Menu

Il caso Moro e Report, quante bugie

Signorile e l’artificiere di via Caetani si smentiscono a vicenda. Ecco le prove del contatto di Ranucci con Pazienza

di Paolo Morandi da il Domani e Paolo Persichetti da Insorgenze

Davvero Claudio Signorile e l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga, il 9 maggio 1978, seppero della morte di Aldo Moro diverse ore prima del rinvenimento del suo cadavere in via Caetani?
È solo uno dei tanti elementi del servizio di Report di domenica scorsa sul rapimento e l’uccisione dello statista democristiano da parte delle Brigate rosse, ma è forse quello più suggestivo, tra le miriadi di dubbi, zone d’ombra e presunti misteri su cui dopo decenni si discute ancora oggi, a oltre 45 anni dai fatti.

Tutto ruota attorno a una questione sostanziale: quell’agguato, quel rapimento e quell’uccisione furono tutta farina del sacco brigatista? Oppure vi fu chi “diresse” (o “facilitò”) quell’operazione? E, seguendo questa ipotesi, chi? Servizi segreti, P2, Cia, Kgb, Mossad: da questa maionese impazzita nessuno è stato lasciato fuori. Ma la giustizia ha da anni chiuso la partita, attraverso più processi. E neppure le due inchieste ancora aperte a Roma, condotte dalla procura ordinaria e da quella generale, sembrano fare passi in avanti.
Nel frattempo si è fatto strada un inesauribile filone di pubblicazioni in controtendenza con quanto è stato appurato nelle Corti d’assise. E oltre ai processi ci sono le commissioni parlamentari d’inchiesta. A una prima, specifica, istituita nel 1979 e che chiuse i propri lavori nel 1983 (gli atti sono contenuti in centotrenta volumi, ognuno dei quali composto mediamente da svariate centinaia di pagine), in anni recenti se n’è aggiunta una seconda, la cui documentazione pure consta di migliaia di carte.
Anche commissioni d’inchiesta istituite su altri temi (stragi, P2, Mitrokhin, Antimafia) di Moro si sono lungamente occupate. Aggiungete a tutto questo più opere cinematografiche, una moltitudine di inchieste giornalistiche sulla stampa o in tv, romanzi di para-fiction, opere teatrali… E poi i dibattiti in rete, in cui si discute senza sosta su particolari più o meno rilevanti della vicenda.

La perizia balistica del 2016 che Report non cita
Lo spazio non consente di riprendere qui punto per punto le mille suggestioni di Report, basate principalmente sui lavori della commissione Moro 2, quella presieduta da Giuseppe Fioroni.
Nella trasmissione, a un certo punto, è però stato detto che mai sono state eseguite perizie balistiche aggiornate rispetto a quelle di oltre quarant’anni fa. Lo si diceva a supporto dell’ipotesi secondo cui a sparare il 16 marzo 1978 in via Fani non sarebbero stati solo quattro brigatisti (Fiore, Morucci, Gallinari e Bonisoli), ma anche un altro paio, finora sconosciuti.
E che lo avrebbero fatto non da sinistra, come nella ricostruzione fin qui accreditata, bensì da destra. Ebbene, proprio la Moro 2 si è invece giovata nel 2015 di una perizia balistica compiuta dalla polizia scientifica. E i risultati, che avvalorano la versione brigatista, sono stati recepiti nella stessa relazione del presidente Fioroni conclusiva dell’attività di quell’anno.

Dubbi sull’uso di una moto nell’azione. Le bugie del testimone Marini e il parabrezza mai attinto da colpi di mitraglietta
Non solo. Sempre nella relazione, si sottolineano «due acquisizioni» raggiunte dalla polizia scientifica: «La prima riguarda la scoperta che il parabrezza di Marini non è stato attinto da colpi d’arma da fuoco come finora si è creduto».
E si tratta di quell’ingegnere a bordo di uno scooter che sarebbe stato preso di mira da due motociclisti in fuga da via Fani: vicenda del tutto destituita di fondamento, come lo stesso Marini dovette ammettere in un verbale ancora nel 1994. Il che, per inciso, pone in discussione l’esistenza stessa di quella motocicletta, della cui presenza in via Fani parlarono solo tre degli oltre trenta testimoni a suo tempo messi a verbale.

