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Decreti Orlando-Minniti: quale sicurezza, quale sinistra

I ministri Orlando e Minniti hanno spiegato che ‘sicurezza’ è una parola di sinistra. Basta passare in rassegna i provvedimenti che portano la loro firma per verificare come non abbiano nulla a che fare con l’estensione dei diritti e l’uguaglianza giuridica e sostanziale.

L’approvazione dei Decreti Legge nn. 13 e 14 dello scorso febbraio, che portano le firme del ministro degli Interni Marco Minniti e di quello alla Giustizia Andrea Orlando, a soli tre giorni l’uno dall’altro, sancisce un nuovo spartiacque. Ancora una volta il centrosinistra, i ‘moderati’ o che dir si voglia, scelgono di inseguire sul terreno del bieco populismo le destre autoritarie.

Una classe dirigente che preferisce puntare su sicurezza, lotta al degrado e criminalizzazione di migranti e poveri, invece di mettere in atto misure volte ad incentivare l’inclusione, a contrastare la povertà diffusa tramite pratiche di redistribuzione della ricchezza e a garantire l’accessibilità dei servizi sociali nei confronti di tutti.

Il Governo si preoccupa, al contrario, di muovere guerra nei confronti dei poveri, degli ultimi, degli emarginati. Minniti e Orlando, in due interviste, hanno ribadito come ‘sicurezza’ sia una parola di sinistra. Alla necessità di giustizia sociale ed equità, il Governo risponde quindi con politiche securitarie che non trovano alcuna giustificazione se non inseguire slogan populisti e la paura di non essere rieletti alle prossime politiche. La realtà però vuole che i reati siano in calo da anni, numeri forniti dalle istituzioni, nement le statistiche ISTAT ci dicono come in Italia continua invece a crescere la forbice tra ricchi e poveri. Per di più tutto ciò avviene di pari passo con il restringimento delle garanzie democratiche a manifestare ed esprimere dissenso.

Un punto di non ritorno, uno spartiacque non colmabile tra chi tutti i giorni mette in pratica princidpi di solidarietà e uguaglianza, e chi governa. Uno spartiacque però che consente di disegnare un campo di forze eterogeneo e variegato, pronto a dare battaglia contro due provvedimenti ideologici e dalle conseguenze nefaste. Una battaglia che vale la pena intraprendere rompendo steccati e orticelli, mettendo al centro il minimo comune denominatore per riaprire un partita dentro la società e anche a sinistra.

‘Sicurezza’, checché ne dicano Minniti e Orlando, nel dibattito pubblico e nella percezione individule, richiama alla mente di tutti politiche populiste, autoritarie e di destra: dalla Bossi-Fini al pacchetto sicurezza di Roberto Maroni. Non ha nulla a che fare con l’inclusione, la solidarietà, l’uguaglianza e con l’estensione dei diritti. Non basta dire che ‘sicurezza’ è di sinistra perché ciò avvenga. A meno che non si pensi (e il dubbio diviene subito certezza) che il centrosinistra e il centrodestra siano due opzioni del neoliberismo (per non parlare del Movimento 5 stelle che ha criticato i provvedimenti Orlando-Minniti per essere troppo morbidi).

Per capirlo basta passare in rassegna in maniera sommaria i contenuti dei provvedimenti approvati.

La legge non è uguale per i richiedenti asilo

Destinatari privilegiati sono senza dubbio i migranti. A loro è dedicato il primo dei due decreti, a duplice firma Orlando-Minniti, che si occupa di accelerare i procedimenti giurisdizionali volti al riconoscimento dello status di rifugiato e di contrastare l’immigrazione clandestina.

Siamo di fronte all’azzeramento di una serie di diritti costituzionalmente garantiti. Su tutti, la giurisdizionalizzazione delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione e l’abolizione del secondo grado di giudizio, sostenuto dal Ministro Orlando.

La prima previsione contrasta con l’art. 111, secondo comma della Carta costituzionale, secondo cui ognuno ha diritto a un giudice terzo e imparziale. Le Commissioni non possono evidentemente assurgere a tale compito, trattandosi di organismi a tutti gli effetti interni alla Pubblica Amministrazione.

Quanto, poi, all’abolizione del secondo grado, basta richiamare l’art. 113 Cost., che non ammette vengano limitati in alcun caso i mezzi di impugnazione esperibili avverso i provvedimenti amministrativi.

Per i richiedenti asilo non sarà più garantita l’audizione da parte del Giudice, il quale potrà limitarsi a visionare la videoregistrazione dell’audizione in Commissione territoriale. Ciò contrasta con uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento assicurato dall’art. 24 della Costituzione ed il diritto al Contraddittorio ex art 111 Cost.. Il processo si svolgerà quindi alla stregua di una volontaria giurisdizione ai sensi dell’art. 737 c.p.c., senza udienza, senza partecipazione, senza avvocati.

