Carenze sanitarie ed edifici fatiscenti, Msf boccia i Cie: quelli di Trapani e Lamezia Terme vanno chiusi
Il risultato? Una netta bocciatura. Per Msf nulla, o poco, è cambiato: nei centri visitati la scarsa tutela dei diritti fondamentali è diventata la norma. E per due di essi, i Cie di Trapani e Lamezia Terme, l’organizzazione umanitaria arriva a chiederne la chiusura.
L’indagine, riportata nel rapporto “Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia”, mostra come a più di dieci anni dall’istituzione dei centri per migranti, la gestione generale sembra ispirata ancora oggi a un approccio emergenziale. Un paradosso se si pensa che l’anno scorso il governo di centro-destra ha esteso il periodo massimo di trattenimento all’interno dei Cie da 2 a sei mesi. Determinando uno stravolgimento definitivo della funzione originaria della detenzione amministrativa: non più misura straordinaria e temporanea di limitazione della libertà per attuare l’allontanamento, ma percepita come sanzione, estranea, tuttavia, alle garanzie e ai luoghi del sistema penale. Una misura, che rischia di rendere ancora più esplosivo il clima all’interno dei centri.
21 quelli osservati sotto la lente d’ingrandimento di Msf. In alcuni, come i centri di Lampedusa e Bari, agli operatori è stato negato l’ingresso nonostante la visita fosse stata comunicata con diverse settimane di preavviso. «Rispetto alle visite condotte nel 2003 poco è cambiato, molti sono i dubbi che persistono, su tutti la scarsa assistenza sanitaria, strutturata per fornire solo cure minime, sintomatiche e a breve termine. Stupisce inoltre l’assenza di protocolli sanitari per la diagnosi e il trattamento di patologie infettive e croniche. Mancano sopratutto nei Cie come ad esempio in quello di Torino, i mediatori culturali senza i quali si crea spesso incomunicabilità tra il medico e il paziente. Sconcerta in generale l’assenza delle autorità sanitarie locali e nazionali», racconta Alessandra Tramontano, coordinatrice medica di MSF in Italia.
Il rapporto evidenzia come di fatto nei Cie convivono negli stessi ambienti vittime di tratta, di sfruttamento, di tortura, di persecuzioni, così come individui in fuga da conflitti, altri affetti da tossicodipendenze, da patologie croniche o della sfera mentale. Sono luoghi dove coesistono e s’intrecciano in condizioni di detenzione storie di fragilità estremamente eterogenee tra loro da un punto di vista sanitario, giuridico, sociale e umano, a cui corrispondono esigenze molto diversificate. Quasi sempre non soddisfatte.
«Tra i Cie, Trapani e Lamezia Terme andrebbero chiusi subito perché totalmente inadeguati a trattenere persone in termini di vivibilità. Ma anche in altri Cie abbiamo riscontrato problemi gravi: a Roma mancavano persino beni di prima necessità come coperte, vestiti, carta igienica, o impianti di riscaldamento consoni», continua Tramontano.
«Nei Cara abbiamo rilevato invece servizi di accoglienza inadeguati. Il caso dei centri di Foggia e Crotone ne è un esempio: 12 persone costrette a vivere in container fatiscenti di 25 o 30 metri quadrati, distanti diverse centinaia di metri dai servizi e dalle altre strutture del centro. Negli stessi centri l’assenza di una mensa obbligava centinaia di persone a consumare i pasti giornalieri sui letti o a terra», conclude Tramontano.
La gestione complessiva dei centri per migranti, sia dei Cie che dei Cara e dei Cda, appare dunque in larga parte inefficiente. I servizi erogati sono spesso scarsi e scadenti e non si riesce di fatto a garantire una effettiva identificazione, protezione e assistenza dei soggetti vulnerabili che rappresentano una parte consistente (se non prevalente) della popolazione ospitata.
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