Nessun superkiller
Ancora, sempre citando Fioroni: «Il secondo punto acquisito dalla polizia riguarda la messa in crisi dell’idea che a via Fani abbia operato un super killer. È vero infatti che vi fu una bocca di fuoco che sparò da sola quarantanove colpi, ma è stato dimostrato che ciò avvenne con una precisione non particolarmente elevata (da quell’arma soltanto sei colpi andarono a bersaglio, attingendo l’agente Iozzino)».
Altro che super killer. Il fatto che poi quella perizia sia stata «oggetto di un’attenta analisi critica da parte di alcuni componenti della Commissione», come scrive Fioroni, conferma una volta di più che anche elementi scientifici possono servire per tirare l’acqua al proprio mulino.

La prigione di Moro fu una sola
Altra questione ampiamente analizzata da Report: davvero Moro è stato tenuto prigioniero nell’appartamento di via Montalcini 8? È stata citata una mezza dozzina di possibili covi alternativi, dei quali pure si parla da anni. Si può però davvero pensare che le Brigate rosse abbiano spostato l’ostaggio più volte nella Roma militarizzata di quelle settimane? Ma soprattutto: perché farlo se davvero le Br erano protette da entità indicibili?

Signorile da Cossiga e la questione dell’ora
Si diceva però di Signorile. La sua presenza nell’ufficio di Cossiga la mattina del 9 maggio è circostanza da tempo nota. Ma davvero al ministro la notizia della morte di Moro arrivò molto prima della telefonata con cui Morucci, alle 12.13, diede notizia al professor Tritto, assistente di Moro, che lo statista era stato ucciso e di dove si sarebbe potuto ritrovare il corpo? Rivedendo Report, ci si accorge che a dire «le 9.30-10» non è Signorile, bensì l’intervistatore.
Signorile peraltro lo lascia parlare senza interrompere, quindi di fatto conferma. Se così fosse, lo capite, si aprirebbero scenari vertiginosi – pure sviluppati da Report – su cui da anni la cosiddetta dietrologia non si è risparmiata. Qui il punto riguarda la validità delle testimonianze orali, soprattutto quelle di coloro avanti con l’età e rese a tanti anni dai fatti su cui la memoria viene sollecitata.
Inoltre, l’impossibilità di riscontrare tali testimonianze con tutti i protagonisti (in questo caso Cossiga). Anche perché l’orario dell’alert al ministro – si scopre rileggendo le tante dichiarazioni di Signorile – è ballerino. Come pure la rilevanza che diede alla questione l’esponente socialista.

