà ogni tipo di copertura, quando se ne può avvantaggiare. Si è visto nelle piazze in cui accanto alle insegne della Lega si trovavano esponenti di gruppi di estrema destra con i loro truci simboli. Per non parlare delle iniziative provocatorie di Giorgia Meloni, che specula sulla crisi e cerca di guadagnare voti nelle aree più deboli del paese, agitando lo spettro dell’invasione degli stranieri.

Per ribaltare il tavolo che è stato imposto dalle attuali forze di governo (e di opposizione parlamentare) occorre ripartire da quello che succede all’estero, in tante parti del mondo, dove la guerra permanente segna l’affermazione di un nuovo tipo di fascismo globalizzato, basato su accordi tra dittatori, come fu del resto il nazifascismo del secolo scorso. Queste guerre sono frutto del liberismo sfrenato che si è imposto con la globalizzazione, che ha accresciuto la competizione per l’accaparramento delle risorse con accordi tra i grandi gruppi economici ed i poteri locali, spesso vere e proprie dittature che garantiscono però i maggiori vantaggi economici e strategici. Dove è finito il diritto internazionale “umanitario” ? Che cosa è diventata la cooperazione allo sviluppo? Che risultati hanno prodotto i tribunali che dovevano sanzionare genocidi e pulizie etniche su base regionale?

Su scala europea questi accordi sono stati caratterizzati dal blocco della libertà di circolazione dei migranti e dallo sbarramento di tutte le vie di fuga che negli ultimi anni avevano permesso l’arrivo in Europa di profughi e richiedenti asilo, prima accolti e poi vittime di un rifiuto sempre più esteso. Gli accordi dell’Unione Europea con la Turchia di Erdogan  e dell’Italia con il Sudan di Bashir e con le milizie libiche, hanno avuto un costo umano elevatissimo, ed hanno determinato una generale assuefazione delle opinioni pubbliche nazionali, spaventate dai numeri di una “invasione” inesistente, e dal fallimento dei meccanismi di accoglienza, che sono stati generalmente incapaci di produrre percorsi di autonomia e di inclusione. Gli orrori del Sud Sudan rimangono lontani dagli italiani che vivono nelle periferie degradate dalla crisi. Come non hanno prodotto alcuno spostamento dell’opinione pubblica italiana le notizie documentate sulle violenze subite dai migranti intrappolati in Libia per effetto degli accordi stipulati lo scorso anno con il governo di Tripoli e con le milizie. Abusi e sevizie che sono alla base di una pesante condanna del Tribunale permanente dei Popoli, nella sessione del 19-20 dicembre dello scorso anno a Palermo, ma che sono state sottovalutate dalla magistratura, che pure riconosce sempre più di frequente la situazione di schiavitù e di sfruttamento subita dai migranti in Libia.

Il blocco delle frontiere imposto dal Regolamento Dublino e la svolta nazionalista da parte di molti paesi, come Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, accorpati nel cd. gruppo di Visegrad, ha ridotto la politica europea in materia di immigrazione ad una politica delle espulsioni impossibili, buone per qualche campagna elettorale, ma ben lontane dal costituire una qualsiasi soluzione dei problemi. Poi i veri problemi si vedono alle frontiere interne come a Ventimiglia.

Le ingenti risorse destinate a Frontex anticipano una polizia europea che gestirà prevalentemente dati, anche dei cittadini europei, piuttosto che effettuare un autentico compito di vigilanza alle frontiere o di contrasto dell’immigrazione “illegale” a partire dai paesi terzi. Nello stesso tempo l’Unione Europea in disaccordo su tutto il resto, priva di una politica estera comune, non ha saputo intervenire efficacemente nelle aree di crisi. Con il cosiddetto Processo di Khartoum, incentrato sulla chiusura delle vie di fuga dei migranti, ha incentivato la militarizzazione violenta delle frontiere e il potere di ricatto delle dittature militari al potere nella maggior parte dei paesi di origine e di transito. Basti pensare al Sudan, alla Turchia ed all’Egitto. La vera politica estera europea, ed italiana,si è giocata sui rapporti economici con i paesi dell’area mediterranea, come dimostra in queste ultime settimane la normalizzazione dei rapporti con l’Egitto e la crisi con la Turchia, che hanno avuto come protagonista l‘ ENI e le società collegate. Una manifestazione eclatante dei rapporti tra politica estera d economia globale al momento attuale. Le malefatte di autentici dittatori come Erdogan ed Al Sisi sono state piegate alle esigenze del mercato globale e della concorrenza nella scoperta e nell’approvvigionamento delle fonti di energia.