Una riforma così non riuscì neppure al Governo Berlusconi, in apparenza di tutt’altro orientamento, che provò a farla passare ma con scarso successo anche a causa della strenua opposizione delle stesse formazioni politiche che ora se ne fanno promotrici.

Nuovi Cie, peggio dei Cie

Mentre l’odioso dispositivo d’internamento amministrativo dei Cie sembrava finalmente in via di estinzione, anche per il bassissimo numero di persone che vi sono detenute, questo viene invece rivitalizzato con la nascita dei Cpr (Centri di permanenza e rimpatrio). Non è chiaro quale sia la differenza con gli attuali Cie, ma ne viene disposta la nascita di uno a regione, nei pressi o addirittura all’interno degli aeroporti. Un dispositivo che sembra mirare all’efficienza e alla celerità dei rimpatri e delle espulsioni, in linea con l’efficientismo del resto del provvedimento, a discapito ovviamente delle garanzie giuridiche e dei diritti. Viene quindi rivitalizzato un luogo di confinamento, internamento e repressione che non poggia su alcuna base giuridica, comminando la detenzione amministrativa, poco dissimile da quella giurisdizionale, a chi, non avendo commesso alcun reato, è colpevole unicamente di essere clandestino.

Lavoro gratis e istituzionalizzazione dello sfruttamento

Non poteva poi mancare la previsione del lavoro gratuito per i rifugiati. D’altronde chi scappa dalla guerra e dalla fame, solo per citare alcune delle cause dei flussi migratori, se vuole restare se lo deve meritare. Abituandosi così al futuro lavoro nero gestito dal caporalato agricolo o da padroni e padroncini.

Barboni, accattoni e rovistatori…

La nuova legislazione non mette nel mirino solo i migranti, ma il Decreto n. 14 spara a zero contro gli accattoni, i rovistatori, gli esclusi. Chi viene dai margini viene criminalizzato per la sola ragione di essere povero: chi non è sottoposto al regime del lavoro salariato, e non ha quindi accesso all’acquisto di beni e quindi non possiede viene spogliato dei diritti.

Il neoliberismo non ammette riciclo e riuso né, in generale, l’appropriazione di un bene fuori dalle regole del mercato. Per questo va sanzionato l’accattonaggio, invece di immaginare forme di inserimento di soggetti svantaggiati in un circuito virtuoso.

Il ricordo va automaticamente ai primi scritti di un giovanissimo Karl Marx, gli articoli del 1842 sulla “legge contro i furti di legna”, approvata dalla sesta Dieta renana, con la quale veniva equiparata la raccolta della legna caduta in terra nei boschi al furto della stessa. Il principio è sempre lo stesso, se vuoi una cosa la devi necessariamente acquistare. Altrimenti, che rimanga di nessuno.

Sindaci sceriffi

Ma c’è di più. I poveri devono essere esclusi dallo spazio pubblico, competenza solo dei proprietari. Nascosti alla vista, allontanati. A fare rispettare i divieti ci penseranno i sindaci sceriffi. Una figura che viene, al termine di un lungo processo, di fatto istituzionalizzata allargandone poteri e discrezionalità in materia di ordine pubblico e sicurezza urbana.

Dopo anni di ordinanze draconiane, e a volte ridicole, con la proliferazione di provvedimenti contro le fasce più deboli della cittadinanza ad opera dei primi cittadini di comuni grandi e piccoli. Una tendenza che ha visto in prima fila figure come il sindaco Gentilini di Treviso, leghista duro e puro, ma anche maggioranze di centrosinistra.

Per citare solo due esempi appartenenti al campo governativo: il muro di Padova ordinato da Zanonato (Pd) nel 2006 per separare la città dal ghetto di via Anelli, oppure quando Matteo Renzi, da sindaco di Firenze, aveva fissato il principio secondo il quale accattonaggio e simili sono consentiti solo in determinate zone della città, ovviamente quelle dimenticate e distanti dal centro.

Daspo urbano

“Gli stadi sono un laboratorio di repressione che si allargherà al resto della società”. Lo andiamo dicendo ormai da un quindicennio. E non vi è dubbio che sia così. Chi non ci voleva credere e pensava che per i così detti ‘ultras’, al di là di ogni giudizio di merito, non serviva spendere neanche un’oncia di garantismo, forse ora si ricrederà.

Eccoci al Daspo metropolitano, che applica un dispositivo, ideato e sperimentato nelle curve di tutta Italia, a chi manifesta. Una logica che abbiamo recentemente visto all’opera lo scorso 25 marzo nella capitale, in occasione delle manifestazioni per la celebrazione del 60° anniversario dei Trattati di Roma, quando decine di manifestanti hanno ricevuto fogli di via anche di 3 anni dal territorio della città. Un provvedimento che potrà essere applicato a chi viene denunciato o fermato per reati minori, ma anche a chi occupa una casa perché un tetto non ce l’ha o perché sostiene la lotta per il diritto all’abitare, dei lavoratori in sciopero ecc.

Gianluca Dicandia, Stefano Greco

da DinamoPress

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