Già nel 1980 (commissione Moro 1) Signorile raccontò quella mattina, collocando l’avviso a Cossiga della morte di Moro alle 11: orario inconciliabile con i fatti accertati. Nessuno dei parlamentari però pensò di chiedergli maggiori dettagli sul punto (e della commissione faceva parte pure il comunista Sergio Flamigni, da sempre capofila di chi non crede alle versioni “ufficiali”), probabilmente pensando che Signorile con quell’orario intendesse quello dell’appuntamento con Cossiga al Viminale.
Davanti alla Corte d’assise di Roma invece, nel 1982 in un lungo interrogatorio come testimone, Signorile non sfiorò minimamente la questione di quello strano orario. E anche nel 1999, davanti alla commissione Stragi (quella presieduta da Pellegrino), nuovamente nessun accenno: eppure non si trattava di una questione banale.
Poi, nel gennaio 2010 ne riparlò in una intervista all’Ansa: «Dopo pochi minuti che ero nella sua stanza, erano le 10 e mezzo-11, sentiamo l’altoparlante della centrale operativa, annunciare che la nota personalità era stata ritrovata al centro di Roma», disse a Paolo Cucchiarelli (autore di più libri a cui si è ispirato il servizio di Report). Non risulta che Cossiga abbia smentito.
Ma neppure che qualcuno ne abbia mai chiesto conferma all’allora senatore a vita. Tre anni più tardi (ma attenzione: Cossiga nel frattempo era morto, nell’agosto 2010), parlando con l’Huffington Post, Signorile tornò sulla questione: e collocò invece a mezzogiorno l’allarme a Cossiga. Mentre nel 2020, in una lunga intervista al Corriere della Sera (e l’intervistatore era Walter Veltroni), ecco ancora una volta il racconto di quella mattinata al Viminale. Ma senza alcun riferimento (e relativo sospetto) all’orario in cui Cossiga fu avvisato.
Nel frattempo Signorile era stato sentito anche dalla commissione Moro 2, il 12 luglio 2016: «Io vi sto testimoniando la telefonata vera, quella cioè della questura che chiama il ministro dell’Interno», disse. E all’allora senatore Miguel Gotor, che indicava come orario le 11, rispose: «Più o meno a quell’ora, sì».

L’artificiere Raso e Signorile si smentiscono a vicenda
Va detto che nel 2012 era stato pubblicato un libro di memorie dell’artificiere che intervenne quella mattina in via Caetani, Vitantonio Raso, il quale ha sostenuto di essere arrivato lì tra le 10.30 e le 10.45. E di aver parlato con Cossiga, che era già presente in strada. Peraltro non c’è traccia di sue relazioni di servizio.
Le affermazioni di Raso, per inciso, contrastano con quelle di Signorile: se Cossiga stava già in via Caetani, come poteva essere alla stessa ora con Signorile al Viminale? La procura di Roma, comunque, a suo tempo incriminò Raso per calunnia. E della cosa non si è più sentito parlare.
Che cosa ci dice tutto questo? Quanto meno che quell’orario non è riscontrato (né è più riscontrabile).

Gli orari della centrale operativa dei carabinieri
D’altra parte, il registro delle comunicazioni telefoniche della legione Roma dei Carabinieri di quel giorno attesta alle 13.50 il rinvenimento del cadavere nella R4 rossa, alle 13.59 la sua identificazione e dalle 14.01 in poi l’informazione a tutte le autorità, a partire dalla Presidenza della Repubblica. Ce n’è insomma abbastanza per prendere la cosa (assieme a molte altre) con tutte le molle possibili.

La puntata di Report sul caso Moro, ecco le prove del contatto di Ranucci con Pazienza

Oggi siamo in grado di rivelare ulteriori dettagli sul contatto tra Sigfrido Ranucci e Francesco Pazienza nelle settimane precedenti la messa in onda della puntata di Report dedicata alle presunte verità sempre tenute nascoste sul sequestro Moro. 
Ci scusiamo per l’attesa che ha creato un certo suspense sulla vicenda e che alcuni hanno interpretato frettolosamente come la prova che noi stessimo bluffando, senza avere in mano nulla. Non siamo abituati a mentire, tanto meno a tentare azzardi. Semplicemente attendevamo che Ranucci e Pazienza dicessero la loro, lasciandogli il tempo di spiegare i fatti e le eventuali ragioni.
Ma Ranucci si è ben guardato dal farlo accusandomi di aver scritto falsità, omettendo la circostanza del contatto avuto con Pazienza. Mentre Pazienza ha sostenuto di non aver mai sentito Ranucci e di aver agito autonomamente contattando il giornalista Lovatelli Ravarino, ritenuto depositario di informazioni sulla vicenda Moro, in particolare sul ritrovamento del cadavere dello statista Dc in via Caetani, informazioni che Ravarino peraltro smentisce categoricamente di possedere. La nostra inchiesta, in effetti, nasce proprio da un commento che Cristiano Lovatelli Ravarino aveva fatto sotto un mio articolo su Report postato su Fb (qui l’articolo).