Il deterioramento del livello globale della democrazia, segnato dall’avvento di Trump alla Casa Bianca e dalla contemporanea crescita dei poteri personalistici in Russia ed in Cina, hanno riproposto la logica delle guerre regionali, innescate da una pretesa lotta al terrorismo internazionale che, sconfitto militarmente tende a riprodursi sempre di più a livello diffuso, legittimando a sua volta politiche di guerra al cd. nemico interno che comportano uno scadimento delle democrazie occidentali ed il ritorno allo strapotere dei servizi di informazione e di chi li controlla. Ovunque la maggior parte delle vittime di questi conflitti sono stati civili, sempre più spesso bambini. Sono questi i principali responsabili delle stragi oggi in corso, dalla Siria al centro Africa, con la complicità e l’incapacità dell’Unione Europea e l’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale. L’alleanza tra potentati economici internazionali, governi che si configurano come dittature militari anche dove si rinnova periodicamente il rito formale delle elezioni, capi religiosi che trattano la fede come un oggetto di commercio e di guerra,ai danni delle minoranze, e infine le posizioni assunte dalle grandi potenze in gara tra loro, ma unite nella negazione dei diritti umani, hanno determinato un nuovo “fascismo globale”, ancora più pericoloso di quel nazifascismo che portò alla seconda guerra mondiale. Un futuro incerto per le democrazie costituzionali, un numero incalcolabile di vittime, probabilmente altri milioni di esseri umani, nei campi di sterminio in cui vengono trasformate intere regioni del pianeta. Dietro le milizie locali, ovunque, gli interessi contrastanti delle grandi potenze.

Dalla strage infinita in Siria, al genocidio in Congo ed in Sud Sudan, passando per la segregazione etnica avviata in Palestina, fin al disastro libico, ovunque emerge la incapacità degli organismi internazionali di porre fine ai conflitti regionali, soprattutto per l’immobilismo del Consiglio di sicurezza dell’ONU, troppe volte paralizzato da diritto di veto delle grandi potenze. Tutto questo manca completamente nel dibattito politico interno ed europeo, e nella percezione collettiva, quando lo sguardo oltre le frontiere si esaurisce negli slogan se occorra più o meno Europa. Senza percepire che i rapporti  con l’Unione Europea sono condizionati dalle grandi questioni della distribuzione mondiale della ricchezza e dai rapporti che i singoli stati europei intrattengono con paesi terzi in una prospettiva meramente nazionale di guadagnare il massimo vantaggio economico e di “gestire” al meglio i “flussi migratori”. Va ripensata la cooperazione internazionale e l’intero sistema degli aiuti allo sviluppo, che finora si sono dispersi in mille rivoli, finendo spesso nelle mani dei signori della guerra o delle dittatture militari. Andrebbe quindi garantita la immediata creazione di aree di salvaguardia delle persone esposte ai conflitti bellici e canali di evacuazione dalle aree di crisi. Verso i paesi più ricchi dell’occidente industrializzato, e non verso sud, verso la guerra e la miseria dai quali i migranti erano fuggiti.  Esattamente il contrario di quello che si sta facendo con le attuali politiche estere basate esclusivamente sul blocco della possibilità di vie di fuga e sui cd. “rimpatri volontari”.

E’ in questo contesto che vanno inquadrate le questioni nazionali dell’immigrazione e dell’asilo, con tutte le diverse componenti tossiche legate all’odio razziale, alla discriminazione,alle politiche di trattenimento e di respingimento, al mancato accesso alla cittadinanza ed all’esclusione sociale, politiche ampiamente presenti nei partiti di destra, ma frutto anche del sicuritarismo dei partiti socialdemocratici, nel quale spicca il metodo Minniti, che si ripropone al centro di una politica di grande coalizione. I “successi” nei rapporti con il governo di Tripoli si sono tradotti in una crescente conflittualità tra le tribù libiche e abusi sempre più gravi ai danni dei migranti, con trattative nascoste dietro l’apparenza di normali relazioni diplomatiche. Ma di visti per motivi umanitari, al di là delle poche persone gestite direttamente dall’UNHCR e dall’OIM, non se ne deve parlare.

Dietro un umanitarismo di facciata, qualche opportunità di corridoi umanitari per un numero esiguo di soggetti particolarmente vulnerabili, si stringono accordi con i paesi terzi che sbarrano ogni via di fuga, anche per chi cerca scampo dall’inferno libico. Fondamentale il ruolo della Guardia costiera “libica” finanziata e sostenuta dal governo italiano.  Centinaia di migliaia sottoposte a torture indicibili, per i quali è caduta meno anche la speranza di raggiungere l’Europa.  Come si è negato accesso a livello europeo  ai migranti in fuga dalla Siria o dall’Afghanistan, intrappolati nell’isola di Lesvos o ingabbiati nei campi profughi in Turchia. Da questo punto di vista le intese maturate con la Libia nel febbraio dello scorso anno, e i successivi accordi con le tribù del Fezzan e con la cd. Guardia costiera libica, hanno avuto effetti analoghi a quelli della vergognosa intesa sottoscritta dall’Unione Europea con Erdogan.

