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Dopo la denuncia del Coisp, Ilaria Cucchi indagata per diffamazione

Patrizia Moretti, Lucia Uva… e adesso Ilaria Cucchi. Mettersi contro la ‘malapolizia’ costa caro, molto caro. Perché se si osano mettere in dubbio l’onore e l’onestà degli uomini in divisa, se si chiede alla classe politica, ai media e ai responsabili delle forze dell’ordine di indagare e di fare luce e giustizia sui sempre più numerosi casi di persone morte mentre erano nelle mani dello Stato, allora si rischia – si ha quasi la certezza – di diventare obiettivo di ritorsioni, minacce, denunce, querele.

Nel giugno dello scorso anno, il segretario del sindacato di polizia Coisp Franco Maccari, che ci siamo abituati a conoscere anche le manifestazioni a favore dei poliziotti che hanno assassinato Federico Aldrovandi e le provocazioni che mette in atto ogni 20 luglio per l’anniversario dell’assassinio di Carlo Giuliani a Genova, ha denunciato Ilaria Cucchi che ora si trova a dover rispondere dell’accusa di diffamazione e viene indagata dalla stessa Procura che, più volte, ha criticato.

Nella storia di Stefano Cucchi, così come in quella di Federico Aldrovandi, si può dire che il fondo non arriva mai. Non è bastata la morte di un fratello pestato e abbandonato, non è bastata una sentenza di primo grado che, condannando i medici ed assolvendo gli agenti penitenziari, ha dell’incredibile. Non sono bastate le parole di Carlo Giovanardi e la sua accusa alla famiglia di voler strumentalizzare la vicenda a fini politici. Una scelta che già allora sollevò lo sdegno di tutti, colleghi compresi.

Evidentemente non soddisfatto, Maccari tre mesi dopo quell’azione, e a pochi giorni dalla sentenza di assoluzione degli agenti penitenziari, ha depositato presso la Procura della Repubblica di Roma una denuncia nei confronti di Ilaria Cucchi. Secondo il segretario, la sorella del ragazzo morto nel 2009 avrebbe offeso la dignità dei lavoratori di polizia: “Tanto varrebbe non celebrare affatto i processi – disse – perché la verità dei fatti non serve: un poliziotto deve essere sempre colpevole. Anziché esprimere soddisfazione perché un tribunale ha accertato che da parte degli agenti non vi furono maltrattamenti ci si indigna perché non c’è il poliziotto cattivo da buttare in carcere.

Non interessa la verità, non si cerca la giustizia, ma soltanto vendetta”. Polizia di Stato o penitenziaria, per Maccari non fa differenza.

Maccari non ha mai fatto mistero delle sue numerose partecipazioni a manifestazioni di An. Evidentemente uscite di questo genere gli servono anche a parlare alla “pancia” dei poliziotti, come si direbbe di forze politiche, e a tenere alto il numero degli iscritti.

“Lo considero un vero e proprio atto intimidatorio – commenta Ilaria Cucchi al Fatto Quotidiano ­– D’altronde da coloro che hanno offeso Patrizia non mi aspetto altro. Se pensano che questo possa in qualche modo fermarmi nella mia battaglia di verità e per il rispetto dei diritti civili si sbagliano di grosso. Spero che la giustizia faccia il suo corso, ma che lo faccia in fretta. Credo di avere il diritto di chiederlo come cittadina e come tutti i cittadini”.

“Allo Stato abbiamo consegnato nostro figlio sano e vivo. Lo Stato ce lo ha restituito morto ed in quelle terribili condizioni” queste alcune esternazioni di Giovanni Cucchi, il padre di Stefano.

Il padre Giovanni, dopo il processo di ieri ha deciso di scrivere una lettera nella quale spiega il suo stato d’animo e dice: “Abbiamo dovuto ipotecare casa per far fronte alle spese del giudizio, quando dovrebbe essere lo Stato a difenderci. Stefano è solo la punta di un iceberg che evidenzia come sia il sistema che non va. Un sistema che presenta aspetti negativi che non si vogliono far emergere. Speriamo che la morte di Stefano serva almeno a questo, affinché non accadano più fatti del genere”.

La lettera diGiovanni Cucchi, papà di Stefano

“Ora dico veramente basta. Ci sentiamo presi in giro. Non condividiamo nulla della perizia. Ieri abbiamo assistito ad uno spettacolo letteralmente indecoroso. Abbiamo impegnato ogni risorsa per portare qui i nostri consulenti. Si era creata la possibilità, su richiesta del nostro difensore, di poter far fare le domande a loro stessi, senza dover passare per il tramite degli avvocati.

Ne avrebbe guadagnato il processo e, soprattutto, la verità. I difensori degli imputati erano d’accordo, evidentemente anche loro volevano dare un contributo di verità o comunque non ne erano preoccupati. Invece no! I PM si sono opposti senza alcun rispetto! Di che cosa avevano paura i PM??

Continuiamo ad avere nel processo più rispetto dagli imputati che dai PM ai quali sembra prema di difendere i loro consulenti più di ogni altra cosa. I periti affermano che Stefano è morto per negligenza medica e non per abbandono. I periti assolvono gli infermieri, portati quindi davanti alla corte d’Assise per nulla.

Ed allora cosa c’é da difendere ancora? Allo Stato abbiamo consegnato nostro figlio sano e vivo. Lo Stato ce lo ha restituito morto ed in quelle terribili condizioni. Noi vogliamo le scuse dal ministro per l’atteggiamento tenuto dai suoi due PM.

Siamo stanchi di sentirci dire da tutti e dico tutti, che abbiamo ragione. Noi siamo cittadini rispettosi da sempre delle istituzioni e che pagano regolarmente le tasse. E’ per noi inaccettabile che ci si riservi questo trattamento da persone che rappresentano lo Stato e per lo Stato lavorano.

Nostro figlio è stato giudicato come albanese senza fissa dimora ed è morto come italiano di Roma senza diritti. Ed ora nel processo lo Stato dimostra tutta la sua coerenza ancora una volta.

Mi vergogno di essere italiano.”

Giovanni Cucchi

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