Il commento di Ravarino

Lo scambio watsapp tra Pazienza e Ravarino

Ne parliamo con Paolo Morando, giornalista e saggista, autore di numerosi volumi sulla strage di piazza Fontana, la storia di Cefis, la strage di Peteano e quella di Bologna.
Conosco Paolo da quasi due anni. Abbiamo condotto insieme alcune inchieste, in particolare sul carteggio Sismi-Olp, le cosiddette «carte di Giovannone» (leggi qui).

Allora com’è andata?
«Ancora domenica mattina ho letto anch’io quel commento su Facebook di Lovatelli Ravarino. E quel riferimento a un contatto tra Pazienza e Ranucci mi ha incuriosito. Mi sono allora procurato il numero di Pazienza, che non avevo, e gli ho mandato un messaggio via whatsapp».

Che ora era?
«Le 14.14».

E che cosa gli hai scritto?
«Te lo leggo: “La contatto perché avrei bisogno di chiederle una cosa a proposito della puntata di Report sul caso Moro, che andrà in onda stasera. Posso chiamarla? Grazie”. Mi ha risposto un minuto dopo: “Mi chiami pure”».

E poi?
«Siamo stati al telefono una decina di minuti. È stato cordiale e affabile. Mi ha detto di conoscere benissimo Lovatelli Ravarino, ma che non era del tutto esatto quello che aveva scritto su Facebook».

Cioè?
«Le sue esatte parole, le ho riascoltate, sono state: “Quando a un certo momento ho saputo che Ranucci stava preparando questo numero che va stasera su Moro, ho detto a Ranucci: guarda che c’è uno che io conosco eccetera che mi ha raccontato un sacco di storie, perché hanno lasciato l’automobile lì, il palazzo, eccetera. Lui mi ha detto: vabbè dammi il suo numero di telefono. Non so perché Ranucci non abbia ritenuto opportuno chiamarlo o verificare, questi sono problemi dei giornalisti, non so perché”».

Gli hai chiesto altro?
«Sì, in che rapporti era con Ranucci. E lui mi ha detto: “Con Ranucci siamo in questi rapporti: all’inizio Ranucci praticamente scrisse una stronzata su Gelli e compagnia cantante e io gli mandai la prova documentale che io con Gelli non c’entravo assolutamente niente, anzi, e lui fece una dichiarazione Ansa in cui diceva che la trasmissione di gennaio scorso, eccetera, effettivamente aveva detto cose che non sono esatte e compagnia cantante, da quel momento siamo diventati sempre un po’ più amici perché ogni tanto ci sentiamo per vedere se io sappia o meno cose e compagnia cantante”. Poi gli ho chiesto che cosa si aspettava dalla puntata di Report che sarebbe andata in onda in serata».

Che cosa ti ha detto?
«Ha risposto così: “Non faccio mai domande ai giornalisti, non so che taglio daranno, ma mi ha detto che ci saranno dei fatti nuovi eccetera”. E poi ha aggiunto: “Secondo me Moro lo hanno ammazzato le Brigate rosse”». Poi abbiamo chiacchierato ancora un po’, divagando: mi ha parlato di sue vicende giudiziarie con magistrati di Bologna. Infine ci siamo salutati».

Poi però hai sentito anche Ranucci.
«Sì, il giorno dopo. Prima volevo vedere la puntata di Report. Lunedì mattina ho contattato l’autore del servizio, Paolo Mondani, che un po’ conoscevo. Gli ho scritto così: “Vorrei chiedere a Ranucci una cosa un po’ delicata sulla puntata di ieri, ma ne parlerei prima con te (anche perché di Ranucci non ho alcun numero)”. Era poco dopo mezzogiorno. Mi ha risposto che mi avrebbe richiamato dopo pranzo. E così ha fatto».

