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Cosa è il diritto all’esistenza e perché va riconosciuto anche alla Palestina

«La “causa palestinese” è stata rimossa dall’agenda della comunità internazionale. L’orrore, la morte, lo vediamo tutti i giorni nelle nostre case e strade sotto attacco dell’esercito di occupazione» Intervista a Abeer Odeh ambasciatrice palestinese in Italia

Intervista a cura di Umberto De Giovannangeli  per l’Unità

Signora Ambasciatrice, il mondo assiste sgomento alla guerra in atto in Israele e a Gaza. Orrore e morte. Stati Uniti, Europa, Italia sostengono il diritto d’Israele a difendersi dagli attacchi di Hamas.
Sono contenta di portare la parola della Palestina, che purtroppo non vedo spesso sui media italiani, anche quando ce ne sarebbe davvero bisogno. I palestinesi sanno molto bene cosa siano la morte e l’orrore, li vediamo tutti i giorni nelle nostre case, nelle strade, nelle moschee e nelle chiese, costantemente sotto attacco dall’esercito di occupazione e dai coloni illegali. Sappiamo sicuramente meglio di Israele, Paese occupante, cosa sia il diritto di difendersi e di sopravvivere, visto che la nostra stessa esistenza è messa in discussione dal 1948 ed è quotidianamente a rischio a causa delle politiche di Israele, che comprendono annessioni illegali, uccisioni indiscriminate, arresti immotivati, demolizioni di case abitate, e una lunga lista di abusi sempre più difficili da sopportare.

Signora Ambasciatrice, cosa c’entra il diritto di resistenza all’occupazione israeliana con i neonati uccisi e le donne e gli anziani fatti ostaggio da Hamas? Quelle atrocità macchiano pesantemente la “causa palestinese”.
Questa è una bella domanda, perché è proprio della “causa palestinese” che vorrei parlare, dato che è stata completamente rimossa dall’agenda della comunità Internazionale così come dalla stragrande maggioranza dei media. Se qualcuno dovesse pensare che prima del 7 ottobre andava tutto bene, sbaglierebbe di grosso. Le cose vanno molto male – e la “causa palestinese” è rimasta irrisolta – da almeno 75 anni: perché nel 1948 lo Stato di Israele è nato al prezzo della distruzione di 531 villaggi palestinesi, dell’uccisione di 15.000 loro abitanti nel corso di diversi massacri, e dell’esodo di quasi un milione di rifugiati, senza che al nostro popolo sia mai stato riconosciuto uno Stato palestinese; e perché siamo sotto occupazione dal 1967, nonostante centinaia di risoluzioni dell’ONU ne richiedano la fine.

C’è chi sostiene che con l’attacco a Israele, Hamas abbia voluto liquidare i conti con l’Autorità nazionale palestinese.
Non posso parlare a nome di Hamas. Posso dirvi che la leadership palestinese ha sempre aderito ai dettami della legalità, sperando nel sostegno internazionale per raggiungere in modo pacifico il nostro legittimo diritto all’autodeterminazione. Questo sostegno non è mai arrivato e il nostro popolo se ne è accorto molto chiaramente.

Gaza, una immensa prigione a cielo aperto dove vivono rinchiusi 2,1 milioni di palestinesi, in maggioranza sotto i 18 anni. Può provare a spiegare a un lettore italiano cosa significhi vivere in quelle condizioni?
Gaza – sotto assedio e isolata dal resto del mondo da ormai 16 anni – è stata dichiarata “luogo invivibile” dalle Nazioni Unite, che hanno constatato l’impossibilità di sopravvivere senza avere accesso a posti di lavoro, mezzi di sostentamento e cure. Le motovedette dell’esercito israeliano che sparano contro i barchini dei pescatori sono solo un esempio di come le forze di occupazione rendano la vita degli abitanti di Gaza impossibile. Le aggressioni israeliane si susseguono da decenni. Le vittime sono state ogni volta così tante, migliaia, che sembrava impossibile dare loro un nome e un volto. Tuttavia, un nome e un volto li avevano. Da 7 giorni, compiendo quello che Human Rights Watch ha definito un vero e proprio genocidio, Israele bersaglia famiglie e bambini con missili, bombe e armi di distruzione di massa proibite, come il fosforo bianco, lanciate contro di loro dal cielo, da terra e dal mare. Violando qualsiasi regola del diritto internazionale, Israele spara indiscriminatamente su case, campi profughi, ospedali, scuole, moschee e infrastrutture, comprese le strade che dovrebbero servire a far arrivare i soccorsi medici e che sono invece distrutte. Le vittime accertate, ma ve ne sono molte altre ancora sotto le macerie, sono già 1.799, più della metà delle quali donne e bambini; i feriti almeno 6.388; gli sfollati costretti ad abbandonare le loro case si stimano per ora intorno ai 423.000 stando ai dati delle Nazioni Unite, ma l’esercito israeliano sta già chiedendo l’evacuazione immediata di metà della popolazione di Gaza. Non è nemmeno la prima volta che Israele toglie a Gaza cibo, acqua, luce e benzina, ma stavolta la guerra contro i suoi abitanti, che il Ministro della Difesa israeliano ha definito “animali umani”, sembra voler andare sino in fondo, sprofondando la Striscia in un baratro. Proprio in queste ore, la Striscia sta vivendo il peggiore degli incubi, nella consapevolezza che con l’ingresso delle truppe israeliane la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, fino alla devastazione totale. Papa Francesco si è detto giustamente preoccupato per questo assedio, inflitto a una popolazione innocente. Ringraziamo il pontefice per le sue parole e chiediamo al governo italiano di fare altrettanto, di preoccuparsi per noi e di fare pressione sull’intera comunità internazionale perché il popolo palestinese riceva la protezione di cui ha bisogno, come richiesto espressamente dal diritto internazionale di cui l’Italia è paladina.

Non c’è pace senza giustizia, avverte papa Francesco. Ma in Palestina pace e giustizia non albergano da tempo.
È proprio quello che stiamo cercando di dire da anni, ma soprattutto in questi giorni. Abbiamo parlato delle cause di quanto sta accadendo e mi preme sottolineare come anche un noto giornalista israeliano come Gideon Levy le abbia volute rintracciare nell’“arroganza” di Israele, convinto di poter continuare ad occupare, uccidere e depredare il popolo palestinese senza pagare nessuna conseguenza. Il Papa sa bene in cosa consista una pace giusta e non è un caso che il Vaticano riconosca a pieno titolo lo Stato di Palestina, senza se e senza ma.

“Due Stati, per due popoli”. È una soluzione ancora fattibile o una grande ipocrisia?
L’ipocrisia è di chi – nella comunità internazionale – continua a parlare di soluzione a due Stati senza riconoscere lo Stato di Palestina. Israele in questo è più trasparente, perché non si pone proprio il problema di uno Stato palestinese e continua ad espandere le proprie colonie con l’intento di annettersi tutte le nostre terre. Noi, invece, abbiamo fatto la nostra parte con delle rinunce storiche di cui non vogliamo pentirci. In linea con il diritto internazionale e le risoluzioni dell’ONU, chiediamo semplicemente che sia riconosciuto da tutti il nostro Stato di Palestina sui confini del 1967 e che sia riconosciuta da tutti la nostra legittima capitale, Gerusalemme Est.

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