Tutto questo ha avuto ed ha un costo umano elevatissimo su scala globale. Innanzitutto in termini di vittime, nei paesi di origine e di transito, vittime sacrificali di accordi tra stati, per lo sbarramento delle vie di fuga e del mancato intervento della comunità internazionale che evitassero veri e propri genocidi. Ma le violazioni dei diritti umani che si diffondono in contrasto con il diritto internazionale, ed alle quali si adeguano gli stati occidentali per mantenere rapporti militari, politici ed economici con quegli stessi governi responsabili di strage, hanno prodotto una deriva dell’opinione pubblica e del senso comune. Se torture e schiavismo si diffondono ai confini d’Europa, possono anche verificarsi all’interno dello spazio Schengen, per le persone più vulnerabili, esposte allo sfruttamento, se non ad essere ricacciate nei paesi dai quali sono fuggiti.  Una deriva disumana rafforzata  dalla mancata sanzione di comportamenti violenti ed illegali, come il ricorso indiscriminato alla detenzione extragiudiziaria ( di polizia) ed alla tortura, se non alla deportazione di massa ed all’eliminazione fisica delle minoranze.

Anche sul piano interno si tende all’assuefazione verso comportamenti violenti e logiche di esclusione, pur di difendere quei brandelli di benessere che ancora vengono sbandierati dalla pubblicità dei gruppi economici dominanti, ma che in realtà sono riservati a settori sempre più ristretti del corpo sociale. Su una diffusa frustrazione collettiva, che diventa rapidamente risentimento ed aggressività sociale, prosperano i partiti di destra, e di estrema destra, gli stessi che truffano in Italia o  ricevono consistenti finanziamenti a livello internazionale, sia in termini economici che di legittimazione politica. Gli imprenditori della paura e gli speculatori che prosperano sul disordine economico traggono i massimi vantaggi ricorrendo alla propaganda sull’invasione ( che non c’è) ed alla criminalizzazione dei migranti e di chiunque presti loro assistenza o contribuisca al loro soccorso.

Il fascismo della frontiera, per troppo tempo sottovalutato, costituisce oggi la forma più temibile di fascismo che siamo chiamati ad affrontare, perché già largamente praticato dagli stati con il concorso delle agenzie di sicurezza, anche private, e con la strumentalizzazione delle organizzazioni internazionali e di alcune organizzazioni non governative. Una concezione violenta del confine che si estende anche ai rapporti con i migranti una volta entrati sul territorio. E si propaga nel corpo sociale. La logica della frontiera che divide e “difende” le popolazioni si propaga al territorio nazionale, sempre più spezzettato in territori, regioni, città, quartieri, case, da difendere contro il nemico interno, il diverso, lo straniero, l’immigrato, il richiedente asilo. Poco importa se dagli stati e dalle polizie vengono violate Convenzioni internazionali come le Convenzioni che stabiliscono gli obblighi di soccorso in mare o che riconoscono il diritto di asilo senza limiti numerici, affermando il principio di non respingimento ( art. 33 della Convenzione di Ginevra). Centinaia di migliaia di persone, addirittura la maggior parte dei seicento mila  arrivati negli ultimi tre anni in Italia, sarebbero da espellere. Altre decine di migliaia andrebbero rinchiusi nei centri di detenzione amministrativa ( oggi si chiamano CPR, Centri per il rimpatrio) come promette Minniti. Una serie di gigantesche bufale elettorali alla quale stanno credendo in molti, del tutto irrealizzabili sul piano pratico, oltre che sul piano umano e giuridico.

Dietro la cosiddetta lotta all’immigrazione “illegale” ed agli accordi che ne sono derivati, con paesi che non rispettano i diritti umani, neppure quelli dei propri cittadini, come la Turchia e l’Egitto, si è celata la saldatura tra gli interessi economici ( soprattutto delle grandi società imprenditrici in campo energetico e militare) e gli interessi geopolitici degli stati. Come risultato visibile si è registrato un aumento della disumanità dei conflitti regionali, e nel medio periodo si può prevedere una sicura ripresa di imponenti movimenti migratori, malgrado gli effimeri successi dei fautori del blocco delle frontiere. Che dovranno rendere contro dei risultati delle loro politiche, se pensiamo alle condizioni di internamento e di trattamenti inumani o degradanti ai quali sono sottoposti i migranti bloccati per effetto di queste politiche nelle isole greche dell’Egeo, in Turchia, in Niger o in Libia. Per non parlare delle migliaia di uomini, donne e bambini, in fuga dalle coste libiche e ripresi dalla sedicente Guardia costiera libica a lungo sostenuta dalle autorità italiane.