Che cosa vi siete detti?
«Gli ho spiegato la cosa, era molto sorpreso. Mi ha detto di non aver mai sentito il nome di questo Lovatelli Ravarino e che mai Ranucci gliene aveva parlato. E mi ha appunto girato il suo numero, consigliandomi di parlarne con lui. A quel punto ho mandato un messaggio a Ranucci».

Che cosa gli hai scritto?
«Gli ho citato il commento su Facebook di Lovatelli Ravarino, aggiungendo che la cosa mi aveva colpito e invitandolo, se credeva, a richiamarmi. Dopo un po’ mi ha risposto che era falso, che non aveva chiesto aiuto a Pazienza e che Mondani si era mosso in assoluta autonomia. Erano le 16.15. Subito dopo mi ha richiamato».

E che cosa ti ha detto?
«A proposito di Lovatelli Ravarino, anche qui riascolto le sue esatte parole: “Io posso pure smentirlo ma penso di dargli più pubblicità, oltretutto io Pazienza lo conosco bene perché gli abbiamo fatto il culo tre quattro volte, quindi figurati, non è quello il tema. Pure Pazienza, che tra parentesi me l’ha girato prima questo messaggio, dice che non è vero, non so che dirti”. E poi: “Ma figurati se io posso contattare Pazienza, io Pazienza l’ho solamente sentito per dirgli è vero o no che tu frequentavi palazzo via Massimi, punto, perché c’era una voce che diceva che stava a palazzo via Massimi, non l’ho contattato per altre cose, figurati, Pazienza è sempre Pazienza”».

Altro?
«È stata una telefonata breve. Alla fine mi ha detto: “Se vuoi ti do pure il numero di Pazienza, senti Pazienza, te lo smentirà pure lui”. E gli ho detto che lo avevo già».

Ranucci afferma quindi di avere sentito Pazienza. Perché non ne hai scritto?
«Perché te ne stavi già occupando tu e volevo vedere come andava a finire. Comunque, da quello che mi ha detto Ranucci, non è chiaro se si è trattato di una telefonata o di un messaggio, e neppure chi abbia contattato chi. Io peraltro non glielo ho chiesto. Con il “Domani” abbiamo invece preferito occuparci nel merito della puntata di Report sul caso Moro, in particolare dell’intervista a Signorile: l’articolo è uscito oggi».

Ricapitolando
Ranucci ammette di aver sentito Pazienza durante la preparazione dell’inchiesta per chiedergli se era vero che frequentasse palazzo via Massimi, «perché c’era una voce che diceva che stava a palazzo via Massimi». Va detto per inciso che si tratta di una novità assoluta, mai sentita prima d’ora. Ranucci aggiunge che lo conosce da tempo, confermando quanto detto da Pazienza e che questi gli aveva già girato «il messaggio», non sappiamo se intendesse il commento di Ravarino sul mia pagina fb o lo screenshot dello scambio whatsapp che aveva avuto con lo stesso Ravarino. In ogni caso la circostanza conferma la facilità e celerità dei loro contatti, dando ragione alle parole di Pazienza sui loro rapporti pregressi, risalenti a oltre due anni prima, dopo una puntata di Report ch lo aveva tirato in ballo. Pazienza aggiunge, dopo aver saputo della puntata su Moro, di avergli offerto aiuto e in effetti contatta Ravarino. Ranucci nega. Nei giorni scorsi Pazienza ha aggiunto di essere stato la fonte di numerosi scoop fatti dalla Rai in questi ultimi tempi (leggi qui). «Pazienza sarà sempre Pazienza», come dice Ranucci, però non basta una semplice battuta per chiarire questa vicenda. Ci vuole quella trasparenza che fino ad ora è mancata.

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp

 

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>