Di fronte ad un assetto dei poteri globali che sembra apparentemente consolidato ci si potrebbe chiedere dove possa arrivare l’azione dei cittadini, di chi subisce gli effetti perversi di questo sistema senza potersi avvantaggiare dalla finanziarizzazione dell’economia, da qualche rendita di posizione o dal parassitismo sociale. Gli attuali sistemi elettorali privano di rappresentanza un numero sempre maggiore di cittadini. Occorre rivalutare la possibilità di una azione politica e di una giustizia sociale praticate dal basso. Il sistema economico finanziario dominante non cadrà certo come effetto di una scadenza elettorale, o di un movimento politico nazionale,e sono molto ristretti i margini per manovre economiche o politiche di singoli stati che sfuggano al potere di ricatto degli organismi regionali ed internazionali. Esemplare al riguardo la vicenda della Grecia oggi sempre più alla mercé dei paesi che hanno maggior peso nell’Unione Europea, Germania in testa. La battaglia per i diritti sociali e per la libertà di circolazione in Europa deve trovare forme di coesione e impegno condiviso, anche a livello sovranazionale, che fino ad oggi sono mancate. I nazionalismi che stanno prevalendo in moti paesi europei potrebbero cancellare definitivamente le residue speranze verso una Europa dei diritti, della solidarietà e delle libertà.

I lampi di guerra si moltiplicano ovunque, si continuano a bombardare anche gli ospedali, e le case dei civili come a Goutha, mentre le crisi economiche e finanziarie si succedono a ripetizione e fanno prevedere che questo sistema economico globale, regionale e nazionale non potrà mantenersi a lungo senza una forte svolta autoritaria. Una svolta che potrebbe tradursi, come è avvenuto storicamente, in una guerra di vaste dimensioni. Come potrebbe verificarsi se l’Italia dovesse proseguire o intensificare gli interventi militari in Libia ed in Niger. In assenza di un effettivo potere di intervento delle Nazioni Unite che garantisca la tutela dei diritti affermati nelle Convenzioni internazionali. Svolta che è già in atto i diversi paesi europei. Malgrado gli effetti devastanti della guerra al terrorismo lanciata nel 2001 dagli Stati Uniti, sembra che non sia ancora finito il tempo della esaltazione della riduzione dei diritti umani, a partire dal diritto a vivere in pace, e della compressione della libertà di circolazione, come si sta verificando negli Stati Uniti e nel solco di questo paese, in molti altri paesi del mondo, allo scopo dichiarato, ma non ancora raggiunto, di garantire maggiore sicurezza.

Ma la svolta autoritaria e militare non è inevitabile. E anche in Europa non mancano paesi, come il Portogallo e la Spagna che, tra molte contraddizioni, stanno reagendo, come corpo sociale, indipendentemente dai governi che le caratterizzano. Non certo a caso, sono paesi che intrattengono intensi rapporti economici con paesi terzi esterni all’Unione Europea, giocati anche sulla mobilità migratoria, e nei quali non si pratica quella guerra ai migranti che sembra invece costituire la cifra comune della politica italiana.

Uscendo fuori da una contrapposizione sterile tra fascismo ed antifascismo, e dalle più recenti riformulazioni del mantra degli opposti estremismi, tanto caro al governo Gentiloni, a Renzi ed al ministro dell’interno Minniti, così amici della Turchia di Erdogan, occorre diffondere informazione e costruire consenso, dunque creare nuova aggregazione sociale, intervenendo nei territori per salvaguardare ovunque la dignità della persona umana. Questo vuol dire salvaguardare la libertà di scelta e di movimento di tutti e di tutte, il rispetto assoluto delle garanzie dello stato di diritto, il contrasto della discriminazione su base razziale o di genere.

Occorre battere la logica della guerra e dei guerrafondai. Ma significa anche progettare e realizzare circuiti economici alternativi, per i migranti, e non solo, a partire da una diversa gestione del sistema di accoglienza e dalla valorizzazione delle possibilità che hanno le persone che sono giunte in Italia in questi ultimi anni, vittime dell’impoverimento e dei conflitti determinati da una globalizzazione selvaggia. Progetti da rivolgere anche agli  italiani, con un recupero di quelle professionalità stritolate dalla crisi. In sintesi giustizia sociale, dal lavoro alla sanità, dalla casa all’istruzione. e lotta ai privilegi ed alle mafie. Necessariamente una diversa ripartizione del carico fiscale e una vera lotta all’evasione. In sostanza una diversa redistribuzione della ricchezza laddove le promesse di un miracoloso arricchimento per tutti si riveleranno presto prive di fondamento. Una battaglia che non si esaurisce con le scadenze elettorali, ma che deve diventare un impegno quotidiano di riunificazione e di ricostruzione di un corpo sociale oggi alienato ed alienante. Se si vuole garantire sicurezza e una qualche pace sociale questo è un percorso obbligato.

Fulvio Vassallo Paleologo

da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF